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Home » Economia e Finanza » FINANZA/ E ora l’Europa resta appesa all’Italia

  • Economia e Finanza

FINANZA/ E ora l’Europa resta appesa all’Italia

Int. Gustavo Piga
Pubblicato 5 Marzo 2013
Barroso_Europa_phixr

José Manuel Barroso (Infophoto)

Secondo GUSTAVO PIGA l’unica possibilità di contare qualcosa in ambito europeo consiste nel sfruttare questa fase di particolare dinamismo per pretendere un’inversione di tendenza

L’ingovernabilità ci mette a repentaglio su alcuni fronti finora trascurati. A livello europeo, a breve, si affastelleranno una serie di scadenze decisive per il nostro futuro economico e per la possibilità di continuare a contare qualcosa. Entro il 30 aprile prossimo dovremo consegnare il Documento di Economia e Finanza, contenente le previsioni aggiornate sul 2013 e sul 2014. Sempre entro aprile potrebbe chiudersi la procedura di infrazione avviata per lo sforamento dagli obiettivi di Maastricht. Ci sono, poi, da rispettare i parametri previsti dal Fiscal compact e, in subordine, dal Two Pack e dal Six pack. Imprese che si potrebbero rivelare ardue o impossibili se persisterà l’attuale impasse politico, Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Gustavo Piga, professore di Economia politica presso l’Università Tor Vergata di Roma.


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Cosa ne pensa dell’attuale situazione?

Siamo in totale violazione del Fiscal compact: il nostro debito continua a salire, il nostro Pil continua a scendere. Un processo che deve necessariamente interrompersi al più presto.

Come?

Smettendola con le politiche di austerità, radicalmente contrarie allo spirito del Fiscal compact stesso; e cogliendo il principale messaggio politico emerso da queste elezioni: la maggioranza anti-austerità, in Italia, ammonta al 95% dei cittadini. Anche l’Ue deve tenerne conto se vuole che dall’Italia riparta la costruzione dell’Europa invece che il suo affossamento.


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Come si coniuga l’inversione delle politiche di austerità con gli obiettivi di bilancio?

La fine dell’austerità coincide con più spesa pubblica. Ma più spesa pubblica non vuole dire più sprechi. Anzi, gli investimenti possono essere finanziati proprio attraverso il taglio degli sprechi, grazie a una politica di coordinamento degli appalti pubblici mai realizzato. Contestualmente, tutte le tasse aumentate e introdotte nel 2012 e che impatteranno sul 2013, invece che per incrementare l’avanzo primario e ridurre il deficit (cosa che abbiamo fatto finora, frenando l’economia) andranno utilizzate per finanziare programmi di spesa.


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Per fare cosa, esattamente?

Occorre rimettere a posto tutti quegli elementi che danno sostegno alla produttività delle nostre imprese attraverso una serie di operazioni infrastrutturali volte, ad esempio, a ristrutturare scuole, ospedali, strade, ponti e via dicendo. Così facendo, oltretutto, si fermerebbe l’emorragia di posti di lavoro. Solo il pubblico, attualmente, è in grado di favorire la domanda consentendo una ripresa della crescita nell’ipotesi che, una volta che il Pil tornerà a marcare segno +, lo Stato si ritrarrà, lasciando spazio alle imprese private che, a quel punto, potranno tornare a operare in un contesto di normalità.

A livello europeo non si esclude (a partire da Barroso) un rinvio dei termini entro i quali rientrare dallo sforamento dagli obiettivi di Maastricht e di consentire all’Italia di sottrarre gli investimenti pubblici dal computo sul deficit (la cosiddetta goldel rule). Cosa ne pensa?

Per l’Italia sarebbe fondamentale. Tanto più che, dal momento che gli investimenti pubblici riguardano le generazioni future, non è mai stato interesse di nessuno proteggerli.

 

La Golden Rule dovremmo chiederla noi italiani. Abbiamo la forza per pretenderla?

 

Perché, le sembra forse che l’Europa sia forte, in questo momento? L’unica realtà europea che ha espresso – come ha, del resto, riconosciuto la stessa Goldman Sachs – una certa “frizzantezza” politica è l’Italia. Siamo di fronte all’occasione di ridar vitalità a un dibattito vuoto, spento e grigio. Possiamo farlo come spesso è accaduto nella storia europea, grazie al nostro tradizionale pragmatismo. Un fattore che più volte ci ha consentito di riconoscere quando le regole si erano ridotte a una camicia di forza che ci impediva di progredire.

 

Qualcuno, tuttavia, dovrà pur rappresentarci in Europa…

 

La carenza di un governo, ovviamente, è un problema. C’è da sperare che le forze nuove non diano segnali immediati di mero opportunismo. E che consentano un accordo per creare un esecutivo. Fermo restando che la precondizione perché l’Italia possa farsi valere in Europa è un ministro dell’Economia marcatamente politico e contrario all’austerità. Un altro tecnico sarebbe una disgrazia. Il modo in cui queste persone ragionano, infatti, è ottimo per i momenti in cui le economie tirano, ma non hanno la minima idea del da farsi quando ci sono recessioni di queste dimensioni.

 

(Paolo Nessi)


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