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Home » Economia e Finanza » LA CINA SI COMPRA L’ITALIA (?)/ L’esperto: i soldi cinesi ci farebbero comodo, ma l’Italia non è pronta

  • Economia e Finanza

LA CINA SI COMPRA L’ITALIA (?)/ L’esperto: i soldi cinesi ci farebbero comodo, ma l’Italia non è pronta

Int. Stefano Morri
Pubblicato 28 Marzo 2012
bancacineseR400

Infophoto

Per STEFANO MORRI, il fatto che il premier cinese abbia manifestato la volontà di far investire il suo Paese in Italia potrebbe comportare, prevalentemente, vantaggi

La Cina è vicina. Troppo. Ci sta praticamene col fiato sul collo. Ai più sarà corso un brivido lungo la schiena alla notizia del premier cinese Hu Jintao che, rivolgendosi a Mario Monti, aveva promesso (minacciato?): «Suggerirò a tutte le autorità e alla business community cinesi di investire in Italia». Il che tradotto, significa: fondi sovrani, grandi banche e grandi aziende. Ebbene: che il gigante asiatico si pappi in un sol boccone il nostro debito pubblico, le nostre imprese, banche e assicurazioni, non è suggestione rassicurante. O forse, non è così? Stefano Morri, esperto di diritto tributario, spiega a ilSussidiario.net che non solo non c’è nulla de temere ma che, l’”avanzata” cinese è, anzi, auspicabile. Cerchiamo, anzitutto, di capire come interpretare le parole del premier cinese: «significano tanto; l’economia cinese è fortemente dirigistica e le scelte d’investimento vengono prese sulla base di decisioni strategiche guidate dalla politica. Se a queste affermazioni seguiranno dei fatti, considerando la capacità finanziaria non solo dei fondi d’investimento, ma anche delle banche e delle aziende cinesi – anch’esse guidate dallo Stato – la portata delle conseguenze potrebbe essere enorme».  


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In concreto, le mire cinesi potrebbero assumere svariate pieghe. Resta da capire come. «Di norma – afferma – i cinesi operano attraverso agenzie, grandi banche o istituzioni finanziarie che guidano gli investimenti esteri». Ma c’è un fattore che non è stato contemplato: allo stato attuale, l’Italia non è sufficientemente in grado di recepire gli eventuali investimenti. «Dovrebbe esserci un sistema-Italia adeguato, in grado di aprire agenzie proprie analoghe a quelle cinesi, o di essere, in ogni caso, in grado di interloquire con esse proponendo attivamente gli oggetti di investimenti. E’ richiesta, quindi, un’azione concertata tra pubblico e privato per coordinare le energie e le risorse di alcune grandi realtà italiane, siano esse istituzioni, aziende private o banche». Un bel problema: «siamo privi, da anni, di una politica industriale all’altezza, del tutto sconnessa dall’economia reale». Per questo, «l’intervento cinese potrebbe essere un modo per limitare i danni. Una reale apertura nei nostri confronti, potrebbe comportare investimenti di ogni genere. Si parlerebbe, presumibilmente, di miliardi e miliardi di dollari».


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Non è ancora chiaro come potrebbero essere investiti: «Nel nostro debito pubblico – afferma Morri -, nelle nostre imprese, o nelle nostre infrastrutture». Ad occhio, i vantaggi sarebbero enormi: «In generale, trovare qualcuno che faccia credito, è sempre un bene. Tanto più che le aziende italiane stanno soccombendo sotto gli effetti della mancanza di liquidità. Si rafforzerebbero, inoltre, le relazioni internazionali, aumenterebbero la bilateralità e gli interscambi». 

Di certo, la controparte non è neutra e potrebbero non mancare gli imprevisti. «Sarebbe pur sempre uno stato il prestatore, con le relative pretesa di condizionamento politico. D’altronde, non siamo degli sprovveduti. E, se a prestare i soldi fosse, ad esempio, un grande fondo pensione americano, le cose non cambierebbero un granché». Ecco, quindi, come tutelarci: «Da questo punto di vista, come succede nella gestione dei portafogli, sarà opportuno stabilire la locazione del credito. E’ cosa ben diversa, infatti, essere creditore di uno o di più soggetti. L’aumento dell’esposizione nei confronti della Cina andrà, quindi, adeguatamente bilanciata». 


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(Paolo Nessi)


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