DOPO LA MARMOLADA/ I nostri errori e un senso del limite che dobbiamo reimparare

- Guglielmina Adele Diolaiuti

La tragedia occorsa sulla Marmolada insegna molte cose, a partire dal nostro rapporto con l'ambiente alpino. Ci occorre un nuovo senso del limite

Scioglimento ghiacciai. Marmolada in regressione Scioglimento ghiacciai. Marmolada in regressione

In questi giorni di riflessione per quanto è accaduto, di dolore per le vite spezzate, di discussione scientifiche e alpinistiche per capire la dinamica dell’evento, le forzanti fisiche e meteorologiche, i fattori d’innesco di un crollo fino a pochi giorni fa inimmaginabile, in queste giornate così intense e dolorose, è anche emerso chiaramente che deve cambiare il nostro rapporto con la montagna, con i ghiacciai e con l’ambiente in generale.

È emerso chiaramente che i cambiamenti climatici non sono solo materia per i salotti scientifici e le speculazioni degli scienziati. Il clima che cambia impatta in modo irreparabile e imprevisto sull’ambiente e sulle nostre vite.

I ghiacciai che si riducono, si assottigliano, si anneriscono e in molti casi scompaiono non sono solo soggetti da fotografie per confronti o sfondo di cartoline, ma sono elementi del paesaggio naturale che non possiamo dominare o addomesticare.

Poterli raggiungere facilmente con impianti e facilities di vario tipo ci fa illudere di possederli e gestirli, ma non è così. I ghiacciai e la montagna sono elementi che possiamo studiare, descrivere e comprendere ma non dominare. Visitarli e scalarli non può avvenire sempre e a prescindere dalle condizioni meteorologiche, dalla loro dinamica ed evoluzione. Se non recuperiamo questo rispetto e senso del limite per la natura non potremmo convivere con i cambiamenti climatici e i loro effetti.

Spesso pensiamo – a torto – che l’unico effetto sulle montagne del riscaldamento climatico sarà la scomparsa, forse entro il 2060, di gran parte dei ghiacci, prima di allora avremo solo montagne meno bianche e meno fredde, ma tutto qui. Invece, le montagne ferite dal clima sempre più caldo sono anche diverse da frequentare, visitare e vivere.

Le grandi pareti nord ormai da anni non possono più venire affrontate in estate: poco ghiaccio e troppi crolli in roccia. I ghiacciai si presentano a giugno scavati dall’ablazione e nudi, senza manto nevoso neppure alle più alte quote, come mai li avevamo visti negli anni passati nemmeno a fine agosto. Il permafrost vede lo strato che fonde stagionalmente (definito “attivo” dagli scienziati) sempre più spesso, estate dopo estate, e rifugi e infrastrutture che vi poggiano vedono la loro statica minata e resa instabile.

Tutto questo non può venire ignorato, non possiamo non mettere in discussione il nostro rapporto con una montagna cambiata che ci chiede di cambiare.

Sempre, anche in passato, frequentare l’alta montagna significava conoscere i propri limiti e i pericoli dell’ambiente dove ci si avventurava.

Oggi attrezzature evolute e tecnologia ci fanno pensare di poter gestire un ambiente d’avventura, di essere in condizioni di rischio zero. Ma è un’illusione. Se non teniamo conto che le forzanti che governano questo ambiente sono cambiate rispetto al passato, che oggi abbiamo giorni, se non settimane, con temperature torride ben oltre i 4000 metri, che la neve precipita meno abbondantemente in inverno e persiste per meno tempo in primavera su pareti rocciose e ghiacciai, che i ghiacciai sono anneriti dagli inquinanti e dal detrito roccioso che vi cade sopra e fondono anche del 30% più velocemente di un tempo… se non teniamo conto di tutto questo, non potremo convivere con una montagna cambiata dal cambiamento.

Non vorrà dire non andarci, ma andarci informati e più consapevoli.

Non basterà più leggere il bollettino meteo per evitare un temporale; prima di un’ascensione si dovranno valutare le condizioni del ghiacciaio o gli esperti lo dovranno fare per noi. Torneremo a fare alpinismo di notte o alle prime luci dell’alba, perché nelle ore più calde il pericolo non è più, come in passato, il cedimento dei ponti di neve, ma il crollo di porzioni glaciali assottigliate e scavate dall’acqua di fusione. A volte rinunceremo a una vetta e ci accontenteremo di contemplarla dalla piana proglaciale o dal rifugio se le temperature sono state troppo elevate per più giorni aumentando il rischio di crolli. I ghiacciai a maggiore frequentazione turistica, quelli che si raggiungono in funivia e con sentieri di facile accesso, verranno monitorati in continuo, la ricerca scientifica ci apparirà di immediata utilità anche in alta quota e i glaciologi ci sembreranno meno scienziati astratti e più tecnici della montagna. E ci stupiremo a fare attenzione, in città e in pianura, su un uso consapevole dell’energia e delle risorse. Perché se non le usiamo bene, se il nostro stile di vita produce troppa CO2, adesso sappiamo che un Pianeta più caldo è meno sicuro e vivibile, non solo in spiaggia perché il livello dei mari aumenta, ma anche in montagna, che diventa più fragile e meno sicura.

Tratteremo meglio le montagne e l’ambiente, che non ci appartengono. Ci sono solo stati affidati e dobbiamo preservarli e custodirli per i nostri figli e le generazioni future.

E infine ci ricorderemo di coloro che ci ha lasciato il 3 luglio 2022 su un ghiacciaio segnato dal clima e dall’uomo, e anche per onorare la loro memoria cambieremo. Noi e il nostro rapporto con le bellissime montagne. E anche per loro non smetteremo di andarci.

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