TOKYO – Shinzo Abe, il più longevo primo ministro della storia del Giappone, ha annunciato venerdì le sue dimissioni per questioni di salute.
In una conferenza stampa, ha dichiarato che “le scarse condizioni di salute non possono condizionare le scelte per il paese”. Una severa colite ulcerosa, che già l’aveva costretto a dimettersi nel 2007, pone fine prematuramente al secondo mandato che si sarebbe dovuto concludere nel 2021.
Finisce così la storia politica più lunga e forse anche il periodo più stabile che il Giappone abbia vissuto dopo la “bubble economy” degli anni novanta.
Shinzo Abe – o Abe Shinzo come vorrebbe essere chiamato lui – ha condotto il paese in maniera controversa, cercando di liberare la nazione dagli spettri della grande guerra dal punto di vista della difesa, di ristabilire una posizione predominante sulla politica estera imponendosi soprattutto sulla Corea e la Cina e cercando di uscire vincitore dalla guerra dei dazi tra Pechino e Washington.
Abe è sicuramente un figlio d’arte, cresciuto in una famiglia politica importante. Suo nonno, Nobusuke Kishi, è stato primo ministro dal 1957 al 1960. Un leader politico discusso, imprigionato per tre anni dagli Stati Uniti per sospetti crimini di guerra, poi rilasciato e ritornato alla politica domestica. Il padre, Shintaro Abe, è stato ministro degli Esteri dal 1982 al 1986.
Come da tradizione famigliare, Abe cresce tra le fila del Partito liberale democratico (Ldp), il partito di centro-destra che guida il paese dal 1955. Nel 1991 entra nella Camera dei rappresentanti per la Prefettura di Yamaguchi e si impone sul partito fino a diventarne leader politico. Nel 2006 viene nominato primo ministro, ma il suo primo mandato dura solo 366 giorni, interrotto per gli stessi motivi di salute che l’hanno costretto all’abbandono in questi giorni. Nel 2007 il paese entra in un vortice di instabilità politica che durerà ben cinque anni, fino alla sua seconda elezione nel 2012. Inizia la cosiddetta “Abeconomics”, che pone fine al periodo di recessione dopo la bolla economica del dopoguerra.
La politica economica di Abe è stata caratterizzata da un forte abbassamento del costo del denaro, da un ulteriore aumento del debito e della spesa pubblica e dalla riforma economica volta a rivitalizzare un paese tuttora attanagliato dalla deflazione e dall’economia stagnante.
Controversi sono stati i suoi interventi in politica estera, soprattutto nei confronti della Corea del Nord – accusata di aver rapito cittadini giapponesi a fine anni 70 per scopi spionistici – e della Cina, che ha aumentato la sua forza economica e militare rivendicando il controllo sulle isole a sud del Giappone.
Altro punto che ha fatto molto discutere l’opinione pubblica è stato il tentativo di Abe di militarizzare il paese con la revisione dell’articolo 9 della Costituzione giapponese, scritto nel 1947 sotto l’occupazione degli Stati Uniti, che prevede la totale rinuncia alla guerra. Già nel 2006 Abe tentò di far passare questa revisione e di dotarsi di un esercito di offesa, da sempre appoggiato prima dall’amministrazione Obama poi da quella Trump, che mirano ad avere un maggior controllo sul Pacifico. Complici i conflitti con la Cina e la Corea del Nord, Abe ha sempre sostenuto che fosse arrivato il momento di una militarizzazione del paese, quanto meno per motivi difensivi, ma la scelta deve ricevere non solo il consenso di due terzi del parlamento ma anche passare un referendum popolare. Altro grosso ostacolo a questa riforma sono sempre stati i difficili rapporti tra Abe e il precedente imperatore Akihito, che ha sempre mantenuto una linea pacifista, peraltro portata avanti da suo figlio, l’attuale imperatore Naruhito.
Nel complesso Abe ha sicuramente dato stabilità al paese, mantenendo uno stretto controllo sulla stampa e sull’opinione pubblica, ma si è troppo esposto sulla questione delle Olimpiadi che, col senno di poi, non erano prioritarie per il paese. Impuntandosi sui Giochi che sperava potessero distrarre la popolazione da problemi più grossi, non ha voluto cedere neppure di fronte ad una pandemia che ha piegato il mondo. Se fino a marzo l’esecutivo ha voluto far credere che tutto fosse sotto controllo, ad oggi il paese è ancora completamente chiuso, con un impatto enorme sull’economia locale.
Oggi Abe si dimette, nel momento più basso della sua popolarità, sperando forse di avere controllo sul futuro leader politico del suo partito che si deciderà il 15 settembre, o anche magari tentando di ricandidarsi alle prossime elezioni quando il trauma causato dal Covid forse sarà in qualche modo attenuato. Difficile prevedere le mosse di un politico giapponese, ma sicuramente queste dimissioni improvvise lasciano qualche dubbio.