Andrà proprio così? Domanda legittima dopo l’affondo di Matteo Renzi: “I dati della fiducia dei consumatori e delle imprese comunicati dall’Istat, ai massimi da diversi anni, rappresentano solo ‘l’antipasto’ di quanto può succedere nei prossimi mesi”. Diversi segnali indicano che le previsioni del premier non sono un bluff. Sul fronte macro, Banca d’Italia ha rivisto al rialzo le stime sulla crescita, favorita dalla ripresa dei consumi e della fiducia delle famiglie, mai così alta dal 2002. Cresce il numero dei cittadini che pensa a cambiare auto (da 162 a 168 su mille) o a comprare casa (188), mentre scende l’esercito dei pessimisti: solo il 2% pensa che la disoccupazione possa crescere ancora nei prossimi mesi.
Intanto la risposta del mercato all’offerta di Poste Italiane (330 mila risparmiatoti retail) conferma che esiste un bacino potenziale di pubblico per le privatizzazioni. E non solo. I rendimenti dei Bot sotto zero rappresentano un forte incentivo ad accelerare un fenomeno già in atto: a luglio, secondo Nomisma, i fondi comuni hanno superato i titoli di Stato come forma di investimento del risparmio. Tocca allo Stato, ma anche alle imprese, sfruttare in maniera virtuosa i nuovi equilibri.
Al di là delle preoccupazioni che genera il calo dell’inflazione, non si può non ammettere che la bassa inflazione, in un’economia che torna a crescere, è un forte incentivo: l’assenza di aumento dei prezzi aumenta il potere d’acquisto, così come il basso livello dei mutui. Insomma, l’ottimismo di Renzi è giustificato. Ma la fiducia, come ammonisce Francesco Daveri, non è una cambiale in bianco. Guai a presentare una congiuntura che dipende in buona parte da fattori internazionali (la discesa delle materie prime) e dalla politica della Bce come una sorta di New Deal. Né occorre far troppo conto sulle misure a breve.
L’Italia, correttamente, ha appena presentato una finanziaria moderatamente espansiva contando sulla comprensione dell’Ue cui non è estranea la necessità della Germania di affrontare i problemi di Volkswagen, Deutsche Bank e altre banche regionali che richiedono attiva collaborazione di Stato.
In una cornice del genere, in passato, più volte i governi hanno ceduto alla tentazione di “vendere” una congiuntura positiva come una svolta storica da sfruttare a fini elettorali. Speriamo che stavolta non sia così. In futuro non avremo altre occasioni così propizie per aggredire il debito pubblico, che resta l’incognita numero uno. Guai a chiedere di girare i frutti delle privatizzazioni “agli investimenti”, come chiede Matteo Orfini, presidente del Pd. In questo modo l’interesse a breve può compromettere la crescita “intelligente”.
Di che si tratta? Martedì 27 ottobre il governo francese ha presentato “Les nouveaux indicateurs de Richesse” che consentono di misurare lo stato dell’economia sulla base di indicatori complementari al Pil e coerenti con la strategia Europa 2020 della Commissione europea a favore di una crescita “intelligente”, “sostenibile” e “inclusiva”. “Il solo indicatore del Pil – si legge nell’introduzione – non è sufficiente: la crescita economica può mascherare, nel medio termine, bolle speculative, rischi sconsiderati per l’ambiente e iniziative di dumping sociale o fiscale”. Di qui la necessità di andare oltre il dato del Prodotto interno lordo. Esercizio utile per la Francia, drammaticamente necessario per un Paese come l’Italia, dove in questi anni è cresciuta a dismisura la distanza tra Nord e Sud, a rischio della stabilità sociale e del rispetto delle regole.
Vale la pena di seguire l’esempio di Parigi che ha fotografato lo stato dell’arte del Paese secondo diversi indicatori: il tasso d’occupazione; la ricerca; l’indebitamento; la speranza di vita (in buona salute); la soddisfazione sociale; l’ineguaglianza; la povertà; l’evasione dall’obbligo scolastico; l’uso del carbone; la desertificazione dei terreni. Certo, temi trattati anche nel nostro Paese. Ma manca una visione d’assieme. Inoltre, cosa ancor più importante, il libretto francese segnala anche quello che si sta facendo per affrontare i problemi. Insomma, come scrive Andrea Goldstein, responsabile della ricerca di Nomisma, esercizi di questo tipo sono essenziali per migliorare le politiche pubbliche, a livello sia nazionale che europeo. Bisogna ragionare sul lungo periodo, e questi indicatori descrivono tendenze e progressi, per poter chiarire la natura delle sfide veramente importanti cui l’Italia e i suoi governanti devono fare fronte. Soprattutto per un premier come Matteo Renzi che ha l’ambizione e le possibilità per agire sul medio-lungo termine.