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Home » Esteri » Ucraina » DALLA TURCHIA/ “Ecco perché (dopo l’incontro con Trump) Erdogan può tornare a mediare in Ucraina”

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DALLA TURCHIA/ “Ecco perché (dopo l’incontro con Trump) Erdogan può tornare a mediare in Ucraina”

Int. Valeria Giannotta
Pubblicato 7 Ottobre 2025
Il presdente ucraino Volodymyr Zelensky (s) con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Ansa)

Il presdente ucraino Volodymyr Zelensky (s) con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Ansa)

Secondo il ministro degli Esteri turco Fidan una svolta è possibile in Ucraina: una previsione che nasce dai legami sempre più stretti Trump-Erdogan

I russi che avanzano, anche se lentamente, sul campo di battaglia e attaccano le infrastrutture energetiche ucraine. Kiev che fa lo stesso lasciando al buio 40mila persone a Belgorod, in Russia. La guerra in Ucraina sembra conoscere un’escalation dal punto di vista militare, ma per il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan è possibile una svolta nei negoziati.


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Parole che non trovano riscontri nell’attività diplomatica di cui siamo a conoscenza, ma che nascerebbero, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, dai rapporti sempre più stretti fra USA e Turchia, sanciti dagli accordi commerciali siglati in occasione dell’incontro Trump-Erdogan a margine dell’assemblea ONU di fine settembre.


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Ankara, insomma, diventerebbe una sorta di portavoce americano in Medio Oriente come in Ucraina, promettendo agli USA di costruire con loro una centrale nucleare e di non comprare petrolio dai russi, sostituendolo con quello in arrivo dal Kurdistan iracheno. Il viceministro degli Esteri russo Alexander Grushko, intanto, parla però di un alto rischio di escalation nella guerra, dovuto anche all’atteggiamento europeo.

Hakan Fidan prevede una svolta nei negoziati per la guerra in Ucraina, anche se potrebbero volerci “pochi mesi”. Come mai?

La Turchia ha continuato a mediare tra le parti, l’elemento di novità però viene dal vertice bilaterale Trump-Erdogan che si è svolto dopo l’Assemblea generale dell’ONU, incontro che ha rafforzato la proiezione di Ankara verso Washington. La Turchia è un po’ ondivaga, tende a tutelare il proprio interesse nazionale intessendo rapporti con tutti, però il rapporto che c’è fra i due presidenti ha permesso di siglare diversi e importanti accordi economici e sulla difesa. Ma soprattutto ora Erdogan è visto come punto di riferimento per quanto riguarda le mediazioni regionali.


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Che ruolo ricopre in questa fase per gli americani?

Qualche ora prima che Hamas accettasse il piano di Trump, chiedendo di discutere su alcuni aspetti, c’è stata una chiamata Trump-Erdogan: la Turchia si è attivata per fare pressioni su Hamas.

Il legame fra turchi e americani come si riflette concretamente sulle trattative per l’Ucraina?

In questo momento storico la Turchia porterà sul tavolo le istanze americane, proprio perché siamo a un turning point nel rapporto bilaterale. Bisognerà vedere quanto durerà, ma ci sono margini per pensare che l’asse turco-americano possa permanere nel tempo. Per l’Ucraina mi aspetterei che da qui a poco ci sarà un nuovo round negoziale, magari a Istanbul.

In un’intervista al canale tv turco TRT Haber, ripresa da Ukrainska Pravda, Fidan dice che le parti (compresa l’Europa che alza la tensione sui presunti droni sconfinati) stanno intensificando gli sforzi militari per evitare di mostrarsi deboli in vista di un futuro negoziato. È davvero così?

Potrebbe essere. È la teoria realista delle relazioni internazionali, che continua ad essere valida. Per mostrare agli altri che non si sta perdendo bisogna produrre un’escalation: alzo l’asticella per avere più potere negoziale quando ci si siede al tavolo delle trattative. In questo momento, comunque, la Turchia è una sorta di portavoce degli USA.

Il nodo cruciale sarebbe la parte di Donetsk che i russi non hanno ancora conquistato. In generale su quali basi potrebbe essere raggiunta la pace?

Donald Trump, presidente USA, in Scozia il 28 luglio 2025 (Ansa)

Ritengo che i territori conquistati rimarranno alla Russia. Chi dovrà fare delle concessioni su Crimea, Donetsk e Lugansk sarà l’Ucraina, che dovrà essere neutrale rispetto a organizzazioni internazionali come la NATO e l’UE. D’altra parte siamo in una congiuntura storica molto delicata, in cui c’è un’Europa ripiegata su se stessa, che non va da nessuna parte, e che attua decisioni illogiche e irrazionali.

Qual è il do ut des fra Erdogan e Trump?

Se guardiamo agli accordi siglati la Turchia verrà inserita nel sistema di difesa degli F-35 americani. Dovrà sbarazzarsi del sistema missilistico S-400 preso nel 2018 dalla Russia, magari dandolo alla Siria o a qualche Paese limitrofo. Sicuramente ha dovuto dare delle garanzie all’America.

Ma se la Turchia diventa la voce degli USA in scenari come l’Ucraina o la Siria, come si evolveranno i rapporti con la Russia?

La Turchia sta già costruendo due centrali nucleari in consorzio con la Russia, ma ora ha siglato con Washington un accordo per una centrale nucleare patrocinata dagli americani: dovrebbe esserne costruita una con fondi USA e sudcoreani. Ankara ha sempre fatto grandi equilibrismi, dettati anche dalle necessità geografiche imposte dall’area in cui si trova, che la costringe ad avere a che fare con mondi diversi. Quando Trump ha avanzato la richiesta che la Turchia non compri più il petrolio russo si è sbloccato quello che arriva dal nord dell’Iraq, dal Kurdistan europeo. Una logica a geometrie variabili che la Russia ha sempre capito, accontentandosi che la Turchia, che è pur sempre un membro NATO, non interferisca con gli interessi diretti di Mosca nell’area, con le sue basi o le azioni militari.

(Paolo Rossetti)

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