L'accordo sui dazi tra Usa e Ue non appare soddisfacente, ma le colpe non vanno attribuite solo alla Commissione
Perché i principali governi europei non hanno negoziato con l’Amministrazione Trump? I colpevoli sono loro, non la sbiadita ambasciatrice accorsa a omaggiare il sovrano al golf resort in Scozia, ora facile capro espiatorio. Era a tutti noto che non si negoziava. Eppure nel commercio estero si realizza “il sogno di Ventotene”: è materia interamente “federale”, completamente delegata alla Commissione; attraverso l’Anti-Coertion Instrument, “il bazooka” economico potenzialmente applicabile per far fronte ai colpi unilaterali della Casa Bianca, si sarebbe potuto ricorrere anche al voto a maggioranza nel Consiglio dei capi di Stato e di governo. Non si è fatto. Nessun governo l’ha invocato seriamente. Quindi, non c’è stato negoziato.
Perché i nostri governi non hanno negoziato? Innanzitutto, per una ragione culturale e politica: se leggi il cambiamento d’epoca come the West contro the Rest, ti condanni alla sudditanza. Se, in tale prospettiva, interpreti la Russia come “minaccia esistenziale” e intendi continuare a sostenere l’Ucraina “fino alla vittoria”, sancisci la tua totale dipendenza militare ed energetica dagli Stati Uniti, finanche per la tua esistenza.
Da qui discende, inevitabilmente, che non hai potere negoziale verso colui dal quale dipende la tua sopravvivenza economica e politica. Non puoi che piegarti alle sue richieste, sempre più pesanti.
Il vassallaggio dei leader europei verso The Donald è, paradossalmente, anche effetto della valanga di asset finanziari americani in mano alle fasce alte delle famiglie europee. L’enorme patrimonio è stato minacciato da una norma apparsa nel famoso One Big Beautiful Bill Act (OBBBA): la clausola 899, un’imposizione punitiva sui redditi percepiti dai non residenti (principalmente redditi da capitale).
Il dispositivo, poi ritirato, prevedeva l’innalzamento del 5% all’anno, per ogni anno di vigenza di quella che, per ragioni assolutamente arbitrarie, l’Amministrazione avrebbe considerato “iniqua tassazione delle imprese Usa all’estero”. Nella versione discussa alla Camera dei Rappresentanti, l’incremento rispetto al tasso ordinario era fino al 20%.
Con la “revenge tax” il presidente Trump ha mandato un avvertimento chiaro. Il ministro Giorgetti l’ha rilevato: “L’accordo formalizzato in sede G7 sulla global minimum tax è un compromesso onorevole trovato con l’Amministrazione americana che protegge le nostre imprese dalle ritorsioni automatiche originariamente previste dalla clausola 899 dell’Obbba all’esame del Senato Usa. Dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione e favorire il dialogo”. Come previsto dal nostro ministro, il lavoro è continuato, fino alla disfatta.
Infine, il comportamento dei governi europei si spiega con l’incapacità di storicizzare l’impianto neoliberista-mercantilista a fondamento dell’Unione. Le classi dirigenti Ue, in particolare larga parte delle leadership politiche progressiste, sono convinte che la regolazione delle economie vigente negli ultimi 40 anni sia l’ordine naturale delle cose. Ossia che, per l’Ue, avere un avanzo commerciale di 3 punti di Pil sia una condizione a-storica, un diritto inalienabile e, conseguentemente, un dovere di Washington contribuire a garantirlo.
Evitano di prendere atto che gli Usa non sono più la più grande economia del pianeta (a parità di potere d’acquisto superata da anni dalla Cina e presto anche dall’India), né sono più il campione mondiale della ricerca e dell’innovazione e continuano ad accumulare debito interno (arrivato al 125% del Pil) ed estero (arrivato al 100% del Pil).
In sostanza, i nostri leader non si rassegnano a un incontrovertibile dato di realtà: gli Stati Uniti non possono più svolgere la funzione di consumatore globale, nonostante battano ancora la moneta di riserva del pianeta. Vogliono ignorare che il presidente Biden si è mosso in continuità e ha rafforzato, seppur con incentivi alle imprese in loco invece che con l’inasprimento dei dazi, la linea protezionista della prima Amministrazione Trump.
Evitano di riconoscere che il così difeso assetto libero-scambista, attuato con ferocia attraverso il mercato unico europeo, ha svalutato il lavoro e mutilato le condizioni della classe media da entrambe le parti dell’Atlantico.
L’umiliante capitolazione delle leadership europee, nazionali in primis, non era l’unica risposta possibile o la risposta meno costosa nella situazione data. L’alternativa era ed è riconoscere l’esaurimento della fase liberista-mercantilista del capitalismo post-’89, lasciare Trump ai suoi atti comunque unilaterali e concentrarsi sul potenziamento della domanda interna nell’enorme e ancora relativamente ricco mercato continentale.
Quindi, l’alternativa era e rimane compensare le imprese colpite dalla riduzione dell’export oltre Atlantico (sarebbe sufficiente una frazione della maggiore spesa impegnata in armamenti e gas) e impostare una strategia di politica industriale multisettoriale accompagnata da interventi di rivalutazione del lavoro.
Per accumulare un minimo di autonomia politica, va data un’altra lettura del cambio di stagione in corso. Va preso atto del pianeta multipolare e del tramonto della centralità dell’Occidente. Va conseguentemente promosso, insieme ai Brics, un ordine multilaterale: un’architettura per la sicurezza comune intesa in senso lato, modello Helsinki 1975, ma inclusiva della prevenzione della catastrofe climatica e rianimatrice della cooperazione per lo sviluppo sostenibile, a partire dall’Africa.
In tale prospettiva, va posta su basi fattuali la questione Russia, impossibilitata per limiti demografici ed economici alle avventure imperialiste strumentalmente attribuitele. Quindi, avviata un’interlocuzione con Mosca per aiutare l’Ucraina a raggiungere una pace sostenibile e ridefinite le relazioni commerciali ed energetiche con Mosca.
Infine, ma non ultimo, vanno coordinate strutturalmente le difese nazionali in ambito Ue, senza significativi aggravi di spesa pubblica e, così, attenuata la dipendenza dalla copertura militare statunitense.
Dove sono i soggetti e le classi dirigenti per imprimere la correzione di rotta e affermare l’interesse nazionale?
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