DALLA ZONA ROSSA/ “Vi racconto come ho sconfitto la paura del coronavirus”
La sede dell’azienda di Lorenzo Dornetti si trova nel lodigiano, all’interno dell’ormai nota zona rossa. La sua attività non si è fermata

Spesso mi trovo come psicologo esperto di Neurovendita a studiare fenomeni sociali attraverso le neuroscienze. In questo caso sono un osservatore diretto, un testimone di “prima mano”. Perché? La sede della mia azienda è nella zona rossa. Io stesso risiedo negli ormai “noti” comuni del lodigiano. Sono quindi un testimone diretto che vive in prima persona l’impatto di quanto accaduto per il “coronavirus”.
Gli studi di Neurovendita, che legano acquisti e cervello, hanno dimostrato che le scelte sono guidate dalle emozioni e dall’imitazione, poco dalla razionalità. Con buona pace di Aristotele, non siamo “animali razionali”. Se questa asserzione è vera nei fenomeni di consumo e nelle mode, diventa un imperativo assoluto di fronte a un pericolo reale. L’ho visto con i miei occhi. L’emozione dilagante nei primi giorni è stata la paura. Il virus è penetrato nel cervello di tutti, generando il panico.
Cos’è la paura? Un’emozione determinata dalle strutture neurali del cervello limbico. Una pulsione definita nella nostra architettura nervosa funzionale a salvarci la vita innescando il pilota automatico di fronte a situazioni pericolose. La paura è una carica di energia che attiva il comportamento in 3 direzioni: attacco, fuga e attesa. Se sperimentiamo paura: scappiamo dalle situazioni, diventiamo aggressivi o ci isoliamo restando immobili. Queste tre reazioni hanno colto le 50.000 persone che risiedono in questi comuni tranquilli, quasi sonnolenti. Cittadine che mantengono una loro identità in bilico tra la modernità dell’essere alle porte di Milano e la sentita tradizione agricola del territorio.
Alcuni hanno cercato di scappare, come se andarsene dalla zona del focolaio fosse sufficiente a proteggere dal pericolo se stessi e le proprie famiglie. La rabbia invece si è consumata e cresce nell’agone dei social. I commenti delle persone sono cattivi, contro tutto e tutti. Le persone sono arrabbiate per essere state stigmatizzate, umiliate, lasciate senza informazioni o peggio ancora con indicazioni discordanti. Ma forse la reazione più osservata è il freezing. La gente è rimasta pietrificata. Terrorizzata. Si è barricata in casa. Anche l’assalto ai supermercati è da leggere come una preparazione al fatto che inconsapevolmente molti si preparavano a restare chiusi nelle loro abitazioni per un tempo infinito. Immobili. In attesa che il pericolo invisibile passasse.
Si tratta di reazioni emotive estreme. Comprensibili per la struttura del sistema nervoso di fronte al contagio e amplificate da una comunicazione incoerente delle istituzioni, amplificata dai media e accelerata da “fake news” di ogni tipo, condivise via chat tra le persone.
Io personalmente ho provato e provo paura. Ho sperimentato la voglia di scappare, la rabbia e il terrore immobile di barricarmi in casa con la mia famiglia davanti alla TV. Poi mi sono ricordato una delle cose che avevo studiato all’università. La paura non si può sconfiggere, si può solo ignorare riempiendo il cervello di attività. Di fatto il cervello non supera la paura, semplicemente la dimentica se si riempie il campo attentivo di altri stimoli. La paura passa temporaneamente solo quando si agisce.
Per questo con i miei collaboratori abbiamo deciso di attrezzarci in fretta e furia, con lo smart working. Per provare a continuare a fare attività produttive, godendosi nelle pause i familiari che spesso si vedono poco. L’obbiettivo di business era continuare a fornire i servizi di selezione e formazione targati Neurovendita ai nostri clienti. L’obbiettivo personale era provare a ignorare la paura ci avvolgeva. Ci siamo “quasi riusciti”.
Questa è la mia esperienza a metà tra emotività vissuta e tentativo di trovare nella razionalità una risposta a questa inattesa situazione del virus con la corona.
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