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Home » Esteri » Europa » DOPO L’INCONTRO TRUMP-PUTIN/ Sull’Ue aumenta il peso (e il costo) del riarmo

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DOPO L’INCONTRO TRUMP-PUTIN/ Sull’Ue aumenta il peso (e il costo) del riarmo

Stefano Cingolani
Pubblicato 17 Agosto 2025
La costruzione di un carro armato Leopard 2 in uno stabilimento di Rheinmetall (Ansa)

La costruzione di un carro armato Leopard 2 in uno stabilimento di Rheinmetall (Ansa)

Dopo l'incontro tra Trump e Putin il quadro per l'Ue si fa più complicato, sopratutto sul fronte del riarmo

Adesso il peso è sulle spalle di Zelensky e dell’Europa, soprattutto della coalizione dei volenterosi promossa da Francia e Gran Bretagna. Non si sa molto su quello che si son detti Trump e Putin, ma tra oggi e domani capiremo se si è aperto o no uno spiraglio per congelare la guerra.

Il capo del Cremlino non ha accettato nessuna tregua e ha gettato la responsabilità del conflitto sul Presidente ucraino e sui leader europei che lo sostengono. Ha detto che non vuole intromissioni europee e guai a Zelensky se intende sabotare il sottile filo che divide la prosecuzione delle ostilità su vasta scala dal riconoscimento formale di ciò che la Russia ha conquistato sul terreno. Trump avrebbe accettato le condizioni di quello che anno fa aveva chiamato Zar Vlad. E ha ammonito Zelensky affinché tenga conto che Mosca ha un grande potere, quindi l’Ucraina non potrà mai vincere.


Asset russi congelati, pressing Germania ma Belgio: "Rischiamo perdite miliardarie"/ Lega: "Vanno restituiti"


La prima risposta dell’Unione europea è stata un no al diktat di Putin. Oggi vedremo se Trump rigirerà di nuovo la frittata con qualche suo messaggio su Truth e domani sapremo cosa dirà a Zelensky il quale vola a Washington per un incontro che rischia di essere una nuova umiliazione. Se le cose stanno così, grava sull’Europa una responsabilità enorme che porta con sé costi molto elevati, economici, politici, sociali e persino militari. Anche i mercati finanziari trattengono il fiato, un cedimento americano non è certo quel che si aspetta Wall Street.


Putin: “Dombass sarà nostro, coi negoziati o con le armi”/ Trump accelera sulla pace: oggi round USA-Ucraina


Wall Street, New York (Ansa)

Su che cosa ha detto Putin il Financial Times ha anticipato alcuni contenuti. Secondo il quotidiano britannico, il capo del Cremlino ha chiesto che l’Ucraina si ritiri da tutto il Donetsk controllato per il 70% dalle truppe russe, come condizione affinché Mosca cessi il conflitto; questo significa, ha spiegato chiaro e tondo a un Trump che sembrava soprattutto ascoltare, che potrebbe congelare la situazione del fronte al punto in cui si è arrivati.

Insomma, una via d’uscita alla coreana anche se la linea non è orizzontale come lungo il 38esimo parallelo e non sembra che si sia parlato di una zona cuscinetto smilitarizzata come tra Corea del nord e del sud. Non sarebbe la pace, che Zelensky non può accettare a queste condizioni, ma una sorta di ibernazione diplomatica.


SPILLO UE/ Dalle caldaie a gas al Cbam, gli indizi sui ripensamenti green di Bruxelles


Trump ha fatto da tramite e ha comunicato il messaggio ai leader europei e soprattutto a Zelensky, facendo capire che lui era sostanzialmente d’accordo e il Presidente ucraino non ha molte scelte. Potrebbe essere congelata anche la frontiera meridionale di Kherson e Zaporizhzhia e non ci sarebbe nessuna nuova offensiva russa. Il Presidente ucraino ha detto di non essere disposto a cedere il Donetsk, ma vuole discutere sull’assetto dei territori conquistati dai russi.

Sarebbe comunque una situazione temporanea perché per arrivare a un assetto più stabile, secondo Putin, occorre risolvere la questione che sta alla radice del conflitto, cioè il rischio per la sicurezza russa a causa dell’allargamento della Nato. È la tesi sulla quale batte fin dall’inizio e sembra aver fatto breccia anche in Trump il quale ha detto che in effetti Mosca si è sentita minacciata.

Se le cose stanno così, non c’è dubbio che Putin sia uscito vincitore dal faccia a faccia con Trump, ma la realtà è molto più complicata di quel che appare. L’idea che le due più grandi potenze nucleari possano spartirsi l’Ucraina, l’Europa, il mondo, fa parte del passato, dell’era di Yalta e di una Guerra fredda condotta da due prim’attori con deboli comparse. Lo era la Cina (non parliamo dell’Indocina) nell’area comunista, lo erano in quella occidentale i Paesi europei tre dei quali vinti: la Germania, il Giappone e l’Italia.

Il quadro è molto cambiato e non solo perché sono in molti a possedere l’atomica. La Cina è una potenza economica maggiore della Russia, una potenza in ascesa mentre quella russa è in declino e anche sul piano militare le forze armate cinesi sono superiori a quelle russe. L’amicizia “eterna” con Mosca non impedisce certo a Xi Jinping di perseguire i propri interessi strategici che non coincidono con quelli di Putin. In Occidente c’è un’Europa che sotto la minaccia russa si sta riunificando.

Londra e Parigi hanno raggiunto un accordo che ricorda l’Intesa del 1904 rivolta contro la Prussia (potenza emergente come oggi la Cina) e la Russia sempre minacciosa anche se, dopo la sconfitta nella guerra di Crimea, stava leccandosi le ferite di mezzo secolo di espansionismo e di lì a poco sarebbe stata sconfitta dal Giappone, un’altra nuova potenza piena di energia e di ambizione.

La dichiarazione di Macron e Starmer sulla collaborazione nucleare è un passo importante. Vedremo se avrà seguito o sarà sabotato dalle destre nazionaliste sui due versanti della Manica. Si tratta di un potenziale non indifferente, si stimano 515 testate nucleari, ma soprattutto ha una funzione di deterrente contro Putin il quale agita lo spauracchio atomico. Non solo. Non c’è un esercito europeo, ma il riarmo di Paesi come la Germania, la Polonia, la Finlandia, la Svezia, va oltre le stesse richieste della Nato.

Se il paso doble poteva essere una danza efficace dal 1949 al 1989, adesso non lo è più. Naturalmente questo richiede visione politica, capacità tattica e grandi risorse destinate alla sicurezza che sta diventando ovunque la priorità strategica. Anche rispetto al benessere immediato? Anche rispetto al welfare stare? Anche rispetto ai consumi?

Domande enormi senza risposta. Quando Ursula von der Leyen ha detto che occorrono 800 miliardi di euro è stata accolta da un coro di no. Berlino ha deciso di andare avanti per proprio conto. Londra e Parigi hanno trovato una sintonia perduta con la Brexit. I Paesi del sud sono quelli più restii anche perché hanno problemi di bilancio come l’Italia e la Grecia, mentre la Spagna che continua a crescere è spinta da una domanda di consumi che il Governo non ha intenzione di cambiare.

E poi c’è la questione senza dubbio più drammatica: siamo pronti noi europei occidentali che abbiamo vissuto per 70 anni al sicuro grazie agli Stati Uniti, a fare sacrifici per difendere la nostra indipendenza?

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Tags: Donald TrumpVolodymyr ZelenskyUrsula Von Der LeyenEmmanuel MacronVladimir Putin

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