FINANZA/ Così in 20 anni l’Europa ha “distrutto” l’Italia più del fascismo

- int. Giuseppe Guarino

L’euro nel 2012 ha compiuto dieci anni dall’inizio della sua circolazione. Con GIUSEPPE GUARINO abbiamo svolto una riflessione in due puntate su Europa e moneta unica

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Si sta per chiudere un anno davvero importante per l’Europa: la moneta unica ha infatti rischiato di esplodere proprio a dieci anni dall’inizio della sua circolazione. Tante sono state le critiche all’euro, oltre che gli attacchi speculativi sui paesi più in difficoltà dell’Eurozona per far crollare la moneta unica. I timori non sono comunque del tutto passati: nonostante i diversi strumenti messi in campo, le fondamenta dell’euro sembrano fragili. Ilsussidiario.net ha intervistato Giuseppe Guarino, esperto giurista, già ministro delle Finanze e dell’Industria, che recentemente ha scritto il saggio “Euro: venti anni di depressione (1992-2012)”. Ne è scaturita una lunga e approfondita riflessione sulle radici dell’euro, sul presente della moneta unica e sul suo futuro, che per comodità vi proponiamo suddivisa in due puntate.

Professor Guarino il titolo scelto per il suo saggio è molto forte: ce lo può spiegare?

La progettazione dell’Unione europea e dell’area euro fu completata entro la fine del 1991. Il Tue – Trattato sull’Unione europea (Maastricht) entrò in vigore nel 1993. Sono trascorsi da allora venti anni, un periodo lungo come quello del fascismo. Tutte le aspettative create dal fascismo andarono deluse. Il fascismo lasciò un’eredità pesante. Anche le speranze alimentate dal Tue sono state contraddette dalla realtà. L’eredità che ci consegnano questi primi venti anni non è migliore di quella che trovammo alla firma dell’armistizio e anche il 25 aprile 1945, data di riaggregazione del Paese.

In che senso?

Allora lo spirito di libertà generava entusiasmo e speranze. Oggi fronteggiamo un male oscuro, un fenomeno depressivo il cui ritmo si è aggravato e che si è esteso a cerchie sempre più ampie. Di cui per di più non esiste un’individuazione condivisa delle cause. Consideriamo il caso dell’Italia non perché è il “nostro” Paese, ma perché è paradigmatico. Nel quarantennio dal 1950 al 1990 l’Italia era stata il primo tra i paesi democratici occidentali, con una media di sviluppo del 4,36%, seguita da Germania (4,05%), Francia (3,86%), Usa (3,56%).

E ora com’è la situazione?

Oggi dopo poco più di venti anni siamo gli ultimi tra i grandi Paesi dell’Unione e dell’euro, con il Pil caduto del -2,4% in un anno. L’Italia ha ottemperato con precisione e puntualità a ogni adempimento che le è stato chiesto. Si è sottoposta alla pesante procedura costrittiva della fase della convergenza. Ha superato lo scrutinio di ammissione all’euro. Ha ceduto parti importanti del suo patrimonio mobiliare per un totale che assommava nel 2005 a 889 miliardi di euro. Non ha mai formato oggetto di un procedimento per disavanzo eccessivo. Come è potuto accadere che sia caduta così in basso? Ci siamo riferiti all’Italia. Se esaminassimo in modo altrettanto puntuale la situazione di Francia e Germania rinverremmo condizioni non dissimili.

Di chi è la colpa?

L’Unione europea e l’area euro sarebbero state istituzioni del tutto nuove. Rifiutata in partenza l’ipotesi federalista (i tempi in effetti non erano ancora maturi), si è dovuto por mano a una progettazione per la quale non esistevano precedenti. Ci si doveva confrontare con Stati di diversa importanza, che tutti potevano vantare storie gloriose. Le loro strutture economiche e sociali si erano consolidate da secoli. Errori erano possibili. I risultati rispetto alle premesse sono però così sconfortanti da non potersi addebitare a semplici errori. In luogo della crescita armoniosa e sostenibile si registra una depressione il cui ritmo si accentua e si generalizza. Era stata promessa coesione e le differenze tra i paesi membri non sono state mai così profonde. Doveva esservi solidarietà, ma l’aria che si respira è di accuse reciproche, risentimenti, sospetti. La responsabilità, oggi possiamo dirlo, non è del disegno originario. È di due alterazioni sopravvenute. L’una per così dire in corso d’opera, l’altra, più grave, attuata nel 1997, non percepita, che ha prodotto in modo ininterrotto effetti perniciosi.

 

Quali sono queste alterazioni?

 

Il disegno originario poggiava sull’unificazione dell’ambito del mercato e della moneta. L’art. G. p. 2, Tue prevedeva la “instaurazione di un mercato comune e di una unione economica e monetaria”. Il mercato comune è stato realizzato, l’unione monetaria “no”. Gli Stati dell’Unione sono stati distinti (art. 109K Tue) in due categorie, quelli che adottano l’euro e quelli che conservano la moneta propria. I primi sono oggi 17, 10 quelli che conservano la moneta nazionale.

