Lep o non Lep, that is the question? Da qualche tempo il dibattito politico si è acceso su una questione quasi incomprensibile per i non addetti ai lavori: la preventiva determinazione dei Lep come condizione per attuare l’autonomia differenziata nei confronti delle Regioni a statuto ordinario.
Ricapitoliamo brevemente le puntate precedenti. Tra le tante novità della riforma costituzionale del 2001 che sinora non sono state concretizzate, vi è l’autonomia differenziata. In estrema sintesi, si è previsto un meccanismo che consente di derogare ad un principio che era fondamentale per i costituenti: la parità di posizione, e quindi di competenze, per tutte le quindici Regioni a statuto ordinario, e la differenziazione ammessa soltanto per le cinque Regioni a statuto speciale.
Invece, nel terzo comma dell’art. 116 Cost. come riformato nel 2001, si è previsto che singole Regioni, su loro richiesta e previa intesa con lo Stato, possono acquistare competenze aggiuntive rispetto a quelle loro normalmente spettanti. Occorre una legge approvata con una particolare maggioranza in Parlamento, e l’unico limite posto espressamente è il rispetto dei principi costituzionali sull’autonomia finanziaria. Per di più, le funzioni ulteriori possono concernere tutte le materie cosiddette “concorrenti”, quelle cioè in cui le Regioni, pur già disponendo della potestà legislativa, sono tenute a rispettare i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Si tratta, tra l’altro, di un lungo e denso elenco di materie, comprendenti anche servizi pubblici molto rilevanti e costosi, come l’istruzione.
Si può consentire all’attuazione dell’autonomia differenziata senza correre il rischio, come taluno afferma, di “spaccare il Paese” o, comunque, di aggravare i già consistenti divari tra Regioni, territori e relative collettività? E cosa servirebbe allora per evitare che questa nuova differenziazione – ulteriore rispetto a quella già assegnata alle cinque Regioni a statuto speciale – non produca in concreto un’insopportabile violazione della parità di trattamento dei cittadini in tutto il territorio nazionale?
Rispondere a queste domande significa inoltrarsi in un campo inesplorato, soprattutto perché la riforma del 2001 è stata del tutto lacunosa sul punto, non prevedendo neppure la presenza necessaria di una legge-quadro sull’attuazione dell’autonomia differenziata. Inoltre, qualunque risposta non potrà che muoversi sul piano piuttosto sdrucciolevole dei principi che sono ricavabili in via di interpretazione dalla Costituzione. Infine, ogni discussione risulta condizionata da un innegabile presupposto di fatto, quello cioè determinato dalle attuali condizioni di diseguaglianza che si sono determinate nell’evoluzione della distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni.
In particolare, si è chiesto che l’autonomia differenziata debba essere preceduta dalla preventiva definizione dei Lep, cioè indicando preventivamente i “livelli essenziali delle prestazioni” che vanno erogate ad ogni cittadino su tutto il territorio nazionale in modo da assicurare il pari esercizio dei diritti “civili e sociali”. Si tratta di una competenza legislativa che, con la riforma del 2001, è stata attribuita allo Stato, ma che tuttavia ha avuto limitata applicazione. E ciò è avvenuto per una ragione evidente: tanto meno si è davvero avviata l’attuazione della riforma del 2001 in senso autonomistico, tanto meno si è avvertita l’esigenza di utilizzare lo strumento dei Lep che è posto a garanzia dei principi di unità e di eguaglianza.
Una volta individuati i Lep nelle materie oggetto dell’autonomia differenziata, si dovrebbero poi calcolare i finanziamenti da assicurare alle Regioni, tenendo però non più conto della spesa storica – quella cioè effettivamente sostenuta – ma della spesa collegata all’erogazione dei Lep secondo i cosiddetti “fabbisogni standard”. Si tratta di un procedimento complesso in cui valutazioni discrezionali si sommano alla soluzione di numerosi problemi di ordine giuridico, amministrativo, gestionale e finanziario. E proprio questo procedimento, limitatamente ai Lep rilevabili sulla base della normativa già vigente, è stato oggetto di una recentissima disciplina, posta con la legge di bilancio per il 2023 e di cui si prevede la conclusione in tempi piuttosto serrati.
Di fronte alla decisione del Governo, che ha dimostrato di voler affrontare positivamente la questione dei Lep, i critici dell’autonomia differenziata hanno però rilevato che il procedimento previsto dalla legge di bilancio è insufficiente, essenzialmente perché non aggiunge nuovi Lep, non li definisce con legge e non prevede risorse finanziarie aggiuntive.
A questo proposito, è assai probabile che la questione della definizione dei Lep sarà ripresa nel disegno di legge-quadro che il Governo, proprio nelle prossime settimane, presenterà alle Regioni e al Parlamento, e dove sarà delineata la disciplina complessiva che regolerà in modo omogeneo l’attuazione dell’autonomia differenziata.
È evidente allora che, se si intende affrontare questa tematica in modo ragionevole ed equilibrato, occorre sgombrare il campo dai pregiudizi e allontanarsi da quelle posizioni radicalmente contrapposte che sono collegate esclusivamente a quelle considerazioni che, certo dotate di una propria dignità intellettuale, sono fondate sull’opportunità politica delle scelte che si preferiscono. Soltanto superando filtri meramente ideologici si può portare la discussione sul merito dei limiti costituzionalmente rilevanti dell’autonomia differenziata.
Ed allora, in questo quadro, anche la questione delle modalità da utilizzare per la preventiva definizione dei Lep potrà essere proficuamente affrontata nell’interesse del Paese. Senza utilizzare la bandiera dei Lep in modo strumentale, ma come utile viatico per avviare, finalmente, il riequilibrio complessivo delle condizioni di esercizio dei diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale.
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