Mentre sembra che Oltrealpe la giustizia sociale trionfi e il Paese prosperi, la realtà dei numeri dice qualcosa di diverso. Come anche in altri casi. Ce ne parla MAURO BOTTARELLI
A chi mi chieda cosa debba leggere o guardare per capire veramente fino in fondo la crisi che stiamo vivendo, consiglio sempre di mettere a budget 14 euro e comprare il dvd di “Inside job”, il film-documentario del regista premio Oscar, Charles Ferguson. In 104 minuti a metà tra la crime-story e l’inchiesta giornalistica vecchia maniera, vengono svelati nomi e cognomi di chi, già sul finire degli anni Novanta, ha creato le condizioni per il crollo di Lehman Brothers, per la bolla dei mutui subprime e per l’aumento esponenziale dei contratti derivati, qualcosa come 35 triliardi di dollari che gravano sulle nostre teste ticchettando come bombe a orologeria.
Il problema principale, infatti, è che la crisi ha reclamato due vittime eccellenti: la fiducia, polverizzata da politici, regolatori e banchieri marci fino al midollo e l’informazione, ridotta a velina degli interessi di cinque banche d’affari, tre agenzie di rating e dei loro sodali che siedono nei vari Parlamenti. Diciamoci la verità: voi vi sentite informati davvero su questa crisi? Sentite che i media vi dicono la verità, tutta, senza guardare in faccia potenti, conflitti d’interessi e propri editori, in molti casi banche e industrie che siedono nei cda dei gruppi editoriali? Io non credo.
Prendiamo il caso della Francia. Da quando Francois Hollande è al potere, sembra che Oltralpe la giustizia sociale trionfi e il Paese prosperi. Mah. Sapete quanto porterà nelle casse dello Stato la demagogica tassa del 75% sui redditi milionari? Duecento milioni di euro. Vi sembra una cifra risolutiva? Direte voi, almeno è un segnale. Verissimo, ma la Francia, i cuginetti spocchiosi, hanno bisogno ben’altro che di un segnale.
Qualche dato, dal settore privato d’Oltralpe, reso noto lunedì. Un barometro dell’economia reale francese è la vendita di nuove automobili registrata attraverso l’immatricolazione: bene, a settembre si è registrato un crollo del 18,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, trend in accelerazione e che vede il dato year-to-date, ovvero da inizio anno a oggi, in calo del 13,9%. Insomma, numeri peggiori del settembre 2008, quello maledetto del crollo Lehman e i peggiori in assoluto dall’inizio della crisi.
Fiat va male? Certo, ma PSA Peugeot Citroen, leader del mercato francese, come va? Un calo solo del 5% a settembre grazie all’introduzione del nuovo modello compatto Peugeot 208 ma year-to-date il dato ci dice che le vendite sono giù del 18,4%, mentre Renault fa peggio: -33,4% il dato di settembre, mentre quello da inizio anno ci dice -19,8%. E i competitor europei, come si comportano sul mercato francese? Volkswagen -17,4%, quasi stesso dato per Bmw e Mercedes, mentre General Motors (Opel, Chevrolet) ha registrato un -20,8%, Ford -31,5% e Fiat -38,4%.
Accipicchia, vuoi dire che c’è la crisi anche in Francia!? E i veicoli industriali, barometri dell’economia reale? I light utility, i furgoni per capirci, -12,5%, mentre quelli sopra le 5 tonnellate -20,1%. Insomma, senza aiuti di Stato si affoga: peccato che gli aiuti non si sa da dove possano arrivare, stante la necessità del governo di ridurre i deficit o, quantomeno, evitare che si espandano a dismisura. Nel 2005, PSA e Renault assemblavano insieme qualcosa come 3,2 milioni di veicoli in Francia, lo scorso anno meno di 2 milioni e quest’anno andrà ancora peggio. Ma andiamo oltre.
L’indice manifatturiero MPM è crollato a 42,7 a settembre, peggior dato dall’aprile 2009: peggio ha fatto solo la Grecia, anche la Spagna è andata meglio di Parigi. Male anche l’export, ma peggiore è il dato del mercato interno. I nuovi ordinativi sono al minimo dal marzo 2009 e questo pesa anche su un’altra voce: la disoccupazione. Il tasso è ormai al 10,6%, mentre quella giovanile è al 25,2% e in rapida ascesa, con più di 3 milioni di posti di lavoro bruciati dal 1999 a oggi. ArcelorMittal, il più grande produttore di acciaio del mondo, chiuderà due fornaci nel Paese, nonostante proclami e minacce di Hollande.
