Ognuno per sé, e alleanze dopo il voto. La logica del maggioritario è svanita giovedì sera non appena la Corte costituzionale ha annunciato il suo verdetto: il referendum abrogativo proposto dalle Regioni (leghiste) sotto l’ala di Calderoli, non si può fare.
Eppure, una quota di maggioritario è necessaria, avverte Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo. Per il giurista, il Mattarellum era la soluzione migliore. “Era”, perché la sua ipotesi appare tramontata: i partitini vogliono esistere e contare. Ne nasceranno di nuovi. Secondo Mangiameli anche una soglia sbarramento al 4% potrebbe essere accettabile; ma andrebbe eliminato “il diritto di tribuna, che mancherebbe di un fondamento costituzionale”.
“Eccessiva manipolatività del quesito referendario”. Come commenta il comunicato della Consulta?
Tutti i quesiti referendari sulle leggi elettorali non possono che essere manipolativi, per definizione, in quanto la stessa Corte costituzionale esclude in questa ipotesi l’abrogazione secca della legge elettorale, perché l’ordinamento deve avere in ogni momento, anche a seguito di un intervento abrogativo del corpo elettorale, un sistema di elezione delle Camere giuridicamente valido.
Allora non è la manipolazione ad essere in discussione.
No, infatti, bensì – in base al comunicato stampa della Corte – l’“eccesso”. Si legge che “il quesito è eccessivamente manipolativo”. Quando leggeremo la motivazione della decisione sapremo se questo giudizio è munito di validi argomenti giuridici o se semplicemente nasconde una valutazione di merito politico.
A chi va attribuita la causa della bocciatura? Al quesito e alla sua formulazione?
Il quesito, ovviamente, conteneva l’intento di produrre un effetto di cambiamento significativo del sistema elettorale. Si tendeva ad escludere del tutto un riparto dei seggi di tipo proporzionale, per estendere il meccanismo legato al sistema maggioritario di collegio a turno unico. Ma questo di per sé non sembra costituire un argomento valido storicamente.
I precedenti?
Un tentativo analogo fu fatto sul Mattarellum, per il quale fu chiesto e ammesso un referendum per cancellare l’elezione del 25% dei deputati della parte proporzionale; ma l’esito della consultazione del 18 aprile 1999 non riuscì per poco, perché i partecipanti si fermarono al 49,6% degli aventi il diritto al voto, anche se il 91,5% di loro era per l’abrogazione della quota proporzionale.
Il Mattarellum avrebbe ancora senso?
Sono 15 anni che predico il ritorno al Mattarellum in tutti i modi possibili, compreso quello referendario, sia proponendo – a suo tempo – un referendum manipolativo sul Porcellum, sia proponendo un’abrogazione totale con reviviscenza appunto della legge precedente, ma sembra non esserci più un apprezzamento per l’idea maggioritaria, come meccanismo elettorale capace di razionalizzare la rappresentanza. Intendiamoci, non è che i partiti del tempo non cercarono di deturpare anche quel sistema elettorale, basti pensare alle liste civetta che causarono più di qualche problema nella composizione della Camera. Tuttavia si trattava di comportamenti disdicevoli che venivano in genere sanzionati dagli elettori.
Questione diversa dalla precedente è se il Mattarellum ha ancora qualche speranza di essere riproposto e accolto. Secondo lei?
Non credo. In Parlamento in questo momento c’è una maggioranza che vuole puntare sul proporzionale, per via della frammentazione che ha già causato l’attuale legge elettorale nelle elezioni del 2018. Inoltre, il sistema politico è oggi travagliato dal disagio di diversi partiti.
Quali sono i principali imputati?
Il M5s deve scegliere un sistema elettorale che non ne decreti la scomparsa e soprattutto intende proseguire nella sua linea politica che lo porta a non allearsi elettoralmente con gli altri partiti; il Pd, che era attorniato da partiti piccoli che non vogliono farsi inglobare, ha subìto la scissione di Renzi e stenta a trovare una nuova forma organizzativa per recuperare il rapporto con la Sinistra e Leu.
Ci sono altri modelli elettorali ai quali ci si può rivolgere? Quello dei sindaci, o quello di alcune Regioni?
No, non sono modelli proponibili, perché richiederebbero delle modifiche costituzionali, in quanto rappresenterebbero una fuoriuscita dalla forma di governo parlamentare, proprio quello che si volle a suo tempo per i comuni con la legge n. 81 del 1993 e per le Regioni con la riforma costituzionale del 1999 (legge cost. n. 1). In questa logica, sarebbe più sensato pensare ad una riforma del governo in senso presidenziale, con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e l’eliminazione del rapporto di fiducia tra Camere e Governo.
Circolano delle proiezioni realizzate combinando lo schema del Germanicum con il consenso dei partiti a dicembre. Il centrodestra vincerebbe. Non ritiene che sia forte la tentazione di arginarne la vittoria abbassando la soglia di sbarramento al 4 o al 3%?
Se legge attentamente le proiezioni e considera la proposta dell’on.le Brescia, i risultati non cambierebbero di molto. Comunque una clausola di sbarramento un po’ più bassa appare in linea con la tradizione italiana. Il problema, come ho già fatto notare, è il cosiddetto “diritto di tribuna”, che mancherebbe di un fondamento costituzionale.
A conclusione probabile di questa giostra politico-istituzionale, ci ritroveremo con un proporzionale quasi puro. Si può emendarne l’effetto?
Se si punta a mantenere una clausola di sbarramento al 4% e ad eliminare il “diritto di tribuna”, l’effetto potrebbe essere comunque apprezzabile. Di fatto avremmo sei partiti: tre che si alleerebbero su una piattaforma di centrodestra e tre su una piattaforma di centrosinistra. Il che non escluderebbe, comunque e come sempre, anche ipotesi di coalizioni trasversali, grandi, piccole e medie.
Secondo lei ieri sera è tramontato il tentativo o la speranza di usare i sistemi elettorali per produrre stabilità politica?
No! Sarebbe eccessivo dire questo. Il problema è tuttora quello di sempre, e cioè: la stabilità politica che la legge elettorale può produrre è sempre molto limitata e dipende dal sistema politico sottostante. La stabilità politica, di per sé, non è un compito della legge elettorale, bensì del sistema politico e si basa su rappresentanza, programmi chiari, capacità di governo sperimentata, personale politico adeguato, obiettivi corrispondenti ai bisogni del Paese.
(Federico Ferraù)
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