Sono trascorsi oltre due anni dalle elezioni che portarono al primo governo Conte in alleanza tra M5s e Lega. È passato poi quasi un anno dal secondo governo Conte fatto in alleanza tra M5s e Pd, dove il Pd era partito di minoranza, di appoggio alla maggioranza del M5s.
Finora quindi il Pd è stato prima all’opposizione e poi socio debole di un governo fatto non per fare qualcosa ma per tenere la Lega lontano dal potere. In queste settimane però le cose per la prima volta appaiono in via di cambiamento.
Anche il governo Conte 2, non meno del Conte 1, appare fallimentare, travolto dalle conseguenze economiche dell’epidemia. A cinque mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria nel mondo, quando cominciò a emergere la prospettiva di un crollo dell’economia globale, come è poi accaduto, l’amministrazione non ha in cantiere progetti concreti di rilancio del paese e dell’attività produttiva.
Oggi, attraverso il Recovery Fund, l’Italia si trova nella situazione paradossale di avere la possibilità di ottenere finanziamenti senza precedenti dai tempi del piano Marshall americano. Sono soldi europei, in parte a fondo perduto, in parte prestiti, pari a oltre il 10% del Pil. Ma non a condizioni zero: all’Italia sono chieste riforme strutturali e progetti concreti. Roma non riesce a rispondere positivamente a queste richieste per cui i finanziamenti sono bloccati e rischiano di restare fermi.
È come se in piena siccità fosse arrivata un’autobotte carica d’acqua ma manchino ora i bicchieri, le bottiglie, le damigiane per distribuire l’acqua. Senza contenitori l’acqua sarebbe sprecata nella sabbia.
La risposta che arriva a Bruxelles da Roma è grosso modo: dateci l’acqua e ci pensiamo noi. Ma senza progetti e senza riforme strutturali la Ue ha ragione di temere che queste risorse vengano sprecate dall’Italia e quindi non le concede.
Infatti se questo accadesse, il risentimento nazionalista del nord Europa monterebbe e aumenterebbe la febbre neonazista in Germania e dintorni. La storia di un secolo fa dice con chiarezza cosa potrebbe significare il ritorno della febbre nazionalista a Berlino.
Questo di fatto crea l’occasione per trasformare il Pd da “socio di minoranza” del governo in suo motore vero. Esso oggi è l’unico partito strutturato, con una sua storia, in teoria in grado di proporre riforme e progetti concreti.
Lunedì mattina la direzione del Pd è l’occasione per cominciare a fare emergere queste proposte. Esse devono diventare rapidamente operative, perché più passa il tempo senza risorse più difficile e costoso diventa far ripartire la macchina dell’economia.
È intorno a queste idee che di fatto deve nascere un nuovo governo. La maggioranza può essere la stessa o allargata, perché la questione riguarda tutte le forze politiche. Al momento le prospettive di premier possono essere due. C’è Mario Draghi, che rappresenterebbe una garanzia per Bruxelles e Wall Street, oppure Lorenzo Guerini che, come ministro della Difesa, ha garantito canali importanti con la Nato in un momento molto delicato del Paese.
Il pallino di tutto è oggi nelle mani di Nicola Zingaretti che deve pensare come far girare il gioco nei prossimi giorni e settimane. Qui paiono esserci due forze contrapposte. I 5 Stelle, partito di maggioranza relativa e sostenitori di Conte, sono un magma in movimento difficile da incanalare e questo spinge a prendere tempo. D’altro canto, però, il crollo verticale dell’economia non da tempo.