Domani Trump incontrerà Zelensky. Il presidente ucraino dovrà dire se accetta o no l’esito del summit di Anchorage. L'Ue rema contro

“C’è un accordo su quasi tutto”. Così si è concluso l’incontro tra Trump e Putin in Alaska lo scorso 15 agosto. È quel “quasi” che desta preoccupazione. Come da prassi dei vecchi accordi stipulati tra i due giganti nucleari durante la Guerra fredda, il contenuto della loro intesa non è divulgato (per ora).



Viste le immagini del presidente ospite e di quello ricevuto con gli onori dei tappeti rossi e gli F35 statunitensi che hanno accompagnato il rientro aereo, che un accordo ci sia è stupido dubitarne.

Un accordo tra soggetti che esprimono potenza (anche atomica), un quadro nel quale ricondurre le loro relazioni bilaterali globali, ed anche europee, che fu messo in mora con quel folle summit della NATO del 2008 a Bucarest. Quello delle “porte aperte” a Georgia e Ucraina e sul quale gli Stranamore neocon, affiancati da stolti leader opportunisti europei (progressisti, sic!) e dai burocrati mai eletti dell’UE, hanno costruito “il mostro russo” fino ed oltre l’invasione russa dell’Ucraina.



Un’invasione costata cara ai russi e agli americani, estremamente dissanguante per gli ucraini, e senza alcun senso per gli europei.

Nonostante le minacce neppure troppo velate del premio Nobel per la pace Obama (spionaggio, intercettazioni, ricatti finanziari e rivoluzioni colorate), e quelle esplicite di Biden (“sappiamo cosa fare”: Nord Stream), gli europei si sono rinchiusi nella paranoia della sindrome di Stoccolma declinata in quella dei vassalli felici (copyright Financial Times) autodistruggendo la propria economia a colpi di sanzioni (nella speranza di ingraziarsi il demiurgo).



Avendo scambiato le sanzioni per la luce promanante dalle idee fuori dalla caverna platonica, gli europei si sono affidati all’angelico viso dell’estone Kaja Kallas per proclamare  sciocchezze: “se non siamo in grado di sconfiggere la Russia, come possiamo sconfiggere la Cina?” (marzo 2025).

Sconfiggere? Detto da una estone è surreale!  Siamo stati invasi da mesi di sproloqui sul “cessate il fuoco immediato”, “per dieci anni almeno”, come base senza la quale nessuna pace (“giusta”, sic!) si poteva sperare.

Evacuazione di soldati ucraini feriti dal Donbass, dicembre 2024 (Ansa)

Una formula che equivaleva essenzialmente a dare un calcio al barattolo per poter continuare il conflitto ad libitum, sapendo peraltro che la Russia non lo avrebbe mai accettato.

Oggi (ieri, ndr), subito dopo l’incontro in Alaska, siamo a dichiarazioni americane e russe, confermate rapidamente anche dalla furba Ursula von der Leyen, che “serve una pace, non un cessate il fuoco”. Oppure, siamo a dichiarazioni del fulgido segretario generale della NATO Mark Rutte che un accordo territoriale si può raggiungere “de facto ma non de jure”. Esemplari della politica della doppiezza che andrebbero perlomeno rimossi!

Folgorati sulla via di Anchorage, questi signori stanno dicendo che il realismo dell’incontro-accordo Trump-Putin prevale (finalmente) sul fiume di sciocchezze che essi – gli europei – avevano detto e propagato per anni. Eppure, ancora echeggia il coro delle Baccanti, intonato dagli irriducibili Starmer e Zelensky, che intendono far valere “i princìpi”, “i valori”, contro la volontà dionisiaca del potere reale.

Insistono con lo spartito corale che rappresenta null’altro che il conflitto tra ordine e razionalità. Sappiamo come finì nelle parole delle tragedie di Euripide.

Lunedì ci sarà l’ennesima, precipitata visita di Zelensky a Washington, che difficilmente potrà avere un impatto sul potere reale di richiamo russo-americano rappresentato in Alaska. Ci auguriamo che anche l’attore-presidente ucraino, al potere in forza della legge marziale, ricordi improvvisamente l’atto finale del suo spartito ed eviti di continuare l’inutile carneficina.

Dall’ultimo sondaggio Gallup, il 66% degli ucraini vuole che si negozi la pace, mentre quei leader europei del 20% continuano a tirare calci al barattolo per continuare la guerra (e lucrare benefici industriali a detrimento dello stato sociale).

Intanto, uno stuolo di tromboni ci racconta che ci vogliono “garanzie di sicurezza in stile NATO, senza la NATO”. Basterebbe rileggersi l’art. 42, comma 7 del Trattato dell’Unione Europea, una clausola di difesa cogente che per di più fa rientrare la NATO dalla finestra. Una condizione che la Russia certamente rifiuterebbe, e forse anche gli Stati Uniti. Tromboni, appunto!

Gli europei sono impantanati ma pericolosi. In preda all’ansia da riconoscimento tra le potenze (sic!), i leader europei potrebbero essere il più grande ostacolo alla pace (e non sarebbe la prima volta). Farebbero bene a leggere gli editoriali del Quotidiano del Popolo, organo della Repubblica Popolare Cinese, nel quale si legge chiaramente che la Cina non intende porre ostacoli al dialogo emergente tra Trump e la Russia. Anzi, la Cina sembra pronta a considerare il vertice come “mandato dal Cielo”. Da noi si chiamerebbe “volontà del tempo” (Zeitgeist).

Non c’è dubbio, ed è bene che gli Stati europei e l’UE se ne facciano una ragione, che il summit tra Putin e Trump segnerà la storia dei prossimi anni. Questo lo si intuisce anche dall’enorme portato simbolico che è stato racchiuso nel cerimoniale. I simboli sono sostanza, soprattutto quando si parla di vertici internazionali di questa rilevanza.

D’altra parte, gli Stati Uniti hanno raggiunto l’obiettivo strategico che si erano preposti, ovvero distruggere la competitività europea tagliando il cordone ombelicale con la Russia che forniva materie prime a basso costo e offriva uno sbocco importantissimo alle merci europee. Le parole di Trump in merito al cessate il fuoco richiesto dagli europei sono state chiarissime: “non mi faccio dire dagli europei quel che devo fare”.

Tradotto in termini pratici, l’Ucraina e l’Europa sono attori di secondo piano che al prezzo giusto possono essere in tutto o in parte sacrificabili.

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