La dichiarazione di Umberto Bossi «ci prenderemo le banche del nord» ha occupato le prime pagine dei giornali. Questa volta la Lega fa sul serio, e l’uscita di Bossi è tutto meno che una «sparata» di tipo tattico, per sparigliare le carte. Le elezioni regionali hanno visto la Lega vincere dappertutto, e ora Bossi sta raccogliendo i frutti del meritato successo. Non basta, infatti, raccogliere voti; occorre muovere le leve dello sviluppo, perché il vero federalismo potrà – anzi deve – arrivare con la riforma, ma nel frattempo può già cominciare proprio là, nei territori dove la Lega governa. E i soci delle fondazioni bancarie sono espressione degli enti locali. Siamo all’inizio di un nuovo modello bancario? Risponde l’economista Giulio Sapelli.
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Professore, la Lega è all’attacco. Vuole le banche.
Si è parlato di «Opa» della Lega, ma non la metterei in questi termini. Parlerei piuttosto di un ritorno alla normalità: non vedo perché un partito che al nord ha uomini eccellenti debba rinunciare a fa pesare il suo consenso. Bossi potrebbe sembrare poco equilibrato, ma parla ad un elettorato molto preciso che vuole un messaggio chiaro. La Lega è andata molto bene alle elezioni e oggi passa all’incasso. I «grandi» elettori della Lega, le piccole e medie imprese, dove soffrono di più? Sul lato del credito bancario, perché le grandi banche capitalistiche non danno soldi alle pmi e in buona parte le hanno distrutte. Chiedo quindi: quella di Bossi è stata un’offensiva, o una risposta?
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C’è stato un altro periodo, a metà degli anni ’90, in cui la Lega sembrava all’apice, però non seppe approfittate della sua posizione di forza. Potrebbe invece riuscirci ora?
È vero, alcuni commentatori hanno giustamente richiamato quel precedente, che aiuta molto a capire la situazione di oggi. La Lega è «esplosa», grazie al suo radicamento territoriale e al crollo dei partiti tradizionali, in un periodo di grande crescita economica, che sembrava inestinguibile. Allora la Lega non è riuscita ad entrare nei gangli del sistema bancario.
Ha perso una grande occasione o non è stata capace di farlo?
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Partiamo da un fatto: ora siamo in un periodo storico completamente diverso. Se allora la Lega poteva non preoccuparsi delle politiche economiche territoriali, ora ha un blocco sociale da difendere, fatto di operai e di aziende sotto i 50 dipendenti. In mezzo ci sono dieci anni di maturazione politica e di mutamento degli scenari macroeconomici. Controllare l’erogazione del credito, che rimane una prerogativa territoriale e che si è anzi accresciuta con i poteri concessi alle regioni, ha un senso molto diverso prima e dopo la crisi economica.
Quali sono i capisaldi del nuovo pensiero economico leghista?
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Non sappiamo quello che Bossi pensa, sappiamo però quello che vuole fare. Innanzitutto, farsi rappresentare da Tremonti nel negoziato su Basilea 2, formidabile ostacolo a una politica creditizia verso le piccole imprese. Poi favorire le banche di credito cooperativo e le popolari rispetto alle banche capitalistiche.
Bossi e i suoi puntano al controllo nelle fondazioni bancarie. La partita di Cariverona è emblematica: «i sindaci – ha detto Tosi, sindaco di Verona – devono essere determinanti negli orientamenti delle erogazioni».
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Mi sembra normale, dato che i partiti sono presenti in queste fondazioni, e dunque è normale che anche la Lega voglia il suo posto. Qui il discorso si complica e chiama in causa il grande tema delle fondazioni bancarie. Oggi possiamo tranquillamente dire che la riforma Amato del ’93 è stata una finzione, perché ha liberato patrimoni bancari per creare istituti che sono le fondazioni, le quali però non hanno rispettato la legge Ciampi e quindi non sono diventati enti non profit, ma organismi di controllo dell’azionariato bancario. Facendo erogazioni sul territorio, mettere la bandierina è imprescindibile per contare.
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Qual è la sua opinione su un tema così controverso?
Rimpiango le vecchie casse di risparmio, perché erano strumenti molto più semplici, diretti ed efficaci. I partiti nominavano parte dei Cda, c’erano le commissioni di beneficienza e si facevano le stesse cose che si fanno adesso, senza però il grande rischio, legato allo strumento attuale – e uso questo termine con molta delicatezza – di mettere in discussione il volontariato libero.
Ora fa polemica sulle fondazioni bancarie, professore? Sono costate un ministero.
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Ripeto, sarei molto più contento se l’erogazione sul territorio la facesse una banca, come fanno le banche di credito cooperativo e le popolari. Invece si sono create queste fondazioni per dare un po’ di denaro alle grandi banche internazionali, che poi era il compito che si era proposto Amato: conservare le banche in mano ai partiti, dando però i loro soldi al capitale anglosassone. In questo senso Amato e Ciampi hanno svolto perfettamente il loro ruolo. Fortunatamente oggi non sono più in azione. L’unica sponda per le piccole aziende sono le banche di credito cooperativo e le banche popolari. Bossi lo ha capito e le vuole. Ma ha fatto un errore.
Quale?
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Aver detto quello che vuole fare. Battute a parte, ora la Lega deve fare due cose: premere sulle banche capitalistiche perché cambino politica e non facciano più margini vendendo prodotti finanziari, ma erogando credito, e difendere le banche di credito cooperativo. La Lega in questi ultimi due anni lo ha fatto e secondo me l’elettorato l’ha premiata anche per questo.
Tito Boeri ha scritto che il successo della Lega è dovuto ai tanti «rubinetti discrezionali» che le ha generosamente aperto il governo. È così?
No. Boeri ha ragione, ma solo se i rubinetti discrezionali si riferiscono all’Emilia Romagna e alla Toscana. Dove l’enorme sistema clientelare prodiano e della sinistra storica sta lentamente franando, perché non riesce più a intercettare la crescita economica. E ha grossi problemi di sicurezza, cioè di microcriminalità e di infiltrazioni mafiose. I giornali li leggiamo tutti. Là dovrebbero realmente fare un monumento alla Lega, che dirotta sul terreno democratico passioni e pulsioni potenzialmente incontrollabili.
Il «ritorno al territorio» non rischia di frenare la crescita, mascherando semplicemente la spartizione di posizioni di rendita e di potere? Non ci sarebbe ora bisogno di più finanza?
Paul Krugman, che poi è un’economista di sinistra, dice che quello che fa il successo dell’economia territoriale è un mix di fattori come la buona politica delle istituzioni, la difesa della legalità, il credito a basso costo, non la finanza. Como e il Lancashire negli anni ’40 e ’50 erano distretti tessili entrambi fiorentissimi. Quando le banche locali sono andate via dal Lancashire il distretto è morto; a Como invece, nonostante le difficoltà, continua ad esistere perché ha dietro le banche di credito locale.