In Libano le istituzioni riprendono forza, ma Israele resta al Sud. Aoun chiede aiuto a Macron, in attesa che i Paesi arabi si accordino con Tel Aviv
Il Libano ora ha delle istituzioni che funzionano, ma ha ancora delle questioni aperte con i suoi vicini di casa, Siria e Israele. Problemi di confine che, soprattutto con gli israeliani, non sembrano così facili da risolvere: l’IDF non è intenzionata a lasciare le postazioni che ancora occupa nel Libano del Sud e bombarda per mettere pressione al governo di Nawaf Salam e indurlo a trattare direttamente con Tel Aviv, mentre il Libano avrebbe bisogno che prima si definiscano i rapporti dello stesso Israele con i Paesi del Golfo.
Probabile, insomma, spiega Mounir Khairallah, vescovo cristiano maronita di Batroun, che i problemi nel Sud del Libano, dove molti sfollati non sono ancora riusciti a ritornare nei loro luoghi di origine, non si risolvano tanto presto. Il Paese, però, sta procedendo nell’opera di riassetto istituzionale che, dopo le autorità della sicurezza, porterà alla nomina di quelle bancarie, mentre si punta anche alla riforma della giustizia.
Il Paese ora ha un presidente e un capo del governo, ma che situazione c’è oggi in Libano?
Adesso la situazione è critica alla frontiera Sud con Israele come alla frontiera Est con la Siria. Entrambi i Paesi stanno esercitando pressioni sul Libano, ma il presidente e il governo vogliono che siano rispettati i diritti del Paese, che gli israeliani si ritirino definitivamente e che vengano delimitati i confini con i siriani. Il presidente Joseph Aoun andrà a Parigi a incontrare il presidente francese Macron, in vista di ulteriori negoziati. Bisogna avere fiducia in una soluzione, anche se siamo in una situazione non facile.
Israele, comunque, non sembra molto intenzionato ad abbandonare le postazioni che ha mantenuto nel Libano del Sud. Qual è l’obiettivo di Netanyahu?
Israele fa pressione per ottenere dei negoziati diretti tra libanesi e israeliani e lo stesso fanno gli americani, ma il Libano in questo momento non li vuole. Non può arrivare a un accordo definitivo con Tel Aviv nella situazione attuale, deve aspettare i Paesi arabi.
Nel senso che senza il loro sostegno non può andare a trattare?
Sì, certo. Gli americani hanno messo in atto un processo per ottenere accordi di pace con Israele da parte dei Paesi del Golfo, soprattutto con l’Arabia Saudita. Quando verrà raggiunto questo obiettivo, firmerà anche il Libano. Dobbiamo aspettare che gli americani normalizzino i rapporti tra Israele e i Paesi arabi.
Le istituzioni, dopo due anni di black-out, hanno ripreso a funzionare. Si sente già un effetto positivo nella vita del Paese?
La presenza dello Stato nella vita quotidiana ora si sente ed è ritornata finalmente un po’ di fiducia dei libanesi in chi governa. Sappiamo, però, che ci vuole tempo, anche se il processo delle riforme è già partito. Parlo, per esempio, della riforma della giustizia. A livello economico, invece, penso che siano in arrivo nomine importanti, come quella del governatore della Banca centrale, mentre per quanto riguarda la sicurezza le nomine ci sono già state e si sono visti i primi cambiamenti in positivo.
Le persone che durante la guerra erano fuggite dalle loro case nel Sud del Paese sono riuscite a tornare nei loro luoghi di origine?
No. È un problema che rimane. Per questo bisogna convincere Israele a ritirarsi e a lasciare che le persone che risiedono nel Sud ritornino alle loro case o a quello che ne è rimasto. Con Israele, però, è molto difficile ottenere qualcosa.
Ma perché l’IDF continua a bombardare? Ci sono davvero altre postazioni di Hezbollah da smantellare, come dicono gli israeliani?
Sono pretesti, bombardano perché vorrebbero trascinare il Libano a negoziati diretti. Penso che il loro obiettivo sia proprio di trascinare il Paese a trattare. Così prendono come scusa la presenza di Hezbollah. Ma le cose non stanno così. La situazione al Sud, insomma, potrebbe rimanere critica ancora per un po’.
Il patriarca cardinale Raï ha ribadito la necessità che si punti all’unità del Paese. Il presidente Joseph Aoun ha invitato a un iftar, la cena di rottura del Ramadan, tutti i capi delle comunità religiose e altre autorità, tra cui il primo ministro Nawaf Salam. Ma in questo momento il Libano, al di là di questo sforzo di unificazione, a quali Paesi si appoggia per cercare di rilanciarsi?
La Francia, gli USA, i Paesi del Golfo. In questi giorni l’emissario del presidente francese è in Libano: Jean-Yves Le Drian era in visita per preparare la visita del nostro presidente, venerdì, a Parigi, dove incontrerà il presidente francese Macron. In vista c’è un summit per aiutare il Libano nella ricostruzione.
La Chiesa libanese, invece, come sta vivendo questo momento?
A livello di Chiesa e di fedeli abbiamo intrapreso il cammino della Quaresima: ci stiamo preparando a celebrare la Resurrezione, che festeggeremo insieme alle altre comunità. Già cristiani e musulmani hanno vissuto insieme Quaresima e digiuno del Ramadan, e poi tutti i cristiani (ortodossi, cattolici, protestanti) festeggeranno insieme la Pasqua il 20 aprile. Un segno di speranza per tutti noi nel cammino dell’anno giubilare, l’anno santo della speranza.
(Paolo Rossetti)
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