I giornali USA dicono che sui dazi Trump alla fine è il primo che si tira indietro. La debolezza dell'Ue potrebbe suggerire la scelta giusta

È opinione corrente che in merito ai dazi che Trump continua a minacciare, e in parte ha introdotto, l’Europa abbia due possibilità: negoziare accordi commerciali, e la Gran Bretagna lo ha già fatto, oppure reagire con altri dazi. Non esisterebbe una terza via per uscire dalla linea di tiro degli USA.

Invece, ignorare le minacce, attuando il vecchio principio “ozia e negozia”, potrebbe essere una soluzione coraggiosa ma vincente.



In questi giorni infatti la magistratura statunitense, che è composta di organi di nomina e non di carriera, cominciando dalla Corte Internazionale del Commercio con sede a New York, comportandosi come vera ed unica forza di opposizione politica, sta producendo una serie di decisioni pro che potrebbero depotenziare, se non fermare, l’azione approssimativa quanto caotica del presidente.



Questo è il primo motivo, facile da capire, che dà la misura del travaglio in cui versano i vari apparati federali o statali, divisi tra l’applicazione e l’annullamento degli atti dell’amministrazione Trump.

Esiste, inoltre, tutta una serie di dubbi e imprecisioni nelle proposte negoziali. La confusione è tale che il presidente USA potrebbe recedere in qualsiasi momento dalle trattative e alzare la posta del compromesso. Pensiamo ai dazi del 145% prospettati alla Cina. Se Trump vuole spararsi nei piedi, però, l’Europa non lo deve seguire.

In più, quali sono le richieste sul tavolo? Riforme fiscali, maggiore importazione di idrocarburi e di apparati difensivi dagli USA, oppure il distacco commerciale dalla Russia e dalla Cina. O forse Trump mira ad un’area atlantica di libero scambio. Magari le richieste di Trump sono queste, oppure sono altre, nessuno lo sa.



Poco percorribile è anche il cammino dei contro-dazi. I dazi di Trump, per gli americani, sono già una tassa di importazione. Perché gli europei dovrebbero fare lo stesso e colpire il mercato interno con barriere ritorsive? E poi, come farebbe l’UE, che non riesce a compattarsi neanche davanti alla guerra, a reagire all’unisono?

Competente a trattare per l’UE è la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ma il vero ostacolo è la copertura politica della linea adottata. I Paesi membri, almeno i principali, sono e sarebbero divisi sulla linea da tenere, a seconda delle rispettive convenienze. Come possono per esempio Paesi esportatori come Italia e Germania ad accordarsi con Paesi importatori come Belgio, Francia e Irlanda? Come si comporterebbero i Paesi dell’Est Europa, con la Polonia in testa?

Se poi guardiamo altrove, verso la Cina, avremmo ulteriori motivi per ignorare la minaccia. E teniamo conto che l’UE è il primo mercato di importazioni statunitensi e ha fornito beni e servizi per 606 miliardi di dollari ad aziende e consumatori americani nel 2024, circa un terzo in più della Cina.

In mezzo a questa tempesta di incertezza sulla vicenda dei dazi il primo a recedere dai suoi intenti è sempre stato Trump, che ha rinviato sempre i dazi poco dopo averli annunciati. Tanto che nei giornali americani hanno coniato per lui l’acronimo TACO (Trump Always Chicken Out, Trump si tira sempre indietro).

Nessun analista si è espresso apertamente in merito ai presunti motivi per cui Trump stia tergiversando, ma non è difficile pensare che la pressione delle multinazionali americane e il caos dei mercati finanziari abbiano giocato un ruolo molto forte.

Da ultimo possiamo affermare che l’UE non avrebbe frecce al suo arco per contrastare le iniziative di Trump neanche se volesse, poiché qualsiasi iniziativa finirebbe per spaccare ancora di più l’Unione. Ignorare quindi i ricatti americani potrebbe essere la scelta migliore, anche perché seguendo il mercato maggiore anche altre realtà più piccole potrebbero seguire l’esempio europeo, sterilizzando il caos di Trump. Con altri tre anni di mandato presidenziale, sarebbe un buon precedente.

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