Cosa prevede (finora) l'accordo UE-USA sui dazi: tutti i dettagli e cosa può cambiare ora per i commerci dell'Italia. I settori colpiti e quelli salvati

COSA SAPPIAMO FINORA SULL’ACCORDO UE-USA PER I DAZI DA AGOSTO 2025

Come ha ricordato oggi la Presidente Meloni, finché l’accordo sui dazi tra UE e USA non sarà giuridicamente vincolante (ovvero, verrà messo per iscritto) il margine per intervenire e modificare alcune parti è sempre possibile: i dettagli infatti finora sono quelli ribaditi da Ursula Von der Leyen e Donald Trump nel vertice di ieri in Scozia, ma dietro quel 15% complessivo vi è in realtà un macro-mondo in grado di cambiare molto delle economie americane e dei singoli Paesi europei.



Fatta la premessa per cui ogni possibile accordo è meglio di un non-accordo – e che dunque i dazi al 15% è meglio della precedente minaccia americana di tariffe con i prodotti UE al 30% – al momento l’accordo siglato da Von der Leyen e Trump, e messo a punto dal Commissario UE al Commercio Sefcovic e dal tandem USA Howard Lutnick e Jamieson Greer, vede una generale tariffa al 15% per tutti i prodotti provenienti dall’Europa e importati negli Stati Uniti, inclusi i settori di auto, farmaceutica e semiconduttori.



Francoforte, la sede della BCE (ANSA-EPA 2025)

Allo 0% invece per quanto riguarda aerei, componenti, prodotti chimici e agricoli, così come le risorse naturale e le materie prime essenziali: restano dazi al 50% al momento solo per alluminio e acciaio, anche se Bruxelles tenterà fino all’ultimo di ridurre quella cifra prima di sottoscrivere il testo. Ad oggi, non viene inserito alcun dazio per le importazioni in Europa dei prodotti americani, mentre la promessa della Commissione UE fatta a Trump è quella di 600 miliardi di dollari in investimenti negli Stati Uniti, con tanto di acquisto da 750 miliardi per l’energia (gas liquido, petrolio e nucleare).



Per quanto riguarda il settore energetico va aggiunto che non sarà l’UE a garantire pienamente tale misura, dato che saranno le compagnie private europee a muoversi in questo range tariffario: le cifre dunque «sono basate sull’analisi delle necessità dell’Unione Europea», ribadisce la componente americana dopo la lunga trattativa con Bruxelles. Migliorano i dazi sul settore automobilistico, passando dal 27,5% al 15% anche se l’Europa potrebbe applicare una tariffa del 2,5% sulle marche americane importate in UE (ma è un indiscrezione ancora tutto da verificare).

IL CALCOLO SUI (POSSIBILI) COSTI PER L’ITALIA DOPO L’ACCORDO SUI DAZI AL 15%

Quello che sicuramente avrà una esenzione a dazi 0% sono quei settore considerati strategici e “ottenuti” dal negoziato tra UE e USA conclusosi ieri in Scozia: si tratta dell’industria aerospaziale, gli aerei civil, i macchinari industriali e anche la robotica in stadio avanzato, insomma tutti i settori con alta tecnologia e spese già altissime di base. Sebbene appunto un accordo complessivo al 15% sugli altri settori sia preferibile alla guerra commerciale o a dazi comunque altissimi al 30%, resta un macigno per le aziende e i Paesi che fondano molto del loro export sui rispettivi prodotti.

Premier Giorgia Meloni con il Presidente USA Donald Trump al G7 in Canada (ANSA 2025, Filippo Attili)

 

Secondo le stime di Confcommercio, mutuate l’indomani dell’accordo siglato tra Trump e Von der Leyen, l’impatto dei nuovi dazi rischia di avere per la sola Italia un costo tra gli 8 e i 10 miliardi di euro: servono subito misure di sostegno (già preannunciate dal Governo Meloni con imminenti convocazioni delle sigle di settore a Palazzo Chigi e alla Farnesina, ndr) e controazioni per evitare di pagare ulteriormente dazio con gli ostacoli ancora presenti nelle regole burocratiche di Bruxelles.

A rischio restano i posti di lavoro nelle aziende dei settori maggiormente colpiti (farmaceutica, agroalimentare e high-tech a basso costo) se non si riuscirà a controbilanciare con export differenziato su altre mete, e se non si dovesse diminuire ulteriormente i dazi sotto il 15% per ora deciso.

Secondo l’impatto stimato da ISPI, i dazi americani andranno a penalizzare gli Stati UE che hanno forte esposizione commerciale verso l’America, ovvero Irlanda, Italia e Germania in primis: sul calcolo netto per il PIL si rischia una contrazione dello 0,2% per il nostro Paese, meglio di quello tedesco ma più esposto del PIL francese.