L'accordo tra Usa e Ue sui dazi di domenica rischia di rappresentare la fine dell'Unione e dell'industria europea
Se per Ursula von der Leyen l’accordo siglato tra Ue e Usa sui dazi aiuta a dare più certezze, in realtà quello che si sta vedendo in questi giorni è un susseguirsi di critiche alla Commissione da parte di Paesi membri e politici indubbiamente europeisti, insieme alla richiesta di interventi compensativi o protezionistici per alcuni settori produttivi, tra cui quella di introdurre un tetto alle importazioni di acciaio.
Secondo Giulio Sapelli, Professore emerito di Storia economica all’Università degli Studi di Milano, «bisognerebbe chiedersi perché la Presidente della Commissione firma un accordo se nessuno nell’Ue lo vuole o perché Francia e Germania che oggi criticano l’intesa gliel’hanno consentito. Tra l’altro non è passato molto tempo dalla presentazione da parte di Bruxelles del nuovo Bilancio europeo che è stato subito oggetto di critiche, anche da parte dei Paesi membri».
Ponendosi queste domande, a quali conclusioni si giunge?
A me pare che oggi la Commissione non abbia più il consenso dell’asse franco-tedesco, che tra l’altro negli ultimi tempi ha stretto un rapporto molto forte con il Regno Unito, Paese che non è più nell’Ue. C’è di fatto un sistema di poteri a geometria variabile e l’Ue lentamente si sta spaccando. In queste condizioni se la von der Leyen non avesse firmato un accordo con gli Stati Uniti si sarebbe trovata in difficoltà, perché avrebbe reso manifesta la debolezza della sua presidenza.
Si arriverà a una resa dei conti per la von der Leyen?
Sicuramente, perché le chiederanno tutti conto del suo operato. Non dimentichiamo poi che l’accordo, una volta definito, dovrà in qualche modo essere approvato o ratificato. Tra l’altro ancora non sappiamo nulla dell’intesa con il Mercosur che la von der Leyen aveva firmato alla fine dello scorso anno. Ci sono, poi, cose interessanti che mi pare si leghino a questo accordo.
Quali?
Per esempio, si parla di acquisto di prodotti energetici dagli Usa, in un momento in cui in Germania è sempre presente la speranza che la guerra in Ucraina arrivi a una soluzione e che si possa tornare a rifornirsi di gas russo consentendo una certa qual ripresa dell’economia. È chiaro che tutto questo dipende da Zelensky e Putin: se la guerra non finisce, rimarrà aperta la strada per il Gnl americano che costa molto di più. Nell’accordo si parla anche di acquisti di armi Usa, un colpo soprattutto per la Francia, e investimenti produttivi da effettuare negli Stati Uniti, una beffa per un’Ue che non riesce a far ripartire la sua economia.
L’accordo non è ancora definito nei dettagli, ritiene che ci sia la possibilità di miglioramenti?
Penso che questo accordo rimarrà sulla carta, sarà una bussola per le imprese europee, le costringerà ad attuare delle ristrutturazioni. Andiamo verso il disordine. Da tempo gli Usa bloccano qualsiasi possibilità di un commercio mondiale condiviso. L’obiettivo di Trump è arrivare a una serie di conquiste territoriali, Groenlandia in primis. Esercita quindi una pressione diplomatica-economica-militare allo scopo.
A quali conseguenze porteranno le iniziative che impediscono un commercio mondiale condiviso?
Tutto dipenderà dall’incrocio tra svalutazione del dollaro e innalzamento dei dazi: potrebbe contribuire a innescare una recessione mondiale, considerando anche la situazione non florida della Cina.
Viste le lamentele sull’accordo, finirà che ogni Stato cercherà di negoziare per se stesso con gli Stati Uniti condizioni migliori?
Questo processo è già cominciato e rappresenta la fine dell’Ue. Sarà una lenta agonia. L’Ue non ha le basi per sostenersi nel momento in cui gli Stati membri continuano a farsi la guerra.
Non può essere che l’obiettivo di Trump fosse questo: costringere l’Ue a firmare un accordo insostenibile in modo da farla implodere?
Per quanto Trump detesti l’Ue, un piano di questo tipo richiederebbe una capacità strategica che né lui, né i suoi consiglieri hanno. Il Presidente americano ha spinto per siglare questo accordo per cercare di guadagnare consenso interno in vista delle elezioni di midterm e temendo anche le conseguenze del caso Epstein.
Cosa pensa degli attacchi alla Commissione europea che sono arrivati anche da politici italiani europeisti da sempre?
È una reazione dettata dal fatto che vedono fallire i loro sogni e disegni, è la fine della loro attività politica. Del resto, l’Ue ha fatto scrivere a Draghi e Letta dei rapporti che poi ha di fatto gettato nel cestino della spazzatura.
Cosa sarà dell’industria europea, basteranno le compensazioni che vengono chieste?
Subirà un drastico ridimensionamento, diventerà un’industria di piccolo cabotaggio: basta guardare a quello che sta succedendo sul fronte dell’acciaio e a quello che sta capitando in Italia intorno all’ex Ilva. Gli industriali si sono autodistrutti seguendo le politiche dell’Ue e ora non basta criticare e chiedere piani straordinari o compensazioni: è troppo tardi, i buoi sono già scappati dalla stalla.
L’Italia, a suo avviso, cosa dovrebbe fare?
Più che guardare alla politica, guarderei al mondo produttivo: industriali e agricoltori dovrebbero come minimo manifestare a Bruxelles. Mi sarei anche aspettato una qualche reazione da parte dei sindacati.
Chiedere compensazioni per i settori colpiti dalla conseguenze dei dazi non basta?
Le compensazioni corrisponderebbero alla politica dei bonus, l’Europa rischierebbe così di finire come l’Argentina distrutta dai bonus e dal debito, dato che parliamo di risorse che non andrebbero a sostenere attività produttive, ma sarebbero meri sussidi. Purtroppo la realtà è che l’accordo con gli Stati Uniti sancisce la fine dell’Ue e dell’industria europea.
(Lorenzo Torrisi)
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