Il Governo ha varato il ddl femminicidio, introducendo una nuova fattispecie di reato. Ma la norma appare a rischio di incostituzionalità
In vista della festa della donna il Governo Meloni ha annunciato di aver dato il via libera a un disegno di legge che introduce il delitto di femminicidio come reato autonomo, sanzionato con l’ergastolo, e che si verificherebbe se l’omicidio di una donna “è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o comunque l’espressione della sua personalità”.
Il ddl prevede anche nuove aggravanti e aumenti di pena per i reati di maltrattamenti personali, stalking e violenza sessuale.
Ma c’è veramente bisogno di questa nuova ipotesi delittuosa, descritta a dire il vero in maniera alquanto tortuosa? E ha un senso? O è solo una trovata demagogica e propagandistica per andare incontro agli umori della piazza?
Il recente rapporto del Servizio analisi criminale del ministero dell’Interno riferisce che “nell’arco dell’ultimo decennio il numero degli omicidi volontari consumati è diminuito del 33%: dai 475 eventi verificatisi nel 2015 si è passati ai 319 del 2024”. Gli omicidi passionali, in particolare, “si attestano per il 2024 al 5%, in diminuzione rispetto al 2023 in cui avevano rappresentato l’11% del totale”.
Questi dati fanno dell’Italia, tra i 34 Paesi del continente europeo, quello “con minor fattore rischio di eventi omicidiari” dopo la Svizzera. Insomma in Italia non c’è quindi una vera emergenza criminale, quantomeno rispetto ai femminicidi, come detto in continua diminuzione.
Certo si può fare sempre meglio. Ma desta perplessità che la situazione possa migliorare ricorrendo alla solita soluzione dell’aggravamento delle pene, in particolare per reati che già il nostro codice punisce con notevole severità e soprattutto per delitti commessi per ragioni di natura passionale da soggetti in preda a stati emotivi particolarmente accesi, per i quali certo pene anche severe non costituiscono un efficace deterrente.
E del resto i Turetta, gli Impagnatiello e i tanti altri imputati di femminicidi mediatici non sono stati condannati all’ergastolo? E allora a cosa serve creare una nuova fattispecie di reato, se già l’attuale ordinamento, per le medesime condotte, prevede le stesse pene (l’ergastolo appunto)?
Non è con la repressione che si possono raggiungere i risultati sperati. È un altro il piano su cui occorre ora lavorare ed è quello della prevenzione, dell’educazione delle nuove generazioni e della riscoperta di valori fondanti della nostra società e della nostra cultura ora troppo spesso in crisi.
Ma anche sul piano giuridico la nuova norma appare criticabile. Tra i primi commenti dei giuristi si segnala quello del prof. Oliviero Mazza, ordinario di diritto processuale penale, che la definisce “il crepuscolo del diritto”, rilevando che “non si può punire una condotta tenuta per odio verso la persona offesa in quanto donna. Il nostro ordinamento si fonda sul principio di uguaglianza che considera tutti i cittadini uguali dinanzi alla legge senza distinzioni di sesso (art. 3 Cost.). Cosa accadrebbe se la stessa condotta fosse tenuta da una donna per odio verso un uomo? I proponenti confondono la criminologia con il diritto penale e dimostrano una preoccupante ignoranza dei diritti costituzionali”.
Insomma la norma, così come oggi formulata, sarebbe a serio rischio di essere dichiarata incostituzionale. Forse, quindi, passata la festa della donna, il disegno di legge sul femminicidio è meglio accantonarlo.
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