Giornata ancora pesante ieri sui mercati, con lo spread tra Btp e Bund sempre sull’ottovolante tra quota 300 e oltre, proprio mentre si susseguivano le audizioni sul Def, dal ministro dell’Economia a Bankitalia, dall’Istat alla Corte dei conti e in serata l’Ufficio parlamentare di bilancio. Intanto da Giovanni Tria, che ha difeso la manovra, e dal premier Giuseppe Conte sono arrivati toni più concilianti verso l’Europa, che a sua volta, per bocca del presidente della commissione, Jean Claude Juncker, al termine dell’incontro – definito utile e cordiale – con il presidente della Camera, Roberto Fico, ha affermato che “l’Italia è e continuerà ad essere al cuore del progetto europeo”. Resta però sul tavolo l’ammonimento di qualche giorno addietro: “Sta ai policy makers italiani trovare regole e misure che consentano all’Italia di rimanere all’interno degli obiettivi di bilancio concordati”. L’impressione, insomma, è che la partita con Bruxelles sia ancora tutta da giocare: ci sarà un confronto chiarificatore o si arriverà allo scontro al calor bianco? A quel punto con quali conseguenze? “L’abbassamento dei toni e il dialogo costruttivo – risponde Massimo D’Antoni, economista e docente di Scienza delle finanze all’Università di Siena – sono auspicabili da entrambi le parti. Ma non penso sia politicamente probabile una capitolazione del governo italiano su tutta la linea. Certo che tutti stanno giocando col fuoco”.
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La giornata di ieri si è aperta con il Fmi che ha tagliato le stime di crescita dell’Italia e in serata si è chiusa con l’Upb che non ha validato le stime di crescita del Def. Nella sua audizione il ministro Tria ha invece ribadito che le stime del governo per il 2019-2021 sono addirittura prudenziali e possono essere anche superate. Da dove nasce questa convinzione?
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Ho letto il testo redatto dall’Upb e mi pare che la bocciatura dipenda sostanzialmente da due fattori: da un lato, il riferimento a uno scenario tendenziale che, benché validato il mese scorso dallo stesso Ufficio di bilancio, viene giudicato troppo ottimistico rispetto alle stime prevalenti in questo momento; dall’altro, una valutazione molto prudenziale sugli effetti della manovra. Un punto di partenza marginalmente più basso e una stima meno generosa dello stimolo fiscale collocherebbe la crescita reale per il 2019 a un livello leggermente inferiore rispetto alla stima del governo. Ho visto che un paio di istituti di ricerca tra quelli consultati dall’Ufficio di bilancio indicano la crescita reale all’1,3% invece che all’1,5%. Il giudizio di Tria è più ottimistico, ma non mi pare esageratamente fuori linea, anche in considerazione del fatto che le stime del governo non tengono conto della retroazione positiva della crescita sulle entrate fiscali.
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A cosa si riferisce?
Se effettivamente il Pil cresce, dovrebbe esserci anche un aumento delle entrate fiscali che in quelle stime non è stato preso in considerazione. Credo che a questo si riferisse il ministro Tria.
I maggiori istituti internazionali, però, vedono una crescita del Pil italiano nel 2019 intorno all’1%, mentre il governo stima un +1,5% nel Def e Savona addirittura si spinge a un +2% potenziale…
La manovra può essere criticata perché non rispetta i vincoli Ue, però una manovra che crea deficit uno stimolo sull’economia lo determina di certo e non sembra eccessivo sperare che un aumento del deficit di quelle dimensioni, cioè un 1,2% in più del previsto, possa portare un incremento della domanda che aumenti il Pil di mezzo punto. Certo, se il livello di partenza è peggiore del previsto perché l’economia sta rallentando si rischia di dover rivedere al ribasso tutte le stime e di mancare l’obiettivo; ma, ripeto, non mi pare che le previsioni del governo si basino su valori irrealistici dei moltiplicatori.
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L’Italia, ha detto Tria, sconta rispetto agli altri Paesi europei un ritardo “inaccettabile” nei ritmi di crescita, e quindi il primo obiettivo della manovra è proprio quello di rilanciare il Pil e cercare di colmare questo gap. Con le misure contenute nel Def è un obiettivo realizzabile?
È chiaro che persistono ragioni strutturali che spiegano perché la nostra crescita è sistematicamente ormai da decenni al di sotto degli altri Paesi, ma è anche vero che l’Italia negli ultimi anni, anche per l’eredità del debito, ha dovuto perseguire politiche fiscali più restrittive rispetto ad altri Paesi. Penso alla Francia e alla Spagna, che hanno superato in misura significativa lo stesso limite del 3% del deficit, mentre noi siamo sempre stati al di sotto. E le politiche fiscali di austerità possono spiegare almeno in parte questa minore crescita, perché, da un lato, miravano a risanare i conti, ma dall’altro, frenando le potenzialità di crescita, in parte contraddicevano questo stesso obiettivo del risanamento, rendendolo più difficile. Pur con tutte le critiche che si possono avanzare alle sue scelte di politica economica, a questo governo va riconosciuta l’intenzione di cambiare registro.
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Però lo sta facendo in disaccordo con l’Europa…
È vero, e questo è un punto che si può discutere, ma l’idea è dare un po’ più di ossigeno alla domanda e all’economia, provando a vedere se su questa strada il Pil riparte e quindi se si può raggiungere anche la riduzione del rapporto debito/Pil seguendo una via diversa.
