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Home » Economia e Finanza » Borsa e Spread » CRACK BORSA/ Come uscire dalla crisi evitando l’incubo di un nuovo ’29

  • Borsa e Spread
  • Economia e Finanza

CRACK BORSA/ Come uscire dalla crisi evitando l’incubo di un nuovo ’29

Ieri sera un decreto del governo ha creato un fondo di 20 miliardi di euro per mettere le banche al riparo. Mentre Italia e UK hanno scelto di intervenire, la Germania Federale, finora, si è limitata ad una garanzia sui depositi. Ma è mancata una risposta comune a livello europeo. E questo rischia di avere effetti devastanti nel prossimo futuro, quando si tratterà di limitare i danni all'economia produttiva. VOTA IL SONDAGGIO.

Ugo Bertone
Pubblicato 9 Ottobre 2008
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Foto Ansa

Saranno in grado i nostri eroi di neutralizzare la Grande Crisi? O di spezzare quella trama di eventi che ricorda, in maniera sempre più impressionante, il precedente del ’29? Facciamo gli scongiuri. E proviamo a far qualche spicciolo di riflessione. Dal 1970 ad oggi, secondo i calcoli del Fondo Monetario Internazionale, ci sono state 42 crisi finanziarie in 37 Paesi. In media, ogni crisi è costata ai paesi coinvolti un arretramento del Pil del 4 per cento circa. La durata della recessione, secondo i precedenti storici, va dai 12 ai 18 mesi. Ma nessuna crisi esaminata ha avuto l’estensione e la profondità di quella che il mondo sta vivendo ormai da più di un anno. Allora, nell’autunno del 2007, solo una minoranza dava retta ad un giovanotto turco di nascita ma di famiglia iraniana, laureato alla Bocconi prima di entrare alla New York University: Nouriel Roubini, soprannominato dal New York Times mister Doom (ovvero “signor Disgrazia”) che calcolava in almeno duemila miliardi di dollari il danno del sistema finanziario. Ormai ci siamo, a giudicare dai conti accreditati dal Fmi (1.400 miliardi circa). Per un anno, abbiamo attribuito parte delle nostre disgrazie al boom delle materie prime, shock petrolifero in testa. Oggi siamo costretti a fare gli scongiuri: il petrolio in calo non promette nulla di buono. Semmai è il termometro della caduta delle attività dell’economia reale che, stolidamente, molte personalità anche con importanti incarichi, hanno ritenuto (o detto di ritenere) immune dai costi della crisi finanziaria. Quasi che il rendimento di un motore possa essere indipendente dalla qualità della benzina che viene messa dentro.


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È in questa cornice che le autorità monetarie ed i governi hanno fatto (tardivo) sfoggio di unità. Basterà? Il taglio del tasso di sconto di mezzo punto da parte della Fed, della Bce e di altre quattro grandi banche centrali (tra cui Pechino) ha senz’altro un grande significato politico e produrrà, prima o poi, effetti sull’andamento delle Borse. Ancor più rilevante sarà l’effetto dei vari paracadute di Stato, pur così diversi. L’Italia e la Gran Bretagna hanno scelto di intervenire, se necessario, nel capitale delle banche. La Germania Federale, finora, si è limitata ad una garanzia sui depositi (comunque inferiore alla rete che, da sempre, protegge i correntisti italiani). L’Irlanda si è spinta ad impegnarsi a favore delle sue banche per una cifra largamente superiore al Pil. Misure parzialmente efficaci (meglio la ricetta italiana delle altre) ma comunque parziali: purtroppo è mancata una risposta comune a livello europeo. E questo, nonostante il Vecchio Continente abbia assai meno colpe degli Usa, rischia di avere effetti devastanti nel prossimo futuro, quando si tratterà di limitare i danni all’economia produttiva. L’unità, in questi casi, ha un effetto moltiplicatore. Basti, a mo’ di esempio, vedere quel che sta capitando alla Danimarca, paese che fa parte dell’Unione Europea ma non ha aderito all’euro: Copenhagen, in crisi, ha dovuto alzare i tassi di mezzo punto proprio alla vigilia del taglio di Francoforte, per evitare il tracollo della corona. Proviamo a pensare quale sorte sarebbe toccata all’Italia in caso di non adesione alla moneta comune.


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Non è difficile, comunque, prevedere che, oggi più ancora che nel ’29, la partita si deciderà negli Usa. Sperando che, finalmente, le autorità monetarie facciano sfoggio di coerenza e di altruismo. Il sospetto è che il Tesoro Usa abbia voluto infliggere una punizione esemplare, scegliendo con cura la vittima: non le banche più strategiche per le casse dei fondi pensione (Merrill Lynch) o è più vicine al segretario al Tesoro Hank Paulson (Goldman Sachs) e di punire Lehman Brothers, la più esposta in Europa (600 miliardi). Peccato che la punizione di Lehman sia ripiombata come un boomerang su Wall Street. Oppure, forse, la lezione è stata capita anche a Washington. Di qui la scelta dell’intervento congiunto. Di qui la speranza che, presto, gli Usa accettino controlli internazionali sui propri conti. Forse sta qui l’unica notizia positiva…


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