TOKYO – Una notizia sicuramente positiva che ha fatto il giro del mondo in questi giorni è stata il regalo che si è concesso Warren Buffett per il suo novantesimo compleanno, ovvero un massiccio investimento sull’economia giapponese. “L’Oracolo di Ohama” ha acquisito il 5% delle cinque maggiori trading company che gestiscono il paese, Mitsubishi Corp, Mitsui & Co, Sumitomo Corp, Itochu Corp e Marubeni Corp, per un totale di circa 6 miliardi di dollari, con l’obiettivo di arrivare al 9% di share in ognuna di esse.
Ma cosa sono in realtà queste trading company e cosa c’è dietro a questa scelta dell’investitore più famoso al mondo?
Warren Buffett non ha mai nascosto i segreti, talvolta banali, che l’hanno portato ad essere uno tra gli uomini più ricchi del pianeta. Comprare quando gli altri vendono, investire in ciò che si mangia e si usa e tenere in portafoglio gli investimenti per periodi lunghi. Scommettere quindi su attività produttive con importanti piani industriali e con assets solidi. Pochi forse ricordano che la Berkshire Hathaway, di cui Buffett è fondatore e Ceo, ha registrato i suoi primi successi negli anni 60 investendo nell’azienda tessile Hathaway che produceva manufatti cotonieri solo perché aveva un ricchissimo stato patrimoniale.
Da qui si sono poi succeduti investimenti storici in aziende che hanno contribuito alla grandezza americana. Coca-Cola, che ancora oggi Buffett beve ogni giorno a pranzo nel Mc Drive vicino a casa in Nebraska, ma anche Apple, quando tutti la davano per morta negli anni turbolenti di Steve Jobs. E poi varie compagnie aeree, perché la gente si sposterà sempre, anche se adesso questo segmento, di cui si è liberato, l’ha fatto retrocedere in terza posizione nella classifica mondiale degli uomini più ricchi del globo. E poi ancora carte di credito, assicurazioni, ferrovie, catene d’abbigliamento e varie altre attività con un ciclo di vita medio–lungo. Poco o niente nel tecnologico.
Ma cosa sono esattamente le Sogo Shosha, le famose trading company giapponesi?
Tutta l’economia del Giappone è controllata da trading company, società commerciali che gestiscono ogni singola transizione economica del paese. Le cinque più grandi (Mitsubishi Corp, Mitsui & Co, Sumitomo Corp, Itochu Corp e Marubeni Corp) affondano le loro radici fino all’epoca degli shogun e ognuna di loro è specializzata in settori diversi. Dispongono tutte di capitali importanti, sostengono ogni singola attività industriale, immobiliare, finanziaria del Sol Levante e hanno una rete di investimenti che fa impazzire i direttori finanziari. Ognuna di esse è coinvolta infatti in migliaia di realtà produttive dentro e fuori il paese, dalla pesca del tonno rosso alle sciarpe di seta, dagli impianti petrolchimici all’importazione di banane. Sono in grado di riaggiustare il loro portafoglio velocemente, senza troppi legami affettivi, rispondendo sempre e solo alla crescita del paese. Talvolta sembrano delle banche d’affari, altre volte Venture Capitalist, o gestori di fondi, o asset manager o semplici immobiliaristi. Difficile trovare modelli simili in occidente tanto è diversificata la loro attività. Sicuramente sono la faccia più globalizzata del Giappone, considerando che i loro investimenti vanno ben oltre i confini nazionali.
In tanti si sono interrogati sulla scelta del profeta degli investimenti di comprare una fetta così importante dell’economia del Giappone, apparentemente in affanno e stagnante.
Nonostante il debito pubblico giapponese sia tra i più elevati al mondo (240% del Pil quando quello italiano che non è certo tra i più bassi nel 2019 era circa il 135% del Pil), a differenza di noi italiani il Giappone possiede tutto il suo debito, non dipendendo così da speculazioni finanziarie di altri paesi esteri. Altro fattore di forza è poi la sovranità monetaria e l’investimento massiccio in infrastrutture e istruzione, ovvero quel debito “buono” al quale ci ha richiamati l’ex presidente della Bce Mario Draghi nel suo saggio discorso al Meeting di Rimini.
Vi è poi una ragione, ma forse è una pura coincidenza, che questo investimento sia andato a coincidere proprio con le dimissioni del premier Shinzo Abe, quasi a testimoniare che il Giappone abbia bisogno di una fase nuova dopo oltre un decennio di Abenomics.
Insomma, motivi per aver fiducia sul futuro del Giappone ce ne sono diversi, ma forse il principale è che questo paese nella storia ha saputo sempre fronteggiare in solitaria le peggiori crisi mondiali finanziarie, come la più recente del 2008 causata dal crack Lehman Brothers. Con una stoica resistenza alle avversità, i giapponesi si sono sempre rialzati ricostruendo da soli il paese anche dopo innumerevoli terremoti che letteralmente hanno messo ripetutamente in ginocchio tutto il sistema. Se agli occhi di molti analisti occidentali questo paese può sembrare troppo conservatore e lento nelle decisioni, i giapponesi sanno che dovranno sempre superare in autonomia ogni crisi e avversità, contando solo sulle proprie forze. Questo il signor Buffet l’ha sicuramente intuito e anche questa volta ha guidato i suoi investimenti su un’economia sostenibile e solida che si tirerà fuori con successo da questo momento di recessione.
E allora buon compleanno e altri cento di questi giorni!