Il ministro Tria ha chiesto di “abbassare i toni con la Ue”, mentre il vicepremier Di Maio ha affermato che è “cruciale confrontarsi con Ue e mercati”. Stando sulle rispettive posizioni, tra Italia e Ue è possibile avviare un dialogo costruttivo o si rischia di andare allo scontro e magari al calor bianco?
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Il conflitto con la Ue è un punto cruciale. Sono convinto che ciò che osserviamo sugli spread sia dovuto più alle prospettive sull’Europa e sul futuro dell’Italia nell’eurozona che non a un problema di conti pubblici italiani, perché il debito italiano è sostenibile. Il dubbio è un altro.
Quale?
Quali saranno i rapporti dell’Italia con l’Europa, avendo sullo sfondo il tema della possibile break up dell’euro o del possibile abbandono dell’euro da parte dell’Italia, prospettiva che spaventa i mercati? Il tema del rapporto con l’Europa è cruciale per rassicurare i mercati. I toni finora sono stati un po’ sopra le righe da parte del governo italiano, ma anche i rappresentanti europei, bocciando la NaDef prima che fosse ufficializzata e con toni così preoccupati, hanno creato allarme. Abbassare i toni e riallacciare il dialogo è auspicabile per tutti. Va detto che il confronto aperto e duro con la Ue sembra essere il cavallo di battaglia del governo per i prossimi mesi, in vista delle elezioni europee. È da capire, quindi, come l’auspicio di Tria possa effettivamente essere raccolto dai vicepremier, in particolare da Salvini.
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Non le sembra che questo governo tenda a tenere alto il tono del confronto, ma poi, quando lo spread s’impenna, si precipiti a fare marcia indietro?
Le dirò di più: c’è uno iato tra gli annunci e quel che poi si legge negli atti di governo. Mi sembra ormai che sia la normalità politica fare grandi sparate nelle dichiarazioni anche a fronte di decisioni che poi si discostano moltissimo. Per questo consiglio la lettura di questa Nota di aggiornamento al Def, perché ci si accorge che non siamo così lontani da quello che si è visto negli anni scorsi. Ma in questo governo c’è una consapevolezza, ben maggiore di quanto vorrebbe far vedere, dei vincoli entro i quali si opera. Non è nel suo interesse che lo spread salga e la situazione raggiunga un punto di rottura. Questo renderebbe ancor più difficile mantenere le promesse.
Si è molto discusso sui decimali in più del deficit. Ma non è che a preoccupare Bruxelles sono soprattutto i contenuti del Def: troppa spesa corrente e pochi investimenti produttivi?
Sì, è un appunto che si può fare. Fossi stato al posto del governo e avessi voluto sfidare i vincoli di Bruxelles, avrei puntato molto di più sugli investimenti. Perché fare deficit per gli investimenti è un argomento molto forte. In termini strategici era probabilmente la cosa giusta da fare. Ma un governo che si era presentato con alcune promesse, come la riduzione fiscale da un verso e il reddito di cittadinanza dall’altro, aveva un vincolo con i propri elettori e pensare che tradisse queste promesse, pagando un conto politico, era un po’ irrealistico aspettarselo. Anzi, direi che rispetto alle aspettative, forse si sono persino contenuti.
Il governo che cosa dovrebbe fare per rendere più presentabile la manovra a Bruxelles? Potrebbe, per esempio, lasciare invariati i saldi, intervenendo sul mix di misure e di risorse?
Destinare più risorse agli investimenti e magari rinunciare a qualcuno dei provvedimenti o ridimensionarlo potrebbe rendere l’insieme più accettabile. Ma va detto che la violazione di alcune delle regole, in particolare la convergenza verso il pareggio strutturale, la regola del debito e la regola della spesa, sono nette, per cui sarà difficile evitare la bocciatura di Bruxelles. Non arrivasse, per la Commissione Ue vorrebbe dire ammettere che queste regole, di fatto, non sono cogenti. In molti saluteremmo questa novità in modo positivo, ma non penso che Bruxelles se la senta di gettare a mare completamente tutto l’insieme delle regole.
Ammettiamo per un momento che venga superato lo scoglio della Ue, ma a fine ottobre arriveranno i giudizi delle agenzie di rating. Cosa potrebbe succedere?
Considerare più rischiosi i titoli italiani per uno sforamento del deficit non sarebbe così giustificato. L’elemento che può rendere problematico la sostenibilità del debito è la sfiducia degli investitori. Così però si crea un circolo vizioso che rischia di avvitarsi: nel momento in cui le agenzie, tenendo conto della sfiducia, dicono che il debito è poco sostenibile, alimentano ancora di più questa sfiducia. Questo è quello che potrebbe accadere. D’altra parte, una rappacificazione con la Ue potrebbe avere l’effetto di rassicurare i mercati, di placare le aspettative di un rischio di break up, determinando un abbassamento dello spread. Il declassamento delle agenzie di rating abbinato a un atteggiamento ostile di Bruxelles che si traducesse in un’impennata ulteriore degli spread potrebbe essere una di quelle classiche previsioni che si auto-avverano, facendo avvicinare la prospettiva dell’Italexit. Questo perché non ritengo probabile, a fronte di un ulteriore aumento degli spread, una capitolazione del governo su tutta la linea. Stanno tutti giocando col fuoco.
Se e quanto l’Italia è oggi isolata in Europa?
In questo momento è isolata rispetto alle istituzioni europee. Ma quel che vediamo in Italia è una tendenza che si ritrova in molti altri Paesi europei, per cui potrebbe essere una condizione non isolata nel momento in cui, dopo le Europee 2019, le forze populiste acquistassero peso in altri Paesi.
(Marco Biscella)