E la piccola e media impresa non sta meglio, visto che il dato della fiducia nel mese di settembre è crollato a 84, il peggior dato dal 1992: solo ad aprile era a 129. E questo tenendo conto che il settore privato conta solo per il 44% dell’economia francese, mentre il 56% è rappresentato da spesa pubblica. Sapevate queste cose? Qualche giornale o telegiornale ve le aveva dette o si era limitato a spacciarvi come seconda Rivoluzione francese l’inutile e patetica tassa sui milionari?
Ma c’è dell’altro, cari lettori. Avete letto o sentito da qualche parte delle conclusioni cui è giunta la scorsa settimana la Banca per i regolamenti internazionali riguardo il settore bancario europeo? Bene, la Bri ha detto chiaro e tondo che alla faccia di Basilea III molte grandi banche adottano un sotterfugio grazie al quale presumono che le loro detenzioni di debito sovrano siano risk-free, ovvero senza rischi. Insomma, le banche europee stanno travisando e spacciando per vero uno stato patrimoniale sano che invece sano non è affatto, visto che presentano a bilancio le detenzioni di debito greco al 95% del valore facciale dell’atto dell’acquisto, ad esempio! Qualcuno vi aveva dato questa notizia, per caso? E ancora. Sapete che percentuale hanno raggiunto i bad loans delle banche greche, ovvero quei prestiti che da almeno tre mesi non vedono il pagamento di una rata? Il 25%, lo stesso livello del tasso di disoccupazione, a quota 57 miliardi di euro.
Cosa significa questo? Sempre maggiore necessità di capitale da parte degli istituti, di fatto già mantenuti in vita dal programma di emergenza europeo Ela, ovvero con la Banca centrale greca che prende soldi dalla Bce – avendo ancora un pochino di collaterale eligibile che invece le banche non hanno più – e li distribuisce tra i vari istituti. E cosa fanno le banche greche per porre rimedio alla situazione? Tagliano del 30% il debito che i clienti hanno con loro per incentivarli a pagare! Ma quando mai tagliando si incentiva, al massimo si offrono argomenti all’azzardo morale di creare nuovo debito per tirare a campare. Il mondo dell’insolvenza globale è questo, cari lettori. Qualcuno ve ne aveva parlato?
Per finire, una chicca che vi fa capire come funziona il mondo della grande finanza, quello che tira i fili dell’economia globale e, quindi, i destini del mondo. Il 30 giugno del 2009 si registrò un misterioso aumento del prezzo del barile di petrolio durante la notte, qualcosa come 1 dollaro e 50 centesimi in più. Immediatamente si pensò a un grosso evento geopolitico sottotraccia, qualcosa che stava per succedere e che nelle stanze della City era già noto. Il caso fu talmente eclatante da richiedere un’indagine della Fsa, l’ente di vigilanza del mercato britannico. Si scoprì che a muovere quel volume era stato un singolo broker della PVM Oil Futures, Steve Perkins, il quale spese 520 milioni di dollari in contratti futures sul petrolio durante quella notte.
La mattina del 30 giugno, l’azienda chiese conto a Perkins del perché avesse comprato 7 milioni di barili nottetempo e il broker, candidamente, cosa rispose? Che non si ricordava di quella transazione e che doveva averla compiuta durante un blackout alcolico. Insomma, era sbronzo marcio! Non essendo stato autorizzato da nessun cliente, quell’acquisto costò alla PVM quasi 10 milioni di dollari, visto che tra l’1:22 e le 3:41 del mattino del 30 giugno 2009, il buon Perkins acquisto gradualmente il 69% del mercato globale, portando il prezzo del barile da 71,40 dollari a 73,05. Alle 6,30 del mattino, ripresosi dalla sbronza e resosi conto di cosa aveva fatto, scrisse una mail nella quale diceva che non sarebbe andato al lavoro a causa di un parente malato. Il signor Perkins, però, subì un’indagine interna e una volta ammesso il suo problema con l’alcol fu multato per 72mila dollari e la sua licenza di trading fu revocata per cinque anni. Ma la FSA cosa fece?
Conclusa la sua indagine, sentenziò argutamente che «Mr. Perkins pone un estremo rischio ai mercati quando è ubriaco», ma che se si fosse disintossicato dalla sua dipendenza, dopo il periodo di revoca sarebbe potuto tornare a fare trading. Lo sapevate? Qualcuno vi aveva detto che il mercato globale dei futures petroliferi aveva vissuto uno scossone degno dell’attacco israeliano all’Iran per il fatto che un broker alzava troppo il gomito e si lanciava in trading alcolici notturni? No, immagino. L’informazione, cari lettori, siete voi e la vostra curiosità: non spegnete mai la testa, altrimenti farete il loro gioco.
