Delitto di Garlasco, dietro le indagini anche veleni tra ex carabinieri. Le accuse di Marchetto, la replica di Pennini: "Su Alberto Stasi…"
“Chi ha fatto quell’indagine si dovrebbe un po’ vergognare”, così Francesco Marchetto parla della prima inchiesta sul delitto di Garlasco. L’ex comandante dei Carabinieri di Garlasco ne ha parlato a Farwest, evidenziando le lacune e gli errori commessi.
A partire dalla bicicletta, al centro di un caso che è costato a Marchetto la condanna per falsa testimonianza, reato prescritto in appello. “Era fondamentale, in quel momento non avevamo indagini scientifiche, non avevamo nulla, avevamo solo una teste secondo cui l’assassino era arrivato con quella bicicletta, quindi era l’accertamento più importante da fare”, la replica di Luigi Pennini, che era brigadiere a Garlasco all’epoca dei fatti.
Per i giudici del processo Stasi-bis, infatti, Marchetto non è attendibile, in quanto autore dell’errore investigativo che ha più compromesso il corretto svolgimento dell’indagine a carico di Stasi: l’enigma della bicicletta nera. Infatti, fu acquisita solo nell’appello bis, ma nell’annotazione di servizio Marchetto scrisse che quella trovata dai genitori di Stasi non corrispondeva a quella descritta da due testimoni; per questo non l’aveva né fotografata né sequestrata.
Questo fu un vulnus importante per i giudici nella ricostruzione. Il rinvenimento della bici nera rivelò, infatti, che Stasi aveva invertito i pedali sporchi di sangue con quelli di un’altra bici. “Tanto era un accertamento stupido. Ho preso in mano il verbale della Bermani e sono andato là. La descrizione non corrispondeva. Col senno di poi l’avrei sequestrata. Ora è facile dare la colpa a me”, si è giustificato Marchetto.
DELITTO DI GARLASCO, I VELENI TRA EX CARABINIERI
Tra Marchetto e Pennini c’è stata una battaglia giudiziaria anche per via del verbale della Bermani, perché il secondo l’ha sentita da solo in ufficio, non con Marchetto, come invece sostenuto da quest’ultimo. Ma i guai con la giustizia dell’ex comandante non sono finiti, perché nel 2014 venne condannato per aver favorito la prostituzione in un noto locale di Garlasco e ha subito anche un provvedimento per il quale gli è stato tolto il grado di maresciallo.
Marchetto è considerato una delle figure più oscure e controverse, anche perché è il punto di riferimento per chi cerca piste alternative. “Non stavano facendo le indagini a 360 gradi. C’erano altri riscontri da fare”. Ad esempio, su Stefania Cappa: “Dichiarò che a casa aveva una bicicletta nera. Fai un verbale e non fai un riscontro? Se io vado al superiore a dire di fare certi accertamenti e mi viene risposto che ‘quelle hanno l’alibi’, per me il discorso è chiuso”.
Secondo Marchetto, dietro le indagini malsvolte ci sarebbe Gennaro Cassese, ex colonnello all’epoca a capo del nucleo operativo di Vigevano. Inoltre, sostiene di essere stato vessato fino ad essere esautorato dalle indagini. “Una persona mi disse che se me ne fossi andato, non mi sarebbe successo nulla. Se me lo disse Cassese? Sì. Non era una minaccia, era un avvertimento”.
“MARCHETTO? INSINUAZIONI VERGOGNOSE”
Le accuse di Marchetto vengono definite “pesanti” da Pennini, che, ospite di Farwest, lo ha smentito su diverse affermazioni: “Lui sostiene di essere stato esautorato, ma non ricorda che nell’interrogatorio di Stasi lui era presente. Uno esautorato non ci sarebbe stato lì.
Non mi risultano provvedimenti di censura”. Inoltre, avrebbe fatto pressioni su Stasi prima dell’interrogatorio: “Aveva provato a mettergli pressione, era straconvinto che fosse l’autore dell’omicidio ed era pronto al fermo. Per mettere pressione psicologica a Stasi gli mostrò una foto che avevo fatto: secondo me non fu una mossa felice”.
Per quanto riguarda il sopralluogo nel capannone degli Stasi, dove conservavano una bicicletta nera di loro proprietà: “La cosa più sensata sarebbe stata andare insieme, perché io avevo sentito la teste. Comunque, avrei sequestrato la bicicletta per fare delle analisi, anche a tutela dell’indagato”. Pennini ha fatto notare anche una discrasia relativa alla chiamata ai soccorsi di Stasi: “Aveva detto che era distesa sul pavimento, ma è stata trovata in fondo alla scala”.
Pennini ha anche contestato i sospetti riguardo eventuali collegamenti con gli strani suicidi di Garlasco: “Per il suicidio Ferri, gettava ombre sul nostro operato perché non era stato trovato il coltello, ma noi lo acquisimmo. Non lo sequestrammo perché non c’era un procedimento penale, che non c’era perché era un suicidio e non c’era l’ipotesi dell’induzione. La cosa più vergognosa è l’accostamento del suicidio di un nostro collega, come se c’entrasse qualcosa con le indagini. Quel collega aveva vicissitudini personali. Utilizzare questa cosa per creare confusione e torpore è vergognoso, e mi assumo la responsabilità per questa parola”.