Lo sapete che da oggi le aziende europee possono continuare a fare business (miliardario) con l’Iran, nonostante l’entrata in vigore delle sanzioni volute da Washington (la quale, come sempre, ha già dato vita al più classico dei doppi giochi, sobillando da un lato le manifestazioni in atto in questi giorni nella Repubblica islamica e, dall’altro, invitando Rouhani a un incontro chiarificatore, tipica strategia da distrazione di massa stile Nord Corea)? Non lo sapete? Ve lo dico io. E sapete chi lo ha permesso? La Commissione Ue, la quale ieri ha comunicato la decisione del rafforzamento del cosiddetto Blocking statute, il quale di fatto consente alle ditte dell’Unione di poter proseguire i propri commerci legalmente con Teheran, beneficiando della protezione di Bruxelles in base alla legge comunitaria e alla Risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Accidenti, che brutto colpo per i sovranisti e la loro retorica! Meglio non dirla troppo in giro questa cosa, meglio continuare a millantare allarmi immigrazione e vendere la balla dei porti chiusi, al netto della Baviera e del suo ministro dell’Interno, Horst Seehofer, il quale è sicuramente meno social e onnipresente di Matteo Salvini, ma, in compenso, alle parole preferisce i fatti. Nel silenzio della retorica del governo giallo-verde, in base alla quale in Europa basta battere i pugni per ottenere ciò che si vuole, Monaco ha infatti già reso operativi i centri di identificazione immediata, 48 ore e poi se non ci sono i requisiti per la richiesta dello status di profugo o rifugiato, espulsione. Immaginate un po’ verso dove? Ma si sa, da lì come dall’Austria, non arrivano con i barconi, quindi fanno meno effetto mediatico. E si possono vendere tranquillamente balle ai comizi.
E non è il primo caso di strano occultamento della realtà, da parte di chi grida alla censura e alla retorica delle fake news europeiste, buoniste e immigrazioniste. Se il blitz della Vigilanza Bce sugli Npl e il loro criterio di contabilizzazione, almeno per ora, non è riuscito, di chi è stato il merito? Del governo sovranista o delle forze che lo compongono? Avete visto forse barricate al riguardo da parte di Lega e M5s? Avete sentito vibrate proteste al riguardo in talk-show e iniziative elettorali? O forse il merito va ascritto al presidente del Parlamento europeo, l’europeista ma non euro-miope Antonio Tajani? Pensate che sia una battaglia da poco? Chiedetelo a banchieri e imprese che per certi vincoli non ottengono credito, poi mi dite. E signori, queste cose ve le dice uno che – mi fate voi da testimoni al riguardo – per anni e anni ha criticato senza lesinare attacchi frontali i deliri burocratici di certa Europa, ma qui siamo a un bivio: rottamare l’Ue in base ai desiderata da un lato commerciali di Washington e dall’altro energetico-geopolitici di Mosca rappresenta chiaramente un suicidio. E io non intendo suicidarmi. Almeno, non per fare felici e potenti (più di quanto già non lo siano) Donald Trump e Vladimir Putin.
E il problema non è che queste distorsioni siano usate strumentalmente dai due partiti di governo, i quali devono sbandierare emergenze e bufale a costo zero per mascherare le balle che hanno spacciato agli elettori in campagna elettorale sui temi economici, leggi flat tax e reddito di cittadinanza (come vi sarete accorti da soli, la disintegrazione della Legge Fornero è bellamente già passata in cavalleria, così come lo scontro al calor bianco con Tito Boeri sui conti dell’Inps). D’altronde, è ormai chiaro che alle cose serie questo governo è allergico (vedi il caso vaccini), mentre il suo premier scompare letteralmente, quasi il suo unico scopo sia quello di fare capatine all’estero a siglare accordi vincolanti per la politica estera e commerciale mai discussi dalle Camere.
Il problema reale è che certe chimere le inseguano anche le opposizioni, non solo coprendosi di ridicolo, ma, soprattutto, scordandosi la regola aurea in base alla quale fra l’originale e una copia (oltretutto, poco credibile) a quasi parità di prezzo, scelgo sempre il primo.
