Trump ottiene la tregua a Iran e Israele, ma le incognite sono ancora molte. A cominciare dai siti nucleari di Teheran ancora sconosciuti
Trump stavolta se l’è presa con Israele: stava scatenando un attacco contro Teheran lanciato dopo l’entrata in vigore della tregua. Se l’è presa con tutti e due, Israele e Iran, perché non hanno rispettato il cessate il fuoco da lui annunciato. La realtà, però, è che la tregua, anche se voluta dagli USA, non può nascondere la fragilità della situazione. Ci sono ancora molti aspetti da chiarire: Teheran non sembra disposta a rinunciare definitivamente al suo programma nucleare e potrebbe addirittura avere altri siti nucleari la cui esistenza finora è rimasta nascosta.
Gli interrogativi aperti, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, riguardano anche un possibile cambio di regime, la nomina di un successore a Khamenei o un regolamento di conti interno, soprattutto con coloro che hanno fornito a Israele informazioni per procedere a uccisioni eccellenti. Intanto il presidente Pezeshkian ha annunciato che l’Iran è pronto a tornare al tavolo delle trattative.
L’attacco dei bombardieri ai siti nucleari, la debole risposta iraniana, la tregua: reggerà il cessate il fuoco tra Iran e Israele?
Una tregua annunciata da Trump, visto il personaggio, è sempre meglio prenderla con le molle: fa sempre annunci contraddittori. Se la tregua c’è e ci sarà, è perché Israele ritiene di aver inferto un duro colpo al programma nucleare iraniano. Penso che sia più ritardato che stoppato: è molto probabile che gli iraniani abbiano altri impianti che non hanno dichiarato al mondo e che, se vorranno riprenderlo, non dovranno ricominciare da zero, ma allungare i tempi. Gli ayatollah hanno capito che rischiavano la caduta del regime imposta da fuori e hanno scelto la strada della sopravvivenza.
L’Iran, per quanto indebolito dalla guerra e dalla crisi economica, resta ancora un problema per Israele e USA?
È un Iran molto ridimensionato rispetto a prima, proprio perché gli hanno colpito tutti i proxy: Hezbollah, Houthi, il regime siriano. Una situazione che ha spianato la strada e facilitato la campagna di assassinii mirati di Israele, i bombardamenti e l’intervento degli Stati Uniti. Non significa che l’Iran, per la sua storia millenaria, per le sue dimensioni geografiche, abbia rinunciato all’idea di essere una potenza regionale. Quindi il problema c’è ancora, a maggior ragione se la guerra non è servita a mettere la parola fine al suo programma nucleare. Se continuano ad avere delle capacità di arricchimento dell’uranio, è solo questione di tempo prima che il problema si riproponga.
Molto dipende dall’esistenza o meno di siti nucleari iraniani non ancora noti al mondo?
L’impianto di Fordow era stato svelato al mondo solo perché l’avevano scoperto i servizi segreti occidentali. Dell’impianto di Natanz, a 80 metri di profondità, si è saputo poco tempo fa: è probabile che abbiano anche altri siti dello stesso tipo. E se li hanno, non si fermeranno. Anzi, dopo questa guerra, probabilmente hanno anche un incentivo in più a proseguire nel programma. Hanno subito un duro colpo, ma forse la tregua l’hanno accettata non solo perché non hanno la forza militare per rispondere, ma anche perché sanno che il loro programma non è stato colpito così in blocco come credono gli americani e gli israeliani.
L’indebolimento dell’Iran è solo a livello geopolitico o pesa anche sul fronte interno?
Credo che USA e Israele abbiano valutato, al di là della tregua, che probabilmente il colpo subito dall’Iran è stato tale da poter provocare delle fratture all’interno stesso del regime e quindi provocarne la caduta. Da qui a dire che quello che verrà dopo sarà meglio o peggio ce ne passa. Una delle ipotesi è che il regime degli ayatollah crolli, ma che venga sostituito da un regime militare, di stampo anche religioso. Da anni si dice che c’è una guida suprema, Khamenei, ma chi controlla la società iraniana sono gli uomini in divisa, soprattutto i corpi che si sono aggregati all’esercito, tipo la Forza Quds.
