Lo scandalo dei bambini di Bibbiano ha riportato alla luce il caso della Bassa Modenese e la morte per crepacuore di un prete. Quella di Don Giorgio Govoni, accusato di essere a capo di una banda di pedofili nella Bassa Modenese. Poi uscì pulito dalla storia per certi versi molto simile a quella degli affidi illeciti di Bibbiano. Ma era troppo tardi per lui: era morto. Le analogie tra le due vicende non sono poche, ma quella di Mirandola ebbe strascichi ancor più drammatici. Il 19 maggio 2000 don Giorno Govoni, che allora aveva 59 anni, morì nell’ufficio del suo avvocato per un infarto. Era nel pieno della tempesta giudiziaria: era stato accusato ingiustamente di essere leader di un gruppo di satinasti pedofili che avrebbero praticato riti satanici nei cimiteri, stuprando e sacrificando bambini. Almeno 16 furono allontanati per sempre dalle loro famiglie, accusate di collusione con il presunto orco. I periti diagnosticarono gravissime lesioni da violenza sessuale, ma i medici legali del gip appurarono che invece erano tutti illibati. Lo stesso accade per quanto riguarda gli aspetti psicologici. L’11 luglio 2001 la Corte d’Appello di Bologna dichiarò che non è mai esistito un gruppo di “satanisti pedofili” nella Bassa Modenese. Quindi don Giorgio Govoni era stato ingiustamente calunniato.
DON GIORGIO GOVONI, PRETE UCCISO DALLA CALUNNIA
Don Giorgio Govoni, l’amico degli “ultimi”, padre spirituale di molte famiglie, fu quindi vittima di accuse inventate. La conferma arrivò nel 2002, due anni dopo la sua morte, con la sentenza della Cassazione. Molti dei genitori accusati non hanno più rivisto i loro figli, altri si sono suicidati, altri ancora erano espatriati. E nell’aprile scorso è cominciata la revisione del processo, anche grazie all’inchiesta giornalistica firmata da Pablo Trincia. A Giulio Gavoni, fratello del prete, resta il dolore per la scomparsa di Giorgio. «Mi diceva sempre: “Per chi vuole credere alla mia colpevolezza, l’onta non se ne andrà mai”». Il pm voleva spedirlo 14 anni in carcere, il giorno dopo morì di infarto. Venne assolto “post mortem”, ma la ferita resta tra i suoi familiari. Era chiamato il “prete camionista” perché aveva svolto quella professione per non gravare economicamente sulla famiglia. Era una persona di umili origini che si mise a disposizione delle famiglie difficili per poi essere travolto da uno scandalo da cui non è uscito vivo ma riabilitato solo dopo la sua morte.