A Ravenna Dante Alighieri, ospite dei da Polenta, scrisse la terza cantica e non solo. Inizia con questo articolo un "viaggio" nel Dante ravennate (1)
Cogliamo l’occasione del 760esimo anniversario della nascita di Dante Alighieri (1265-2025), il “Sommo Poeta” e padre della lingua italiana, per rileggere la Divina Commedia in chiave romagnola (ma non solo), vuoi perché in Romagna Dante ha svolto per conto di diverse Signorie il ruolo di ambasciatore; vuoi perché a Ravenna, città romagnola in cui Dante ha vissuto gli ultimi anni della sua vita di esiliato, egli ha scritto tutta o gran parte della cantica del Paradiso (e, secondo alcune fonti, anche gli ultimi canti del Purgatorio); vuoi, infine, perché egli è sepolto proprio nella città portuale adriatica e dei mosaici.
A Ravenna si svolgono ogni anno costanti letture pubbliche e spettacoli a lui dedicati. E senza dimenticare che questi eventi, in gran parte inseriti nel Settembre Dantesco, vanno associati ai non pochi contributi critici pubblicati nella città che ne accoglie appunto le spoglie, grazie all’Opera di Dante, alla Società Dante Alighieri, al Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, al Museo Dante, all’Associazione Oltre Dante ed altre ancora.
La Comedìa è così chiamata molto umilmente da Dante quando scrive a Cangrande della Scala, signore di Verona e suo mentore, a cui invia l’opera a mano a mano che la compone. L’ultima epistola a Cangrande, nello specifico la XIII delle epistole dantesche che ci sono pervenute, resta, secondo gran parte degli studiosi, di dubbia autenticità; essa è comunque importante, in quanto fornisce una fondamentale chiave interpretativa della Divina Commedia stessa.
Propone infatti una prima etimologia della parola comedìa, che Dante attinge da uno studioso del suo tempo. Il nome deriva dalle parole latine: comos (villaggio) e oda (canto). La comedìa sarebbe dunque un “canto villereccio”, un villanus cantus, un canto campagnolo, scritto con un linguaggio umile, appunto quel volgare che sarebbe diventata la nostra lingua nazionale.
C’è anche una seconda etimologia, attestata dai moderni studi di linguistica, secondo cui tale parola deriva, attraverso il latino, dal greco Komoidìa, la quale, molto probabilmente, indicava un “canto del festino”, cioè un canto della festa in onore del dio Dioniso.
Comunque, più che l’etimologia, a nostro parere è importante la distinzione che Dante fa tra la commedia e la tragedia, fattore che distingue la Divina Commedia, ad esempio, dall’Eneide, in base alla tradizionale tripartizione degli stili (tragico, comico, elegiaco), che il Medioevo aveva ereditato dalla classicità.
Boccaccio usò per primo l’aggettivo Divina, per definire la Commedia, nella sua biografia di Dante, il Trattatello in laude di Dante, ma tale titolo si impose quando il grammatico Ludovico Dolce lo inserì nel frontespizio dell’edizione veneziana del 1555, da lui stesso curata.
Dante, si diceva, visse a Ravenna gli ultimi anni della sua vita. Gli storici non sono d’accordo tra loro sulla lunghezza di tale periodo: c’è chi afferma dal 1313, dal 1314, o dal 1315, chi soltanto dalla fine del 1319, o dalla primavera del 1320… Lo studioso ravennate Corrado Ricci fissa la data nell’anno 1317, dopo l’ascesa al governo della Signoria di Ravenna di Guido Novello da Polenta, che risale all’ottobre 1316. La cronologia degli spostamenti di Dante, durante i suoi quasi vent’anni d’esilio, non dispone di una documentazione sufficiente, per cui le certezze sono assai scarse e sono pertanto legittime le diverse ipotesi.
Tuttavia, l’affermazione di Boccaccio che Dante sia venuto a Ravenna dopo la morte di Enrico VII, avvenuta nel 1313 (che tante speranze aveva suscitato in lui, anche per un suo rientro a Firenze), fu presa alla lettera da Ugo Foscolo e da Giovanni Pascoli, mentre oggi è ritenuta inattendibile dagli studiosi più autorevoli.
Ad esempio, lo storico Alessandro Barbero nel suo libro Dante (pp. 242-243) la smentisce, ritenendo plausibile un primo periodo pisano, seguito da uno veronese, appunto alla corte del citato Cangrande, la cui cronologia non è tuttavia determinata con certezza. Restando incerta la partenza da Verona per Ravenna, Barbero ritiene plausibile la data del 1318-1319 (pp. 257-258). E noi con lui.
(1 – continua)
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