Lo stallo dei grandi azionisti de Il Corriere della Sera sul nuovo consiglio d’amministrazione riflette il confronto in corso fra tecnocrazia e classe politica. Il punto di GIANNI CREDIT
Ai lettori del Sussidiario, le tensioni nel patto di sindacato di Rcs possono interessare solo in quanto metafora – peraltro sperimentata e precisa – dei cambiamenti in corso nelle strutture dirigenti del paese. Lo stallo dei grandi azionisti de Il Corriere della Sera sul nuovo consiglio d’amministrazione riflette alla fine il confronto in corso fra tecnocrazia e classe politica, quando già si annuncia una lunga campagna elettorale fra le amministrative di maggio e le politiche della primavera 2013.
Mediobanca e Fiat, si legge, vorrebbero cambiare radicalmente la “governance” del Corriere: un altro incarico per il presidente Piergaetano Marchetti (forse un parcheggio alla Fondazione Rcs in attesa di sedere al vertice della Fieg, se il presidente Giulio Anselmi dovesse approdare alla “nuova Rai”); un avvicendamento per l’amministratore delegato Antonello Perricone; un consiglio “tecnico”, composto solo da “indipendenti”, senza presenze dirette da parte degli azionisti. Alla presidenza, secondo rumor accreditati, potrebbe essere chiamato Angelo Provasoli, già rettore della Bocconi. Ma secondo altri “insider” la poltrona sarebbe pronta (anche per un secondo momento) per Ferruccio De Bortoli, attuale direttore del Corriere, il quale – salvo colpi di scena – verrebbe sostituito dal direttore de La Stampa, Mario Calabresi (e a Torino la direzione sarebbe in gioco fra il vicedirettore interno Massimo Gramellini, l’editorialista del Corriere, Aldo Cazzullo, e l’ex direttore di Tg1 e de Il Sole 24 Ore, Gianni Riotta). Alla guida manageriale tornerebbe Giorgio Valerio (che ha già pilotato Rcs Quotidiani) oppure Gianni Vallardi, già capo della Rcs Pubblicità e appena uscito dal Gruppo 24 Ore, dov’era direttore generale.
A questo importante assestamento promosso dai primi due azionisti storici di Rcs – si legge – non sarebbe contrario Giovanni Bazoli: titolare di piccoli pacchetti, ma soprattutto di una leadership morale, legata alla cessione di Rizzoli a Fiat-Mediobanca, dopo il crac Ambrosiano e a una sorta di mandato fiduciario condiviso con Gianni Agnelli. Il silenzio del presidente del patto Rcs – Giampiero Pesenti – è da interpretare quasi sicuramente come assenso. La “fumata nera” alla riunione del patto di lunedì (aggiornata a oggi) è quindi da attribuirsi principalmente all’opposizione di Diego Della Valle, affiancato dall’assenza di Marco Tronchetti Provera e dall’ombra di Luca Cordero di Montezemolo (ora non più presidente della Fiat). In filigrana: capitalismo bancario contro capitalismo per metà imprenditoriale (Mr. Tod’s), per metà “relazionale” (Montezemolo). Ma anche – se preferite un’altra sintesi mediatica – “partito di Monti” (definitiva occupazione tecnocratica degli assetti di governo) contro visioni più tradizionali dei rapporti tra politica e finanza: quelle a suo tempo incarnate da Agnelli stesso e giornalisticamente interpretate – alla Stampa e poi due volte al Corriere – da Paolo Mieli (oggi confinato alla Rcs Libri).
È in questa prospettiva – per quanto parziale – che l’eterna “centralità” del Corriere continua a illuminare l’Italia che cambia. Quella che, anzitutto, non ha più nella Fiat un contraltare stabile a qualsiasi governo “politico”, ma una famiglia Agnelli che – forse ammaestrata dall’avventura del principe-mercante Berlusconi – sa che deve muoversi come soggetto a tutto tondo sullo scacchiere politico-finanziario. Analogamente, le banche (Mediobanca appoggiata a UniCredit e Intesa Sanpaolo, tutte agganciate alle Fondazioni) non sono più istituzioni finanziarie con spazi di manovra definiti all’interno di una chiara “separazione di poteri”: un tempo un personaggio come Bazoli interagiva con politici puri come Nino Andreatta o Romano Prodi. Oggi sono i tecnocrati come Mario Draghi e Mario Monti i leader “diretti” di un Paese dalla “democrazia sospesa” all’interno di una ristrutturazione globale dei poteri tra politica e mercati e tra aree geoeconomiche.
Della Valle, Montezemolo & C. (un po’ a dispetto della retorica “nuovista” che ha accompagnato le mosse dei due) erano invece pronti a intervenire in uno scenario di transizione post-berlusconiana, meno traumatico e più graduale: che mantenesse quindi tradizionali spazi interni di intermediazione politico-finanziaria (ad esempio, nella dialettica Milano-Roma, nella quale ha eccelso a lungo il ruolo di Mieli, “equivicino” a Berlusconi ma anche a Massimo D’Alema, ai banchieri prodiani del Nord o al presidio capitolino di Gianni Letta). È un mondo che oggi – superato lo choc dell’avvento del governo Napolitano-Monti – potrebbe guardare alla traiettoria tecnico-politico del super-ministro Corrado Passera: il quale, due anni fa, in patto Rcs si astenne sulla decisione di richiamare De Bortoli alla direzione del Corriere succedendo al “Mieli-2”.
P.S.: Rcs è anche un’azienda che ha chiuso un bilancio 2011 in forte perdita a causa di investimenti sbagliati in Spagna e delle ripercussioni della recessione e della crisi strutturale della media-industry. In teoria, i grandi azionisti di una società quotata dovrebbero misurarsi su questo. E anche in questo, in fondo, la “settimana santa” di Rcs è un po’ una metafora di un Paese che dovrebbe concentrarsi sulla ripresa economica e non sui giochi di potere, nei quali i cosiddetti “tecnici” – proconsoli di banche e “media” – si stanno dimostrando non meno spregiudicati dei cosiddetti “politici” eletti nelle liste decise dai “padroni” dei partiti.