L’Italia è un Paese vecchio, stanco, incattivito ed esasperato da anni di promesse, mancette elettorali e, soprattutto, bugie. Bugie sul reale stato di salute dei conti e del sistema bancario (al netto di Commissione d’inchiesta da barzelletta, finalizzate unicamente ad arma di scontro politico e resa dei conti), sulle nostre responsabilità che sappiamo solo scaricare su altri (Germania e Ue in testa), su quanto dovremmo davvero fare per cercare una ripartenza che sia sostenuta e sostenibile e non la solita mezza fiammata, il solito zero virgola, oltretutto pro-ciclico come quello garantito – nei fatti – dal Qe di Draghi e dalla flessibilità poi sprecata garantitaci da Bruxelles, per almeno gli ultimi quattro anni. Se qualcuno deve prendersi la colpa per ciò che stiamo vivendo, per il caos e l’irresponsabilità istituzionalizzati di questo governo, ebbene sono i signori Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, venditori seriali di fumo in un Paese che avrebbe bisogno di realismo, responsabilità e bastone, quando serve. Invece, bugie e zuccherini, 80 euro e Ponte sullo Stretto, incentivi e condoni, ancorché venduti al pubblico con la dizione molto esotica di voluntary disclosure.
Fra l’anti-europeismo ideologico e cieco e l’euro-entusiasmo acritico e caricaturale, infatti, c’è una via di mezzo: si chiama buonsenso. Quello che dovrebbe ammantare l’operato politico di tutti, ad esempio sul tema dirimente e vitale del sistema fiscale. Non sarò certo io a darvi una soluzione al riguardo, né una ricetta: semplicemente, non è il mio lavoro e a Milano c’è il sacro motto in base al quale ofelé fa el to mesté. Però, posso darvi un excursus sul tema, partendo dal PricewaterhouseCoopers Paying Taxes study of 2018, il quale compara i vari gradi di tassazione su imprese e cittadini nel Paesi europei e non solo. Ma a me interessa l’Europa, perché è nodo del contendere ideologico e soprattutto riferimento, visto che è in quel contesto che ci troveremo sempre più a operare, ammesso e non concesso che il canto del cigno di questo governo non sia l’Italexit. Questi due grafici ci dicono tutto: mediamente le aziende europee hanno a che fare con una pressione fiscale del 40%, peccato che quel carico tributario in Irlanda, Danimarca o Lussemburgo sia del 40% in meno e del 12% in meno in Olanda. E per quanto riguarda i cittadini, poco cambia, poiché il secondo grafico ci mostra il carico fiscale cui va incontro una famiglia monoreddito con due figli: nella maggior parte dei Paesi europei, le tasse sono il doppio rispetto che in Irlanda o Lussemburgo (e, fuori dall’Ue, in Svizzera) e del 20% in più rispetto all’Olanda.
Il problema è l’euro o l’armonizzazione di un sistema fiscale che vede questi regimi completamente differenti e concorrenziali in maniera univoca alla base delle diseguaglianze e, ad esempio, delle distorsioni nelle allocazioni di investimenti esteri? È più un problema questo o il monetarismo malato che sta alla base dell’ossessione inflazionistica o del surplus commerciale tedesco, tutto basato sull’assunto statalista e keynesiano della necessità di investimenti pubblici? E poi, ulteriore riflessione a cui vi invito. Come vedete, Germania e Francia – nostri partner a livello di grandezza, popolazione, valore economico e industriale-manifatturiero – non hanno tassazioni molto più basse delle nostre, sia per imprese che per cittadini: come mai in quei Paesi i servizi di welfare funzionano, in primis di aiuto alle famiglie con figli e qui no? Anche in questo caso è colpa dell’euro e del surplus tedesco o forse del fatto che in Italia le cose non vanno anche perché si evade in massa, le amministrazioni pubbliche sono disfunzionali e la scappatoia è norma e regola?
Rifletteteci, perché è ovvio che incolpare i tedeschi per tutto, anche per l’afa di questi giorni, sia molto comodo, ma, alla fine, i conti con la realtà toccherà farli a noi. Non si sfugge, cari lettori. Serve un ricambio netto e una scelta altrettanto netta: questo Paese non si può più permettere – alla luce delle nuove dinamiche di mercato, di commercio e di architettura statuale rispetto al ruolo del privato – un assetto istituzionale come quello attuale, il Nord non può pensare di competere con le aree più avanzate d’Europa con gente che non ti permette nemmeno di scavare una buca per far giocare tuo figlio, salvo incatenarsi a qualche abete e dire no a tutto.
Si vuole ripartire? Lo si faccia dall’unica strada possibile, quella tracciata – ancorché in maniera assolutamente maldestra e velleitaria – dai referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto. Serve uno shock. Ma di quelli davvero fulminanti. Altrimenti, mettiamoci l’animo in pace. Una volta per tutte e attendiamo l’epilogo inevitabile, ovvero il toc toc alla porta della Troika. Sotto qualsiasi forma essa possa presentarsi. Troppo drastico? Ne parleremo ancora domani.