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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » DALLA GERMANIA/ I timidi segnali di ripresa “sbiaditi” dall’accordo Usa-Ue sui dazi

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DALLA GERMANIA/ I timidi segnali di ripresa “sbiaditi” dall’accordo Usa-Ue sui dazi

Alessandro Fontana
Pubblicato 6 Agosto 2025
La ministra dell'Economia tedesca Katherina Reiche (Ansa)

La ministra dell'Economia tedesca Katherina Reiche (Ansa)

I dazi Usa al 15% avranno effetti negativi anche per l'economia tedesca, che spera negli investimenti in infrastrutture e difesa

STOCCARDA – Il clima economico tedesco mostra segnali moderati di ripresa: l’indice Ifo è in lieve aumento e le aziende mostrano un cauto ottimismo, anche se la fiducia resta fragile. Le previsioni per il Pil 2025 rimangono deboli (il secondo semestre si è chiuso con una lieve flessione dello 0,1%) e persiste un alto livello di incertezza sul fronte geopolitico.


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Secondo il presidente Ifo Clemens Fuest, i segnali di recupero sono legati alla speranza degli investimenti pubblici straordinari in infrastrutture e difesa. Nonostante l’inflazione stia scendendo, i consumatori risparmiano e spendono poco: una postura tipica del mercato interno tedesco ed europeo, che potrebbe non essere più in linea con il nuovo Weltgeist.


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Persistono i problemi del settore automotive. Gli utili di Volkswagen sono scesi del 38% nel primo semestre 2025, attestandosi al 4,2% del fatturato. Situazione variegata per i diversi marchi del gruppo, con Porsche in caduta libera (margine -91%) e Skoda col vento in poppa (margine all’8% del fatturato).

Lazar Backovic (Handesblatt) spiega i risultati indicando diversi fattori critici: l’andamento del business in Cina, gli accantonamenti per la ristrutturazione, l’aumento delle vendite di veicoli elettrici, che hanno un margine inferiore. Il management di Volkswagen (Oliver Blume) ritiene sufficienti le misure già decise, ma ammonisce che il successo sul lungo periodo dipenderà anche dalle condizioni al contorno. I mercati hanno peraltro digerito le notizie senza farsi prendere dal panico.


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Un ulteriore elemento di criticità è naturalmente rappresentato dai dazi statunitensi. Come nel resto d’Europa, anche in Germania l’esito dei negoziati Trump-von der Leyen è stato accolto con un mix di sollievo (“poteva andare peggio”) e delusione (“accordo sbilanciato”). Occorre inoltre sottolineare che al 15% dei dazi ufficiali occorre sommare un altro 15% dovuto all’effetto dell’indebolimento del dollaro, che porta il rincaro effettivo al 30%. In tempi passati (non cosi lontani) politici ed economisti tedeschi si erano lamentati che l’euro non fosse abbastanza “duro” rispetto al marco: eccoli serviti.

Von der Leyen con Trump
Accordo dazi UE-USA: l’annuncio di Von der Leyen e Trump in Scozia (video X, 2025)

Secondo l’opinione della ministra federale dell’Economia Katherina Reiche riferita da Tagesschau, l’Ue ha negoziato da una posizione di debolezza nella controversia commerciale con gli Stati Uniti. “L’esito dei negoziati sui dazi è un avvertimento per l’Ue, le cose devono cambiare”, ha affermato Reiche. Anche Il Cancelliere Friedrich Merz non appare particolarmente felice: “L’economia tedesca subirà danni considerevoli a causa di questi dazi”, ha dichiarato a margine di una riunione a Berlino. Come sottolinea Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera, appare peraltro strano che von der Leyen abbia raggiunto un accordo senza un mandato da parte dei leader europei.

 

La verità è che l’Ue ha negoziato da una posizione di debolezza perché è strutturalmente più fragile rispetto agli Stati Uniti. I quali, pur non eccellendo in tutti i settori, possiedono comunque una base economica solida e autosufficiente negli ambiti strategici. L’Europa, al contrario, dipende fortemente da attori esterni in almeno due settori chiave: difesa ed economia digitale.

Anche il timore di una defezione statunitense nel conflitto russo-ucraino ha probabilmente contributo a sgonfiare gli europei, che non sono al momento in grado di gestire un vuoto militare sul fianco orientale. In questo contesto, l’iniziativa tedesca di aumentare in modo deciso gli investimenti in difesa appare come un passo necessario e positivo.

Continua in sottofondo la saga Unicredit/Commerzbank. Handelsblatt si chiede quali lezioni si possono trarre dall’acquisizione di HypoVereinsbank, ponendosi una domanda molto profonda: “Conosciamo gli italiani perché andiamo in vacanza nel Belpaese: sono brava gente, giusto?”. Nel giugno 2005, i vertici di Unicredit e HypoVereinsbank si presentarono con entusiasmo alla stampa per annunciare l’acquisizione storica dell’istituto tedesco da parte della banca italiana. In un imponente edificio neobarocco di Monaco, Alessandro Profumo posò una mano paterna sulla spalla del suo omologo bavarese Dieter Rampl, simbolo di un’alleanza ambiziosa.

I mesi successivi videro Profumo esporre la sua visione di una banca europea unita davanti a migliaia di dipendenti, suscitando grande entusiasmo. Tuttavia, la fase iniziale di euforia svanì rapidamente a causa di conflitti interni, riduzione drastica del personale (da circa 22.700 posti di lavoro nel 2005 a poco più di 9.000 nel 2024) e dipendenza crescente da Milano. Oggi, mentre i sostenitori evidenziano gli evidenti miglioramenti in termini di redditività e capitalizzazione, ex dipendenti e critici parlano della HypoVereinsbank come di una appendice subordinata alla strategia di Unicredit, tracciando un bilancio tutt’altro che univoco dell’operazione. Forse gli italiani non sono cosi buoni dopotutto…

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Tags: DaziUrsula Von Der LeyenDonald TrumpFriedrich MerzEconomia Germania

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