GUERRA DEI DAZI/ Il patto con Trump che ci può aiutare

- Ugo Bertone

Tra Usa e Cina sembra essersi accesa la guerra a colpi di dazi. L’Europa e l’Italia hanno ora un’opportunità importante da non sprecare, spiega UGO BERTONE

donald_trump_15_davos_lapresse_2018 Donald Trump (LaPresse)

Il d-Day è arrivato. Esulta il falco Steve Bannon, Pechino insorge contro “il teppista alla Casa Bianca” dopo l’imposizione dei dazi per 34 miliardi sull’import da Pechino. Già sono scattate ritorsioni per un importo analogo, anche se non sono stati rivelati i dettagli della stretta. Intanto il premier Li Kequiang è a Sofia per il meeting 16+1 che riunisce la Cina con diversi Paesi del centro e dell’Est europeo. A Bruxelles gli incontri di questo tipo, che si susseguono dal 2012, sono vissuti con crescente sospetto. È solo l’inizio di un possibile scontro tra titani. Trump minaccia addirittura tariffe del 25% su tutto l’import cinese, ovvero 500 miliardi. Anche la tecnocrazia di Bruxelles lo scorso weekend ha agitato lo spettro di dazi su 200-300 miliardi di importazioni dall’America nel caso questa intenda davvero colpire le auto tedesche. Poi la minaccia ha ceduto spazio a un atteggiamento ben diverso. 

A raffreddare le tensioni è bastato che l’ambasciatore degli Stati Uniti in Germania Richard Grenell, nel corso di un incontro con i produttori di automobili tedeschi, rivelasse che gli era stato chiesto da Washington di raggiungere una soluzione tra Berlino e Bruxelles sulle tariffe delle auto. La Cancelliera Angela Merkel si è subito detta favorevole ad abbassare i dazi europei sulle importazioni di quattro ruote (oggi al 10%, contro il 2,5% da parte Usa) purché il taglio non riguardi soltanto gli Stati Uniti, ma anche altri paesi; diversamente, ha sottolineato, il piano non sarebbe conforme alle regole del Wto. Su questa base un importante capitolo della guerra di Trump viene ridimensionato. Di riflesso:

1) È difficile che si arrivi ad un accordo anti-Usa che accomuni Europa e Cina. Anche perché Pechino finora è stata molto ambigua nelle offerte di apertura delle frontiere.

2) Unione europea e staff di Donald Trump cordialmente si detestano. Ma sono costretti a cercare un terreno di intesa. Trump non ha nessuna simpatia né per la Germania, né tantomeno per l’Unione europea, ma, dopo avere aperto un impressionante contenzioso con il resto del mondo, ha bisogno di portare a casa almeno un successo prima delle elezioni di novembre. La Cina, paralizzata dal suo orgoglio nazionalista, difficilmente farà concessioni nel breve termine, mentre l’Europa, che in questo momento di tutto ha bisogno meno che di un grosso problema commerciale, potrebbe mostrarsi più malleabile.

3) L’Europa, scrive Alessandro Fugnoli, “deve decidere se collaborare e trattare con un Trump all’attacco e concedergli il beneficio del dubbio sul suo essere un sincero fair trader o se considerarlo un protezionista tout court e contrattaccare in grande stile”. Nel primo caso i margini per trovare un accordo ci sono tutti. L’Europa è più protezionista dell’America sulle auto, ma è vero il contrario sui camion e sui Suv. Ad abbassare i dazi su tutta la linea ci saranno sicuramente dei perdenti, ma nel complesso i danni saranno inferiori rispetto alla chiusura dei mercati. Per giunta, un accordo con l’America sarebbe un grande tonico per i ciclici europei e potrebbe regalare un grosso recupero alle Borse europee e alla fiducia dell’economia, che oggi segna il passo.

4) Si è comunque aperta una stagione nuova e turbolenta che non si può banalizzare con formule standard, accomunando libertà economica e libero scambio. Le potenze esportatrici nette (oggi Cina e Germania) sono sempre state alfieri del libero scambio. Con forti riserve e qualche comportamento poco ortodosso (vista l’appropriazione della proprietà intellettuale). È un momento molto complesso che, se non verrà gestito con moderazione, rischia di provocare effetti imprevisti e devastanti vista la profondità dei legami delle supply chain manifatturiere e del collegamento finanziari stabiliti in questi anni. 

5) L’Italia, grande potenza esportatrice, è tra i Paesi che rischiano di più. L’unica nostra carta consiste nella rappresentanza europea che, come si vede oggi, può essere uno scudo efficace a difesa del nostro export. Con buona pace dei sovranisti che, ieri come oggi, continuano a parlare di presunti complotti contro il Bel Paese: è una tesi che non ci ha mai portato del bene. 





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