Quale utilità può avere, ai fini del “rafforzamento dell’attività amministrativa delle pubbliche amministrazioni”, la possibilità, assegnata a presidenti di regione, sindaci e assessori di enti locali di incaricarsi tra loro (purché non nello stesso ente nel quale esercitano il mandato) negli uffici supporto agli organi di direzione politica? Oggettivamente pare molto difficile reperire in simile norma una parvenza di funzionalità al “rafforzamento” oggetto del d.l. 4/2023 e della legge di conversione approvata alla Camera e ora in attesa della votazione al Senato. Ma la stessa domanda sulla concreta utilità di una serie di norme ai fini del “rafforzamento” si può porre per molte altre questioni.
La legge di conversione torna, per l’ennesima volta in pochi anni, sui concorsi. Non si è fatto ancora in tempo a riformare il regolamento sui concorsi, col dPR approvato definitivamente la settimana scorsa che modifica il vecchio regolamento del 1994 che la legge di conversione del decreto torna proprio sull’espletamento dei concorsi. Certo, spiccano norme in linea teorica interessanti, perché finalizzate all’inserimento nei ranghi della Pa di giovani, come l’attivazione dell’apprendistato e il potenziamento del contratto di formazione e lavoro. Però, si scopre che l’apprendistato è consentito solo fino al 2026 ed è attivabile a fronte di una complessa procedura di convenzionamentro tra le Pa e le università. Procedura replicata anche per il contratto di formazione e lavoro, istituto, peraltro, esistente già da decenni, per il quale la convenzione con le università appare un fuori contesto. L’aspetto positivo di questi contratti (comunque attivabili entro il 10% della spesa possibile per le assunzioni) è che non rientreranno nei tanti vincoli finanziari e numerici ai contratti flessibili.
Ma, accanto a questi tentativi di ringiovanimento della Pa, la legge di conversione introduce il tanto agognato, tante volte tentato negli scorsi mesi e fin qui mai andato in porto, “trattenimento in servizio” dei dirigenti di massimo vertice dello Stato in pensione, purché dispongano di “specifiche professionalità”. Oltre a chiedersi come la permanenza in servizio di pensionati possa contribuire al ringiovanimento della Pa, all’acquisizione di nuove competenze e di nuove energie, ci si chiede come sia possibile che dirigenti posti a guida di dipartimenti e segreterie generali ministeriali possano eventualmente non disporre di “specifiche professionalità”.
S’è detto della singolare quasi coincidenza temporale tra il regolamento dei concorsi e l’ennesima riforma normativa dei concorsi, introdotta con la conversione del d.l. “rafforzamento”. Il regolamento, come ovvio, si dilunga sulla gestione informatica delle prove concorsuali, puntando, correttamente, sul portale InPa come punto telematico di accesso unico per la pubblicazione dei bandi e delle domande e descrivendo nel dettaglio le operazioni valutative delle commissioni, valorizzando al massimo sempre le risorse informatiche, tanto da introdurre il termine di conclusione dei concorsi entro 6 mesi dalla presentazione delle domande.
Tuttavia, la legge di conversione del decreto “rafforzamento”, con un’idea la cui coerenza è dubbia con l’impianto complessivo della revisione dei concorsi e con l’idea stessa del potenziamento delle competenze di chi entra nei ranghi della Pa, introduce la facoltà (per fortuna non l’obbligo) di tenere concorsi per l’assunzione di profili non dirigenziali di non espletare la prova orale, limitando, quindi, il concorso al solo scritto. Considerando che è facoltà anche tenere il concorso con una sola prova scritta, appare ben evidente come la riforma consenta di trasformare il concorso pubblico in un simulacro, un concorsetto limitato a una sola prova selettiva, che non si sa come possa garantire una verifica profonda e seria delle capacità delle persone.
La cosa straordinaria è che sistemi di reclutamento che abbinano la formazione al lavoro, come appunto l’apprendistato e i contratti di formazione e lavoro di cui abbiamo parlato prima, invece pretenderanno, correttamente, sistemi di reclutamento complessi, che oltre agli scritti valuteranno curriculum, valutazioni dei voti universitari, prove scritte e prove orali completate anche dalla pesatura delle competenze. È singolare che contratti finalizzati palesemente ad accompagnare l’inserimento lavorativo di giovani destinati a divenire funzionari (quindi, non dirigenti) prevedano una selezione molto robusta e approfondita, che sbocca comunque in contratti comunque nel novero di quelli “flessibili”, mentre invece selezioni per contratti a tempo determinato, anch’esse per altro finalizzabili all’assunzione di funzionari, possano essere svolte con un concorso monco, composto da una sola prova scritta peraltro riducibile a poche crocette da mettere in un testo da compilare in un’ora o poco più.
Non si capisce, poi, la ratio del ripristino della norma che limita il numero degli idonei (cioè di coloro che hanno ottenuto una valutazione utile, ma non per collocarsi nella graduatoria nei primi posti, quelli messi a bando per l’assunzione) al solo 20% dei posti successivi a quelli oggetto del bando. Lo scorrimento delle graduatorie è uno strumento che ovviamente accelera molto la copertura dei fabbisogni: si è rispolverata, però, questa norma, introdotta nel 2017 e poi rimossa, creando una forte incoerenza con un sistema che, specie a seguito di forti indirizzi giurisprudenziali, punta in teoria molto sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei.
Un “must” è poi il concorso unico. La legge di conversione lo tira nuovamente fuori dai cassetti, ma allo scopo di restringere le possibilità; poiché i concorsi unici potranno essere organizzati su base anche territoriale e non nazionale (visti i ripetutissimi flop di quelli nazionali), si impone agli interessarsi di candidarsi per un solo ambito territoriale e per un solo profilo professionale. Così, certo, si riduce il rischio del “plurivincitore” poi in grado di scegliere la Ps più gradita, lasciando posti vacanti; ma si limita il diritto a partecipare a concorsi, pur costituzionalmente garantito, e si creano le premesse, a causa dei limiti agli idonei, per graduatorie troppo corte: tanto è vero che contestualmente la norma consente di attingere alle graduatorie di ambiti territoriali confinanti, ove fosse necessario.
Insomma, resta forte l’impressione che si vada avanti senza una programmazione chiara, ma per impulsi dettati dal “momento”. Riforme a strappi, tali da non presentare un quadro coerente, che col vero rafforzamento della Pa non hanno troppo a che vedere.
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