L’attacco subito da Israele e USA potrebbe accelerare il cambio della guardia ai vertici del regime iraniano? Khamenei ha indicato tre possibili successori: cambierebbe anche la linea del gruppo di potere?
Khamenei ha problemi anagrafici e di salute. Se anche gli israeliani l’avessero ucciso, sarebbe stato più che altro un colpo simbolico, e forse anche controproducente, proprio perché è un simbolo, un’autorità religiosa per gli sciiti. Ma è un uomo di 86 anni e, a quanto pare, gravemente malato.
Come avverrà la successione?
Il meccanismo prevede che la guida suprema indichi il proprio successore, esattamente come Khomeini aveva indicato Khamenei. Però è anche vero che, in quasi 50 anni di regime, le dinamiche del potere all’interno delle istituzioni iraniane sono cambiate: non è detto che il successore indicato da Khamenei arrivi veramente al potere e riesca a consolidarlo.
Se il regime sopravviverà a se stesso, potrebbe diventare ancora più repressivo di quello che è?
Il regime degli ayatollah ha imparato la lezione dello Scià: nonostante tutte le repressioni e i massacri di cui si era reso responsabile, quando è stato il momento di alzare la posta e commettere massacri ancora più grandi, ha scelto di non farlo, andando contro il parere anche dei suoi stessi generali. Per questo gli ayatollah non esitano a reprimere con forza qualsiasi tentativo di rovesciare il regime. In questa situazione di guerra e di emergenza hanno scoperto di essere più che infiltrati: ci sono spie ad altissimo livello, in tutti i centri del potere, che passano informazioni a Israele. Non si spiegherebbe altrimenti questa campagna di uccisioni mirate di diversi generali, a poche ore di distanza l’uno dall’altro.
Potrebbe esserci un regolamento di conti interno?
Gli ayatollah potrebbero cogliere l’occasione per regolare i conti con chi rappresenta una minaccia o una possibile alternativa a loro. Uno dei modi per difendersi, infatti, è eliminare qualsiasi alternativa. Se Stati Uniti o Israele puntano su qualcuno dentro l’Iran, potrebbero farlo fuori.
Il 7 ottobre, Gaza, il Libano, la Siria, l’attacco all’Iran: che Medio Oriente sta uscendo da questa nuova fase?
Gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere l’impero, la potenza egemone a livello internazionale, non solo in Medio Oriente. USA e Israele hanno fatto quello che volevano, senza nessuna opposizione di sorta, spesso e volentieri anche con l’appoggio entusiasta e aperto di Paesi occidentali: Merz ha detto che Israele stava facendo “il lavoro sporco” che serve anche agli altri. Il Medio Oriente ne esce, purtroppo, con una situazione sicuramente complicata: l’instabilità dell’area influenza tutto, dai prezzi del petrolio al turismo, e non è una buona notizia né per i regimi né per i governi della regione, tantomeno per le popolazioni.
Le pesanti operazioni militari di Israele e USA in Iran provocheranno una controspinta da parte del mondo del fondamentalismo islamico? Ci dobbiamo aspettare una ripresa del terrorismo?
Non è tanto la questione dell’Iran che conta, quanto quella di Gaza. Quello che stanno patendo i palestinesi da due anni a questa parte è un forte motore per il fondamentalismo religioso e per l’antisemitismo a livello globale. Quest’ultima fase della guerra ha contribuito a mettere Gaza in secondo piano e probabilmente sta anche incoraggiando Israele a procedere in maniera ancora più spietata. Non per niente il ministro israeliano Smotrich ha dichiarato: “Abbiamo eliminato la minaccia iraniana, adesso andiamo avanti su Gaza, portiamo avanti il nostro piano”.
(Paolo Rossetti)
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