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Home » Economia e Finanza » SPILLO/ 1. Cinque mosse per sconfiggere lo statalismo

  • Economia e Finanza

SPILLO/ 1. Cinque mosse per sconfiggere lo statalismo

Nicolò Boggian
Pubblicato 9 Giugno 2013
Operai_Tubi_CamminanoR439

Infophoto

Secondo NICOLO’ BOGGIAN, occorre ridare fiato al tessuto produttivo del nostro Paese iniziando a eliminare quelle distorsioni statalistiche che scoraggiano al creazione di valore

In un Paese che non cresce da venti anni, stritolato dalla concorrenza internazionale e dai vincoli di bilancio, giusti o sbagliati che siano, diventa sempre più importante la crescita dell’economia, non come aumento solo di produzione di beni e servizi, ma come capacità di generare lavoro e occasioni di sviluppo e d’innovazione. Viste le difficoltà di finanza pubblica, la crescita non può avvenire esclusivamente tramite investimenti dello Stato, ma deve seguire percorsi di vario genere. Punto cruciale per seguire questo percorso è quindi l’innovazione di prodotti, processi e abitudini, e la capacità di seguire quei filoni di mercato che crescono andando gradualmente a dismettere i settori dove non vogliamo e non possiamo competere. Semplice a dirlo, ma come fare? Citerò alcuni spunti di ragionamento per superare una visione formalistica, statalista e burocratica che spesso intesse le istituzioni e le leggi del nostro Paese.


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Il primo requisito per ricominciare a crescere è ricostituire la fiducia collettiva all’interno del Paese, la capacità di cooperazione tra individui, istituzioni, parti politiche e territori. In un Paese in cui è sempre forte la minaccia di un nemico che può ostacolare i nostri progetti, rubarci risorse o danneggiarci sarà sempre più difficile attivarsi e creare valore. E’ questo il reale discrimine tra una società moderna che funziona e attrae capitali e talenti e una primitiva e in declino che li scoraggia. Su questo punto la burocrazia e le leggi italiane sono molto negative nel creare disincentivi all’azione e ostacoli più o meno diretti all’innovazione e allo sviluppo. Più fiducia significa meno costi per dirimere contrasti, meno litigiosità nei tribunali e meno difficoltà per tutelarsi dal prossimo.


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Il secondo requisito è un corollario del primo. Non solo l’ambiente esterno non deve essere un freno e un pericolo per la crescita, ma dovrebbe opportunamente portare risorse, consigli, critiche positive e costruttive. A questo serve una comunità vera e propria, che sappia sorvegliare, criticare e correggere, ma con il fine di realizzare il progresso e la crescita e non di affossare sempre il prossimo e il diverso da sé. Su questo punto di grande interesse è il ruolo del web come vero motore del controllo sociale e del progresso della conoscenza e del sapere se usato in modo positivo e non, come succede spesso da noi, come veicolo di negatività, sospetto e diffamazione.


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Il terzo punto per la crescita è il ruolo dello Stato e delle Istituzioni. A oggi la Pubblica amministrazione, a differenza di quanto si dice, non è gestita, se non marginalmente, dalla classe politica e tantomeno dal popolo: è appannaggio di una struttura legal/burocratica che sconsiglia il cambiamento applicando una normativa sempre più obsoleta anche a tutela della propria stessa sopravvivenza. Le Istituzioni italiane dovrebbero invece assorbire e ricevere le richieste di cambiamento che manifestano società, imprese, cittadini e associazioni, anziché mantenere un controllo ferreo sulla realtà distribuendo finanziamenti e incarichi in modo formalmente ineccepibile, ma sostanzialmente insensato.

Le Istituzioni dovrebbero essere realmente inclusive per agevolare la partecipazione della società nella loro modifica e gestione. In Italia invece letteralmente estraggono per la loro sopravvivenza le risorse dalla società con regole discutibili per poi distribuirle in un’ottica di gestione del potere. Le regole e i problemi andrebbero discussi nella comunità più ampia possibile senza paura di “perdere la faccia”, ma accettando i feedback e le critiche sempre che avvengano con spirito costruttivo.

Il quarto punto sta nel ragionare per problemi e bisogni. Troppo spesso il lavoro e la società si avvitano su aspetti economici, formalistici e su diritti insostenibili. Bisognerebbe invece ricollegare il lavoro e le attività in ragione dei problemi reali che risolvono e dei bisogni che soddisfano. Che senso hanno istituzioni che non danno risposta ai problemi? Che senso ha chiedere un lavoro che non dà soddisfazione ai bisogni di nessuno, ma solo al proprio desiderio di arricchirsi o di avere un legittimo stipendio? Il futuro di una società nuova passa invece dalla capacità di fare cose utili per tutti, non solo per se stessi.

Infine, è necessario valorizzare individui e piccole imprese che, anche grazie al web e alle sue nuove e infinite possibilità d’intersezione con l’economia “reale”, possono avere nell’innovazione imprenditoriale una sempre più forte capacità di risolvere problemi e creare sviluppo sia “in proprio”, sia collaborando all’interno o all’esterno delle grandi imprese. Se non capiamo che il valore del nostro tempo è di poter realizzare le idee in modo molto più rapido e veloce che in passato, non stiamo approfittando della vera grande opportunità di valorizzare il proprio merito e il proprio lavoro. 


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