Nell’accordo USA-UE sui dazi acquisti di 750 miliardi di energia americana, non certo a km zero. Aumentando l’offerta i prezzi potrebbero diminuire

In un’epoca in cui si parla di riduzione delle emissioni, di politiche green, andare a prendere il gas negli Usa non è proprio il massimo: la lunghezza del viaggio, infatti, le emissioni le aumenterà sicuramente. Ma la necessità da parte europea di comprare energia Usa per 750 miliardi, compresa nell’accordo che stabilisce dazi del 15% sulle merci del Vecchio Continente, potrebbe portare anche qualche vantaggio, come ad esempio la riduzione del prezzo.



Chi ci smena in questa intesa, spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, oltre all’ambiente inquinato per trasporti più lunghi, in realtà è l’Africa, uno dei produttori emergenti, che però potrebbe reagire aumentando l’offerta e contribuendo a una ulteriore diminuzione dei prezzi.

Di certo la presenza della voce energia nell’accordo USA-UE certifica che il gas e il petrolio sono ancora le fonti energetiche più importanti. E lo saranno ancora. L’Italia, tra i Paesi che più si approvvigionano all’estero, sarà uno dei Paesi che sentiranno più il peso dell’intesa.



Nell’accordo USA-UE la voce energia ha un peso non indifferente. Che cosa significa questa parte dell’accordo?

Le cifre sui siti americani parlano di 750 miliardi di energia da vendere all’Europa, anche se non è ancora chiaro del tutto cosa comprenda questa voce. Gli europei dovranno acquistare il gas naturale liquido (GNL) americano. Guardando le statistiche ufficiali, nei primi cinque mesi dell’anno gli Stati Uniti hanno esportato gas naturale per 23 miliardi di dollari e petrolio per 43 miliardi di dollari: vuol dire che i volumi di importazione devono essere incrementati in modo consistente, 750 miliardi è una grossa cifra. In ballo ci sono volumi importanti.



Secondo me l’accordo è positivo, perché rafforza il legame con gli Usa e aumenta l’offerta di gas in Europa. Aumentando l’offerta avremo prezzi più bassi, anche se lo dobbiamo fare attraverso una guerra commerciale e non sfruttando la nostra produzione interna.

Quanto ci penalizza la mancata produzione interna?

Noi rinunciamo alla potenziale produzione italiana di gas di almeno 10 miliardi di metri cubi all’anno. E siccome, stando cauti, paghiamo 30 centesimi al metro cubo, il conto è presto fatto: 30 centesimi per 10 sono 3 miliardi di euro. Sfruttando queste risorse potremmo aumentare il nostro Prodotto interno lordo. Se l’attività mineraria è a carico degli Stati Uniti, operai, acquisto macchinari, tasse, royalties rimangono là.

L’Italia, per il tipo di approvvigionamento energetico, è più danneggiata di altre da questo accordo?

L’Italia, per l’energia, è il Paese che più dipende dalle importazioni dall’estero, insieme alla Germania. La Francia ha il nucleare, la Gran Bretagna ha il gas del Mare del Nord: rispetto ai grandi Paesi, noi siamo un po’ più dipendenti dall’importazione di gas, perché ne consumiamo tanto, in particolare per la produzione di energie elettriche. Il peso di questo accordo ricadrà in misura maggiore su di noi.

Bisognerà vedere anche cosa vuol dire, perché è la prima volta nella storia che c’è un obbligo di importare più prodotti energetici. Tra l’altro non è che ci sia chissà quale vantaggio competitivo, di politica industriale da parte degli americani: esportano una commodity molto base, un prodotto minerario.

Abbiamo proprio bisogno del gas americano?

Di gas ne possiamo trovare tantissimo anche più vicino a noi, in Nord Africa e nel resto del continente, nel Qatar, in Medio Oriente. Chi ci rimette, se noi dobbiamo aumentare l’acquisto di gas dagli Stati Uniti, è l’Africa. Ma anche l’ambiente, perché per trasportarlo da così lontano si consuma più energia, ci sono più emissioni.

Comprando più gas dagli Usa ne compreremo di meno dall’Algeria?

Va anche bene, perché gli Stati Uniti sono il secondo fornitore di GNL e sono affidabili. C’è il problema della distanza, ma questo sta diventando il gas del futuro: speriamo che sia anche uno stimolo per l’Africa per vendercene di più.

In termini di costi potremmo pagarlo di più o di meno?

L’aspetto straordinariamente positivo sarà che gli americani si affidano a regole di mercato. Vogliono accordi di lungo termine, però i prezzi sono quelli di mercato. Se siamo bravi ad aumentare l’offerta, come l’accordo lascia intendere, e se, come è probabile, grazie anche alle rinnovabili ridurremo i consumi, i prezzi dovrebbero scendere nei prossimi anni, anche perché aumenterà l’offerta di gas naturale liquefatto dall’Africa.

Ci sono progetti in corso, anche dal Qatar. Non è che gli americani ci fanno beneficenza, sono le regole di mercato. I prezzi da noi sono un po’ scesi, 32 euro MWh. Negli Stati Uniti sono a 10. E questo dura da 5 anni. Il prezzo è più basso perché c’è un aumento straordinario di offerta: l’accordo può facilitare un contagio per quanto riguarda l’economicità del gas, tale per cui l’eccesso di offerta degli americani arriva anche in Europa.

Gas e petrolio, comunque, rimangono le fonti più importanti?

Trump parla di Energy Dominance, ma non abbiamo bisogno di lui per dire che gas e petrolio dominano. Ne stiamo importando di più dagli Usa e questo è positivo, riducendo la dipendenza dell’Europa dal Medio Oriente. Purtroppo anche dalla Russia, che ha gas e petrolio, ma non ce lo dà perché è un’autocrazia. E allora parliamo del resto del mondo, degli Stati Uniti, che sono alleati.

Questo approvvigionamento di gas forzato dagli Stati Uniti contraddice un po’ i dettami del Green Deal?

Sì, anche se il Green Deal lancia la palla al 2040, anche al 2030, che non è proprio domani ma dopodomani. Qualche contraddizione salta fuori. Spero, comunque, che in Europa venga vietato il termine “verde”: il 60% dei nostri consumi energetici vengono dal petrolio e dal gas, la principale fonte di riscaldamento da noi rimarrà a lungo il gas, e la domanda di energia per il riscaldamento è uno degli elementi più importanti nell’economia dell’energia. Alcuni Paesi come l’Italia lo usano ancora tantissimo per la generazione elettrica.

(Paolo Rossetti)

 

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