DIETRO LE QUINTE/ Pressioni Usa per mandare a casa Conte

- Antonio Fanna

Berlusconi vuole entrare in una nuova maggioranza, mentre Pd e Conte sono ai ferri corti. In realtà le pressioni, ben più forti, per il game over stavolta vengono dagli Usa

conte trump 2 lapresse1280 640x300 Giuseppe Conte e Donald Trump (Lapresse)

Chi pensa male (ma probabilmente ci azzecca) dice che la registrazione del giudice Amedeo Franco che scagionerebbe Berlusconi – facendone una vittima del “plotone d’esecuzione” delle toghe ideologizzate – arriva nel momento in cui il Cavaliere ha assoluta necessità di essere riabilitato per poter rientrare lindo e ripulito nel grande giro del governo. Un Berlusconi senza macchia giudiziaria sarebbe meno indigesto al M5s e anche il Pd potrebbe fare un “mea culpa” di quando, nel 2013, sotto la spinta giustizialista proprio dei grillini votò per fare decadere dal Senato l’ex presidente del Consiglio.

Dunque, il colpo di spugna sull’immagine del Cav arriva con un tempismo da record. I voti di Forza Italia oggi sono i più ricercati da chiunque studi come superare la paralisi dell’esecutivo Conte 2. Ma in quale nuova maggioranza potrebbe collocarsi il soccorso azzurro? Non in un governo di unità nazionale, dove conterebbe ben poco visto che tutti sono dentro. Meglio un governo “finto tecnico”, magari al posto dei riottosi renziani di Italia Viva ma con un premier diverso dal professor Giuseppe Conte.

Sotto i piedi del presidente del Consiglio il terreno si sta rapidamente sgretolando. E a scavare è soprattutto il Pd, il partito che ormai è diventato il riferimento degli interessi europei in Italia (con personaggi quali il presidente dell’Europarlamento David Sassoli e il commissario Paolo Gentiloni). Intanto, in alcuni corridoi romani si sussurra che gli Usa premano su Sergio Mattarella perché Conte cada entro l’estate, in modo da recidere l’asse strategico tra Italia e Cina instaurato con l’approdo del M5s al governo. E Angela Merkel, insediandosi nel semestre di presidenza tedesca della Ue, ha tirato le orecchie al premier, che non vuole i soldi del Mes ma quelli del Recovery Fund, li vuole subito a luglio ma non ha ancora presentato lo straccio di un progetto per dire come intende spenderli.

Non solo dal Pd dunque partono le scosse telluriche più forti. Ieri il capodelegazione Dario Franceschini ha parlato di “nave senza timone” e ha avuto un pesante scontro con Conte. Il segretario Nicola Zingaretti ha incontrato il premier manifestandogli tutta la sua insofferenza: “Il grande gelo”, titolava ieri Repubblica. Zingaretti sente che è il Pd a subire gli effetti più pesanti dell’immobilismo di Palazzo Chigi e nello stesso tempo non riesce a concretizzare la strategia di fagocitare la parte filogovernativa dei 5 Stelle. In questo contesto, si torna a parlare di legge elettorale: un segnale che di solito si accompagna a un avvicinamento delle elezioni. Di legge elettorale non si discute mai quando le urne sono lontane.

Berlusconi ha dato ieri un’intervista a Repubblica, altro segnale del riavvicinamento in grande stile al salotto buono del potere. Nel colloquio il Cav prende le distanze dal sovranismo di Salvini e Meloni, pur riconfermando l’accordo sulle candidature alle regionali con Lega e FdI: “Il centrodestra non sarà mai un partito unico”, assicura. E aggiunge l’apertura a una “nuova maggioranza” di governo. Sono tutti messaggi al Pd e ai 5 Stelle: le regionali sono una cosa, l’esecutivo centrale un’altra. 

Potrebbe sembrare uno scenario già visto, con il comprensibile tentativo dei moderati di rientrare in gioco e l’incrocio di minacce per tenere unite le componenti della maggioranza più recalcitranti. E invece, quello che rende diversa la situazione delle ultime ore è la fortissima pressione americana, confermata da fonti parlamentari, per disarticolare l’Italia dall’abbraccio di Pechino. Conte deve andarsene. Anche all’interno dei 5 Stelle sembra che l’Avvocato del popolo non sia più considerato un intoccabile. E non è un caso che nei giorni scorsi sia riaffiorata l’ipotesi, finora ritenuta fantascienza, di mettere Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. Il primo a parlarne era stato Salvini la scorsa estate. Ora pare che sia il Pd a farci un pensierino.

L’alternativa sarebbe un governo tecnico-politico, guidato da una personalità di spicco, in cui fare entrare anche la Lega ma non Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni continuerebbe così a coltivare l’ambizione di fare l’unica opposizione a questo governo per erodere ulteriore consenso a Salvini.





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