 

Questa la prima avvenuta in “corso d’opera”. Cosa può dire riguardo la seconda?

 

Il Tue, art. 104 c) e prot. n. 5 garantivano agli Stati il potere di indebitarsi annualmente fino al 3%. Agli Stati euro, terminato il periodo detto della convergenza regolato da norme transitorie (prot. n. 5), fu imposto il vincolo di un bilancio prossimo al pareggio o in attivo. La imposizione fu indotta con un regolamento, il n. 1466/97. Il reg. 1466/97 è rimasto in vigore sino al 6 dicembre 2011.

 

E perché sarebbe un’alterazione?

 

Il reg. 1466/97 fu un atto arbitrario. Un regolamento non può modificare un Trattato, che formalmente e sostanzialmente è un atto di rango costituzionale. L’art. 104 c) e prot. n. 5 Tue fissava il limite dell’indebitamento al 3% annuo. Il reg. 1466/97 lo abbassò allo 0%. Uno stravolgimento grave. Del reg. 1466/97 si ottenne l’approvazione in modo surrettizio. Deliberato il 7 luglio 1997, se ne fissò l’entrata in vigore al 1° luglio 1998, data successiva a quella già fissata per lo scrutinio di ammissione all’euro. Non si dovettero fare sforzi per fare comprendere agli Stati aspiranti che difficilmente avrebbero superato l’esame se la loro affidabilità non fosse stata garantita dall’accettazione del vincolo della parità del bilancio. Il reg. 1466/97 si guardava bene dal chiarire che la parità del bilancio avrebbe comportato gravi sacrifici. Annunciava all’opposto una “crescita vigorosa, sostenibile e favorevole alla creazione di posti di lavoro”.

 

Ma cos’è successo dopo l’adozione di questo regolamento?

Il 13 dicembre del 1997 è stato stipulato il Trattato di Lisbona che nell’art. 126 Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) riproduce testualmente l’art. 104 c) Tue richiamando il relativo protocollo (che fissava al 3% il limite dell’indebitamento annuale) così confermando che tale parametro veniva non solo riconfermato, ma formalmente dichiarato come ininterrottamente in vigore a partire dalla ratifica del Tue. La Commissione continua invece imperterrita ad applicare non il 3%, bensì lo 0% imposto dal vincolo di bilancio.

 

Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore però nel 2009…

 

Sì, il 1° dicembre 2009, conseguite le necessarie ratifiche. A questo punto la Commissione continua a disapplicare il 3% di cui all’art. 126 Tfue e a imporre il pareggio di bilancio. Formalmente pone fine a questa alterazione arbitraria il reg. 1175/2011. Questo regolamento, atto di legislazione ordinaria ai sensi del Trattato di Lisbona, ammanta di un velo la grava illiceità commessa con il reg. 1466/97. Sulla base dell’esperienza, attesta l’errore di quanto avvenuto nel decennio trascorso. Il reg. 1175/2011 non solo regola l’intera materia in modo diverso ma abroga, sostituendolo formalmente l’art. 3, n. 2, lett. a) che aveva introdotto il vincolo del bilancio prossimo al pareggio o in attivo. Arriva però poi un’altra “sorpresa”.

 

A che cosa si riferisce?

 

Il reg. 1175/2011 non fa a tempo a entrare in vigore che viene del tutto accantonato e sostituito con un rinnovato vincolo di pareggio del bilancio, inserito in una disciplina di pareggio ancora più rigorosa, in pretesa anticipata applicazione di un trattato non europeo, ma di diritto internazionale, denominato Fiscal Compact. Il Fiscal Compact a oggi non è stato ratificato dal numero necessario di Stati. Ma anche se fosse in vigore non sarebbe applicabile perché nell’art. 2 stabilisce che la sua applicazione è subordinata alla condizione della sua conformità al diritto dell’Unione. L’art. 126 Tfue (Lisbona) fissa il parametro dell’indebitamento annuo al 3%. È questo, dunque, a stare alla volontà espressa dallo stesso Fiscal Compact, la norma da applicarsi. A questo punto posso ritornare alla sua domanda precedente riguardo le colpe della depressione attuale.

 

Per dire cosa?

 

Se le cose stanno così, e si ha ragione di ritenere che così sia, i responsabili della depressione che da anni affligge i Paesi euro sono i commissari europei che formalizzarono la proposta del reg. 1466/97, i componenti del Consiglio europeo che adottarono il regolamento e tutti coloro che in seguito vi dettero attuazione. Vanno aggiunti i commissari e i partecipanti ai vertici europei che a partire dal 6 dicembre 2011 hanno disapplicato il reg. 1175/2011 e hanno imposto regole e provvedimenti in contrasto con il disposto dell’art. 126 Tfue e con il reg. 1175/2011. Di fatto si è data applicazione al Fiscal Compact, Trattato non europeo, ma internazionale, che alla data del 18 dicembre 2012 non era ancora entrato in vigore e che condiziona la sua applicazione a una modifica del Tfue che consenta di giudicare il Fiscal Compact a esso conforme!

 

(Lorenzo Torrisi)

 

(1 – continua)







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