DIGNITAS INFINITA/ Un testo scomodo, la persona non è più una variabile “dipendente” dai nostri sentimenti

- Paola Binetti

Dal documento della Chiesa sulla "Infinita dignità umana" parole chiare sul fondamentale no all'eutanasia e suoi derivati

Papa Francesco Papa Francesco in Vaticano durante l'Udienza Generale (Ansa 2024, Alessandro Di Meo)

La dichiarazione sulla “Infinita dignità umana”, (Dignitas Infinita) appena pubblicata dal Dicastero della Fede è la risposta a moltissimi degli interrogativi che il mondo cattolico si è posto con particolare intensità proprio durante il pontificato di papa Bergoglio.

Sono interrogativi che interpellano in modo spesso conflittuale la cultura del nostro tempo, che a parole respinge ogni forma di discriminazione e di intolleranza, ma poi nei fatti ne ribalta il senso e crea nuovi paradigmi in chiave sempre più violenta ed aggressiva. Colpa spesso delle parole che si usano, della manipolazione che ne stravolge il senso, e del ritmo ossessivo con cui rimbalzano sui media, esasperando il senso e il significato di molte espressioni che all’improvviso diventano politicamente scorrette e quindi non più utilizzabili nella conversazione abituale.

Ne è pienamente consapevole il Prefetto del Dicastero, che nella presentazione della Dignitas Infinita scrive: “L’elaborazione del testo, protrattasi per cinque anni, permette di capire che ci si trova di fronte ad un documento che, per la serietà e la centralità della questione della dignità nel pensiero cristiano, ha avuto bisogno di un notevole processo di maturazione per arrivare alla stesura definitiva che oggi pubblichiamo”.

È importante rilevare il riferimento esplicito è alla dignità nel pensiero cristiano, ad un pensiero che ha le sue radici, le sue fonti, i suoi valori e da qui vale la pena ripartire, scorrendo il lungo elenco delle questioni affrontate. Il punto di vista scelto è quello del pensiero cristiano, potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è, se si pensa che troppo spesso si cerca di andare incontro a pensieri di diversa matrice, nel tentativo di accontentare tutti, sollevando però più dubbi ed incertezze di quante non ce n’erano prima. Aumentando la confusione creando un disagio aggiuntivo. Molto interessante è il riferimento alla quadruplice distinzione del concetto di dignità: “dignità ontologica, dignità morale, dignità sociale ed infine dignità esistenziale. Il senso più importante è quello legato alla dignità ontologica che compete alla persona in quanto tale per il solo fatto di esistere e di essere voluta, creata e amata da Dio. Questa dignità non può mai essere cancellata e resta valida al di là di ogni circostanza in cui i singoli possano venirsi a trovare”.

Per lo stesso motivo il Documento chiarisce perché si preferisca parlare di dignità umana piuttosto che di dignità personale: “Alcuni propongono che sia meglio usare l’espressione ‘dignità personale’ (e diritti “della persona”) invece di ‘dignità umana’ (e diritti dell’uomo), perché intendono come persona solo ‘un essere capace di ragionare’. Di conseguenza, sostengono che la dignità e i diritti si deducano dalla capacità di conoscenza e di libertà, di cui non sono dotati tutti gli esseri umani. Non avrebbe dignità personale, allora, il bambino non ancora nato e neppure l’anziano non autosufficiente, come neanche chi è portatore di disabilità mentale”. In questa logica diventa facile spazzare via una serie di pregiudizi con i quali si giustifica la morte anticipata di un paziente “in stato vegetativo”, o in una fase Alzheimer avanzata, perché non è più in condizione di intendere o volere, e quindi ha smarrito il senso e il significato della sua dignità.

Nel paragrafo 51 infatti si legge: “Esiste un caso particolare di violazione della dignità umana, che è più silenzioso ma che sta guadagnando molto terreno. Presenta la peculiarità di utilizzare un concetto errato di dignità umana per rivolgerlo contro la vita stessa. Tale confusione, molto comune oggi, viene alla luce quando si parla di eutanasia. Ad esempio, le leggi che riconoscono la possibilità dell’eutanasia o del suicidio assistito si designano a volte come ‘leggi di morte degna’ (death with dignity acts). È assai diffusa l’idea che l’eutanasia o il suicidio assistito siano coerenti con il rispetto della dignità della persona umana. Davanti a questo fatto, si deve ribadire con forza che la sofferenza non fa perdere al malato quella dignità che gli è propria in modo intrinseco e inalienabile, ma può diventare occasione per rinsaldare i vincoli di una mutua appartenenza e per prendere maggiore coscienza della preziosità di ogni persona per l’umanità intera”.

La lunga citazione è particolarmente importante in questo momento storico in cui al Senato si sta discutendo nuovamente di fine vita, con il rischio concreto che si voglia aprire la strada a soluzioni destinate ad evolvere in vere e proprie forme di eutanasia, come è accaduto in Olanda, in cui statisticamente muoiono soprattutto pazienti con gravi forme di depressione, malati con Alzheimer, soggetti con autismo e altre forme di disabilità. Per tutti loro si invoca il supremo criterio della dignità personale, glissando sulla sottile differenza con il termine dignità umana e si applicano presunte leggi di morte degna, mentre in realtà si sopprimono vite umane, facendo passare per suicidio assistito quello che in molte circostanze è un vero e proprio omicidio del non consenziente.

È facile immaginare che molti sosterranno tesi diverse anche nel Parlamento italiano, invocando il concetto della dignità e filtrandolo attraverso il valore della libertà. Non a caso Dignitas Infinita puntualizza: “La dignità s’identifica allora con una libertà isolata ed individualistica, che pretende di imporre come diritti, garantiti e finanziati dalla collettività, alcuni desideri e alcune propensioni che sono soggettivi… La difesa della dignità dell’essere umano è fondata, invece, su esigenze costitutive della natura umana, che non dipendono né dall’arbitrio individuale né dal riconoscimento sociale”.  Stiamo parlando di pensiero cristiano: quello a cui si riferisce l’attuale Dichiarazione; stiamo parlando a chi afferma di essere cristiano e quindi è tenuto a fare propri i principi ribaditi dal Dicastero della fede. E nello stesso vogliamo ricordare che si tratta di “esigenze costitutive della natura umana, che non dipendono né dall’arbitrio individuale né dal riconoscimento sociale”.

 

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