Dopo lo scontro con Trump, Zelensky rischia il siluramento e l’Ucraina la fine degli aiuti Usa. La UE deve prendere l’iniziativa
Zelensky vuole garanzie di sicurezza, ma gli USA non gliele danno. Ucraini e americani, però, hanno commesso l’errore di lavare i panni sporchi in pubblico, davanti ai giornalisti e al mondo. Una situazione che ha messo in mostra un certo dilettantismo dell’amministrazione Trump e che, di fatto, allontana le prospettive di pace in Ucraina.
Lo stesso Zelensky ora potrebbe rischiare di essere sostituito, mentre l’Europa, che a parole lo sostiene, in realtà non ha la forza politica e militare per prendere il posto degli Stati Uniti nell’appoggiare Kiev. L’unica speranza per la UE è di prendere l’iniziativa.
Potrebbe farlo l’Italia, spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, facendosi portatrice di una proposta per ridisegnare i termini della sicurezza europea, riallacciando i rapporti con i russi. Un modo per mettere sul tavolo un’ipotesi di pace alternativa all’unica proposta del genere avanzata finora, quella degli americani.
Qual è il vero motivo del litigio Zelensky-Trump? Il presidente ucraino ci ha ripensato e non vuole più concedere una parte consistente delle risorse minerarie agli USA?
Ci sono due problemi di fondo, uno politico e l’altro tecnico. Zelensky è disposto a un accordo per le concessioni minerarie, ma vuole che preveda un intervento americano in caso di nuove minacce da parte della Russia. Una garanzia che Trump non intende dare: dell’Ucraina non gli interessa molto e ha bisogno di ripristinare ottime relazioni con la Russia.
L’obiettivo di usare l’Ucraina per far saltare Putin è fallito, il presidente americano ne prende atto e, visto che non può battere i russi, pensa di farseli amici. Vuole avvicinarsi alla Russia per sottrarla all’abbraccio della Cina, indebolendo contemporaneamente Pechino.
Qual è, invece, il problema tecnico che ha guastato l’incontro?
L’incontro è sfociato in uno show ridicolo, con un Zelensky sopra le righe, ma anche un’amministrazione Trump dilettantesca. Nei vertici internazionali, all’inizio viene garantita una photo opportunity: i media vengono chiamati nella sala in cui si terrà la riunione, scambiano qualche battuta con i due leader, fanno foto e video, poi escono per lasciare spazio al dibattito tra i leaders.
Questo può essere molto duro, anche peggio di quello che si è visto alla Casa Bianca, ma, essendo a porte chiuse, nessuno si gioca la faccia. Poi, quando le parti hanno trovato l’accordo o almeno hanno stabilito cosa dire all’esterno, subentrano gli staff di comunicazione, che stilano un documento finale con parole condivise da entrambi, stabilendo note di linguaggio per esprimersi sui temi intorno ai quali resta una divergenza. Infine, si va in conferenza stampa. In questa occasione, invece, la photo op è scaduta nel summit vero e proprio alla presenza dei giornalisti ed è diventata la conferenza stampa.
Ma lì sono volate parole grosse, gli interessati non potevano esimersi?
Anche Macron e Trump hanno avuto un dibattito, ma, quando sono arrivati in conferenza stampa, hanno smussato i toni. Qui, invece, tutto si è svolto davanti ai giornalisti. In un contesto del genere, se Trump dice a Zelensky che era il vassallo di Biden ma che adesso la situazione è cambiata, il presidente ucraino non può non reagire.
E, allo stesso modo, il presidente americano non può farsi interrompere da Zelensky all’interno dello Studio Ovale. Siamo di fronte a un dilettantismo tecnico che lascia allibiti, considerato il luogo in cui avviene tutto ciò. Uno spettacolo che ha dimostrato la pochezza dell’Occidente. Già l’Europa si era bruciata, ora ci si mette anche l’America: penso che Putin abbia aperto lo champagne.
Zelensky può recuperare la situazione oppure il suo destino è segnato? Trump ha già detto che vuole un presidente ucraino disposto a fare la pace: pensa alla rimozione di quello attuale?
Zelensky lo cambieranno gli americani, potrebbe avere le settimane contate. Trump vuole chiudere la guerra e negoziare con i russi. E lo farà. L’Europa si è schierata con Zelensky, non capendo di non avere la possibilità di sostituire gli americani.
