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Home » Economia e Finanza » FINANZA/ JP Morgan e derivati. Borghi (Il Giornale): ecco perché nuove regole sarebbero inutili

  • Economia e Finanza

FINANZA/ JP Morgan e derivati. Borghi (Il Giornale): ecco perché nuove regole sarebbero inutili

Int. Claudio Borghi Aquilini
Pubblicato 15 Maggio 2012
Trader_OrologioR400

Infophoto

Le proposte di Giuseppe Vegas e quelle circolanti sui mercati americani relativi ad un ulteriore regolamentazione finanziaria non convincono. CLAUDIO BORGHI ci spiega perché

Qualcosa, tra le più alte sfere del mondo della finanza, dovrà prima o poi pur cambiare. Per il momento, i mercati, gli istituti di credito, gli operatori borsistici e via dicendo, hanno continuato ad agire come se la crisi non ci fosse mai stata. Eppure, i suoi effetti più perversi, specie quelli legati all’impunità di un certo modo di agire, continuano a manifestarsi. Ieri, il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, ha denunciato come il distorto utilizzo di strumenti quali i Cds o gli Etf possa erodere facilmente i risparmi delle famiglie, auspicando una maggiore regolamentazione del mercato attraverso opportune modifiche al Testo unico della Finanza e al Codice Civile. Contestualmente, negli Usa, dopo che JP Morgan ha bruciato 2 miliardi, il Congresso ha deciso di fare le debite pressioni, specie sulla Federal Reserve, perché, per lo meno, si impedisca alle banche commerciali di speculare alle spalle dei clienti. Anche in questo caso, la ricetta  è: più regolamentazione. Claudio Borghi, editorialista de il Giornale e professore di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università Cattolica di Milano, spiega a ilSussidiario.net perché è convinto che non sia la strada giusta. «Attualmente – dice – non è il Far West: le regole ci sono, e ci sono sempre state; il problema, casomai, è l’abilità di alcuni nel disattenderle».


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Per intenderci: «prendiamo in considerazione, ad esempio, le banche italiane. Si tratta, probabilmente, dell’ambiente più regolato dell’universo; non si può fare praticamente nulla senza migliaia di reportistiche. Eppure – benché non si sia ancora capito cosa sia successo – niente ha potuto impedire che una banca spagnola (Banco Santander) acquistasse una banca italiana (Antonveneta) a 6 miliardi nel 2007 per rivenderla poco dopo al Monte dei Paschi di Siena a 9,3 miliardi». Quindi? «L’origine delle falle presenti nel sistema, in genere, sono al di fuori del sistema delle regole». Anche qui, il professore individua un caso concreto: «Assumiamo l’ipotesi di un fondo di investimento – realtà iper-regolata, costituita da una serie di regole finalizzate a tutelare l’investitore – ove arrivi un gestore disonesto che, a quel punto, disporrebbe di uno strumento sicurissimo e di un miliardo di euro da potere utilizzare a proprio vantaggio». Potrebbe farlo in diversi modi. «Può, per dirne uno, comprare dei titoli e utilizzare il proprio fondo di investimento per farne lievitare il valore, ottenendone un profitto, spesso occulto, magari conservato in Svizzera e addebitando le eventuali perdite al fondo.  Eppure, lo strumento rimane di per sé è genuino». Ci sono casi in cui, invece, la pericolosità è insista nello strumento stesso. «Come nei Cds. Nel momento in cui si è autorizzati a fare, di fatto, un’assicurazione su beni altrui, si è portati ad auspicare che l’evento negativo si manifesti. Di conseguenza, la scommessa sul caso disastroso, laddove non si tratti di uno strumento di copertura, ma puramente speculativo, è di per sé estremamente pericolosa».


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Si capisce come la legge possa fare ben poco. «La finanza è sempre più veloce dell’azione del legislatore. Difficilmente, quindi, si potrà regolamentare ulteriormente il mercato. Salvo azioni finalizzate a limitare i danni. Piazza Affari, ad esempio, chiude in un istante casuale tra le 17:35:00 e le 17:36:00 per impedire che gli speculatori riescano a determinare in chiusura il prezzo più alto, o più basso (a seconda della convenienza) di determinati titoli». 

Rispetto alle proposte circolanti sul mercato Usa, Borghi è meno perplesso: «Se si persegue la separazione tra la banca commerciale e quella d’affari, quest’ultima sarebbe responsabile del suo destino. Chiunque decidesse di investire in scommesse o obbligazioni, dovrebbe sapere che nessuno arriverà a salvarle». Insomma, la difesa più efficace è la chiarezza: «Le divisioni arbitrarie su cos’è sicuro e cosa non lo sia non mi hanno mai convinto. Basti pensare che le obbligazioni Lehman erano considerati strumenti idonei alle famiglie mentre chi volesse comprare, ad oggi, alcune obbligazioni perpetue internazionali sicurissime, spesso andrebbe incontro a enormi problemi. Va da sé che per raggiungere l’obiettivo della sicurezza, non vi è altra strada che mettere in guardia i consumatori sui rischi effettivi che corrono». 


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(Paolo Nessi)


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