Donne alawite nel mirino in Siria: 62 rapimenti e 9 morti nei sobborghi di Damasco. ONG denunciano il massacro in corso e chiedono un intervento urgente

Un dramma silenzioso avviene quotidianamente nelle province costiere della Siria, dove 62 donne alawite sono state rapite da marzo 2024 da milizie sunnite legate al nuovo governo di Damasco, secondo i dati diffusi dal Comitato per i diritti umani con sede a Ginevra: le ONG descrivono una strategia orchestrata per colpire la minoranza alawita (storicamente vicina all’ex regime di Assad) attraverso sequestri, esecuzioni sommarie e intimidazioni.



Solo ai primi di marzo, fonti concordanti stimano circa 1.500 civili uccisi, tra cui donne alawite e bambini, in operazioni attribuite a gruppi armati filo-governativi e al contempo, gli scontri a Jaramana – sobborgo di Damasco controllato da miliziani drusi – hanno provocato 9 morti in poche ore, nonostante le autorità siriane neghino il coinvolgimento delle forze ufficiali.



Le regioni di Latakia e Tartus – a maggioranza alawita – sono diventate teatri di una crisi umanitaria in cui i rapimenti fungono da strumento di controllo territoriale: le vittime (spesso prelevate ai posti di blocco) vengono utilizzate come merce di scambio per estorcere riscatti o come moneta politica per indebolire le comunità rivali. Le ONG ribadiscono come questi atti non siano episodi isolati, ma tasselli di un disegno più ampio volto a svuotare intere aree della presenza delle donne alawite, in quello che definiscono un tentativo di “pulizia etnica organizzata”.



Donne alawite e strategia del terrore: “E’ necessario intervenire al più presto”

“Senza una pressione internazionale, queste violenze diventeranno irreversibili” avvertono i rappresentanti del Comitato per i diritti umani, ponendo al centro il ruolo delle organizzazioni non governative nel raccogliere prove e rompere l’omertà: attraverso reti di attivisti locali e ricercatori sul campo, le ONG hanno difatti mappato centinaia di casi, incrociando testimonianze e documentando l’escalation di violenze che dal 2023 sta ridisegnando gli equilibri demografici della Siria. Il rapporto di Ginevra, basato su oltre 200 interviste a sopravvissuti e familiari delle vittime alawite, rivela una trama ricorrente: i rapimenti delle donne alawite avvengono in concomitanza con operazioni militari mirate, spesso precedute da minacce anonime alle comunità.

Mentre il governo siriano continua a negare ogni collegamento con le milizie, definendo gli autori “elementi fuori controllo” le ONG chiedono un intervento urgente della comunità internazionale: “La protezione dei civili non può attendere”  insistono, sostenendo che ogni ritardo significhi inesorabilmente più morti e più desaparecidos. Intanto, a Damasco, le famiglie delle vittime delle donne alawite lanciano appelli disperati attraverso canali informali, consapevoli che senza l’attenzione dei media globali le loro voci rischiano di perdersi nel silenzio; con il conflitto siriano entrato in una nuova fase di instabilità, la battaglia per i diritti umani si gioca anche sulla capacità di trasformare le denunce in azioni concrete, prima che il bilancio di sangue diventi insostenibile.