L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri, Kaja Kallas, ha detto che il mondo libero ha bisogno di un nuovo leader: vuole che diciamo addio agli americani?
Ha fatto questo discorso perché pochi giorni fa è andata a Washington per incontrare il segretario di Stato Marco Rubio, che l’ha fatta arrivare al Dipartimento di Stato per poi farle sapere che non aveva tempo per incontrarla. La Kallas ormai, per inconsistenza e discorsi improvvisati, è un elemento di debolezza per la UE. Le reazioni dell’Europa contro l’amministrazione Trump hanno un senso solo se è in grado di sostituire l’America. Ma non è così.
L’Italia, in tutto questo, può avere un ruolo?
Il governo italiano è quello che ha avuto la posizione più equilibrata, proponendo di tenere un summit in cui venga definita una linea comune occidentale. Vista la fragilità di molti altri governi in Europa, l’Italia avrebbe la possibilità di giocarsi una carta importante, all’insegna del pragmatismo. Il Pd dice che dobbiamo scegliere fra Trump e la UE.
Ma perché dobbiamo scegliere tra un’America che si sgancia ancora una volta da una guerra che ha contribuito a scatenare e una UE guidata da coloro che ci hanno portato a fare i servi degli americani, oltre che al disastro economico ed energetico? Non dobbiamo scegliere tra due mali: c’è una linea che possiamo tracciare a beneficio anche di altri Paesi europei. L’obiettivo è chiudere la guerra, rimettere in sesto l’Ucraina, ridisegnare una cornice di sicurezza in Europa e ripristinare i rapporti con la Russia.
La Meloni chiede un vertice USA-UE-alleati. Gli americani sarebbero disposti ad accettarlo? Al di là di tutto, sembrano avere un atteggiamento indisponente anche nei confronti di Paesi con i quali finora non avevano cattivi rapporti.
La UE non la considerano. Possono riunire gli alleati, lo hanno già fatto, ma si aspettano che l’Europa li segua o li contrasti, nel qual caso prenderanno provvedimenti, come i dazi. L’Italia, magari con altri Paesi, potrebbe proporre un’iniziativa europea per il dialogo con la Russia, per chiudere con gli aiuti militari per l’Ucraina (che tanto non stanno servendo), sostenendola però economicamente e sul piano umanitario, annunciando la fine delle sanzioni a Mosca appena firmato l’accordo di pace.
Se l’Europa non assume un’iniziativa del genere, gli unici a proporre la pace sarebbero gli americani, mentre europei e ucraini non la vogliono. Non si può essere a ruota degli USA, visto che ci trattano come servi che, se non ubbidiscono, vengono minacciati.
Secondo il New York Times, Trump potrebbe anche chiudere gli aiuti militari indiretti agli ucraini. Arriverebbe a tanto, abbandonando Kiev al suo destino?
La visita di Zelensky si è conclusa senza la firma sull’accordo per le compensazioni minerarie. In questo contesto, gli americani chiuderanno qualsiasi forma di aiuto, in attesa che un altro governo ucraino firmi l’intesa che permetterà agli Stati Uniti di vedersi restituire un po’ di soldi.
In attesa che questo si verifichi, i russi potrebbero arrivare a Kiev?
Credo che i russi, a questo punto, accamperanno pretese territoriali molto più ampie rispetto ai territori che oggi controllano, proprio sulla base del fatto che concludere la guerra è più interesse nostro che loro.
E se invece Zelensky tornasse a parlare con Trump? In fondo il giorno dopo il litigio ha ringraziato gli americani.
Potrebbe tornare da lui dicendogli che vuole la pace, consapevole che un accordo comporterà le elezioni in Ucraina che lo obbligheranno ad andarsene. Oppure rischia di diventare il capro espiatorio dell’intera guerra, allora verrà fatto cadere attribuendogli tutte le colpe. Questo aprirebbe la strada a un’Ucraina ancora una volta sotto il controllo americano. Il regime change a Kiev lo farebbero gli statunitensi, mettendoci chi vogliono loro, ad esempio l’ex presidente Poroshenko, che aveva ottimi rapporti con Trump. Una situazione che verrebbe gestita comunque dagli americani (o dagli inglesi), non dagli europei.
(Paolo Rossetti)
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