Dante prese residenza stabile a Ravenna intorno al 1318 con i figli Pietro, Jacopo e Antonia. Ecco le sue tracce, tra testimonianze e vicende familiari (2)
Dante prese residenza stabile a Ravenna intorno al 1318, con i figli Pietro, Jacopo e Antonia. Quest’ultima, entrata all’età di vent’anni nel convento delle Domenicane col nome di sorella Beatrice, visse lì per altri trent’anni. Anche a proposito dell’abitazione di Dante, gli storici fanno ipotesi diverse.
Secondo alcuni, non soltanto Corrado Ricci, la casa in cui abitò Dante era un palazzo dei da Polenta, chiamato Palazzo Beldeduit (dal francese antico “bel diporto”), demolito dai Veneziani nel XV secolo; sorgeva nei pressi dell’attuale stazione ferroviaria, nell’antica strada di Santo Stefano degli Ulivi, l’odierna via Beatrice Alighieri, così chiamata perché davanti a tale palazzo sorgeva l’omonima chiesa, annessa al convento delle suore Olivetane (Domenicane), dove visse appunto Antonia Alighieri, la quale non fu mai dimenticata: né dai fratelli, né dagli amici ed ammiratori del padre.
Mons. Mario Mazzotti (1907-1983) afferma che la Chiesa di Santo Stefano degli Ulivi, la cui prima edificazione risale al X secolo (e di cui non è noto il motivo del titolo “De Olivis”), dal XIII secolo ospitò un monastero femminile che prima della metà del XIV secolo fu assegnato alle Domenicane: anche per questo possiamo dire con certezza che Antonia-suor Beatrice fu domenicana. Nel 1826, finita la soppressione napoleonica, le Carmelitane acquistarono chiesa e convento, da cui furono sfrattate dopo l’unità d’Italia, vittime della politica anticlericale del tempo. Ma questo è un altro discorso…
A Ravenna, Dante terminò di scrivere la Comedìa. Chi dice gli ultimi 13 canti del Paradiso; chi tutto o gran parte della terza Cantica; altri ancora, anche gli ultimi sei canti del Purgatorio. Il primo codice (la prima trascrizione) completo, il Landiano, risale al 1336, quindici anni dopo la morte di Dante, ed è conservato nella Biblioteca Civica di Piacenza (il copista era stato il marchigiano Antonio da Fermo), il secondo è dell’anno seguente (1337) e si trova nella biblioteca Trivulziana di Milano; i versi danteschi furono trascritti in un volgare conosciuto poco e male, dunque con potenziali errori. Un’altra fonte afferma invece che la prima copia manoscritta conservata risale al 1330-1331.
Giorgio Petrocchi, curatore dell’edizione critica dell’opera di Dante (la sua prima edizione della Divina Commedia, 1966-67, ha richiesto un esame filologico accurato di tutti i manoscritti del XIV secolo), che leggiamo tutt’ora (nel 2021, 700esimo anniversario della morte di Dante, è uscita la nuova edizione critica curata dal prof. Malato), ipotizza che il canto XVII del Paradiso, dove viene tributata un’appassionata lode a Cangrande, sia il canto del congedo da Verona.
I canti certamente ravennati sono quelli dal XXI (dove compare San Pier Damiani) in poi. Sicuramente, prima della sua morte, solo una parte del Paradiso era stata fatta circolare e questo giustifica la storia dei 13 canti, prodigiosamente ritrovati dal figlio Jacopo, narrata da Boccaccio.
La citazione della pineta di Classe nel canto XXVIII del Purgatorio non può essere considerata frutto di un soggiorno stabile del poeta a Ravenna, ma indica soltanto che durante l’esilio, prima del suo arrivo finale, Dante aveva visitato Ravenna e i suoi dintorni.
È infatti documentato un soggiorno di Dante a Forlì nel 1303 (durante questo soggiorno è verosimile anche una visita a Ravenna, dato che il poeta era una sorta di ambasciatore della parte Guelfa Bianca) e anche nel 1310, come richiama Giorgio Zauli nel suo bel libriccino Dante passò per Rocca e forse…, in cui documenta che Dante era amico del vescovo di parte Guelfa Bianca di Faenza: allora, quella di Faenza era una diocesi molto estesa, che arrivava da un lato alle porte di Ravenna e, dall’altro, fino ai colli dell’Appennino Forlivese.
(2 – continua)
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