Cosa vi avevo detto, prima di prendermi qualche giorno di pausa, riguardo al fatto che la Libia stesse esplodendo di nuovo e che, al netto della panzana propagandistica venduta dal premier, Giuseppe Conte, in favore di telecamere alla Casa Bianca, non esistesse alcuna “cabina di regia” a guida italiana e benedetta da Donald Trump? E cosa vi avevo detto riguardo le mire dei francesi sul petrolio libico, soprattutto dopo l’addio forzato (e strategico) all’investimento ventennale da 5 miliardi di dollari in Iran da parte di Total, spaventata dalle sanzioni Usa pronte a entrare nel vivo?
E vogliamo parlare del Brasile, anch’esso a mio avviso snodo nevralgico della campagna di destabilizzazione in atto, la cui finalità è solo creare le condizioni ad hoc per le primarie di inizio novembre negli Stati Uniti? Guarda caso, un Paese in stato di emergenza già proclamato per il flusso senza sosta di profughi dal paradiso socialista venezuelano e in piena campagna elettorale per le presidenziali del 9 ottobre, permette che chiunque si possa avvicinare al candidato più discusso, il Trump brasiliano e accoltellarlo non una (magari di striscio) ma una decina di volte, spedendolo in ospedale in fin di vita. Strano, no? Direte voi, mica si può controllare tutto. Vero, guardate però questo grafico:
è la reazione dell’indice azionario benchmark brasiliano alla notizia dell’accoltellamento del candidato della destra, Jair Bolsonaro, quando ancora non si sapeva se sarebbe sopravvissuto all’attentato. Ma come, il mercato festeggia? Certo, e non perché il politico in questione sia particolarmente market-unfriendly ma per il semplice fatto che un atto del genere avrebbe portato quasi certamente con sé due conseguenze molto gradite a chi non vuole assolutamente che lo strafavorito Partito del lavoratori dell’ex presidente Lula torni al potere: ridimensionare e drammatizzare la campagna elettorale nell’ultimo mese e gettare un po’ di discredito sull’estrema sinistra in clamoroso vantaggio, come mostra questo grafico relativo all’ultimo sondaggio ufficiale:
Et voilà, la campagna elettorale è stata addirittura sospesa e, guarda caso, non solo ad accoltellare Bolsonaro è stato un simpatizzante di Lula ma, addirittura, lo avrebbe fatto “in missione per conto di Dio”. Come nei Blues Brothers, quindi, il candidato delle destra sarebbe il corrispettivo dei nazisti dell’Illinois! Scherzi a parte, il disturbato psichico non è più una prerogativa unica dell’Isis, ora fa comodo ovunque e per ogni necessità: sta diventando il nuovo blazer blu, va bene su tutto e con tutto. E che fortuna sfacciata, il nostro pazzerello: non solo è riuscito a infiltrarsi all’iniziativa elettorale, eludendo tutta la security al punto da arrivare addosso a Bolsonaro, ma lo ha accoltellato con una perizia incredibile. Il candidato di destra, infatti, è stato colpito in maniera devastante ma non letale, roba da professionista, tanto che gli ha leso il fegato senza però portarlo in pericolo di vita e fatto perdere il 40% del sangue in corpo. Ma i soccorsi immediati, ovviamente presenti a un rally elettorale, hanno fatto il resto. “La gente comincerà a guardare a Bolsonaro come a una vittima”, ha sentenziato a caldo Luiz Roberto Monteiro, analista alla Renascenca Brokerage, mentre per Thiago de Aragao, dell’agenzia di consulenza politica Arko, “qualcuno potrebbe interpretare l’accaduto come un fatto direttamente riconducibile alla sinistra nel suo insieme e questo potrebbe far aumentare di molto le possibilità di una sconfitta. Ad oggi, poi, il mercato è completamente perso a livello di interpretazione della campagna”. Cosa c’è di meglio, per fare un po’ di chiarezza (magari indotta) che una buona dose di tensione e paura?
Ed ecco, poi, le parole pronunciate venerdì scorso da Flavio Bolsonaro, il figlio del candidato colpito, all’uscita dall’ospedale: “L’attacco è stata una spinta politica”. Voi direste questo, parlando con i giornalisti rispetto all’accoltellamento che ha quasi spedito all’altro mondo vostro padre? Ora, nel silenzio elettorale forzato, potrà accadere ciò che deve accadere. E attenzione al real, perché continuo a pensare che se sarà destabilizzazione totale sui mercati emergenti, questa partirà in grande stile proprio o dalla valuta brasiliana o dalla lira turca o dalla rupia indiana.
E non tanto per volontà immediata della Fed di scatenare il caos, quanto perché — per come è stata strutturata la crisi valutaria in atto — il contagio diretto dagli emergenti passerà all’eurozona: se infatti proseguirà la rotta da bagno di sangue valutario su quei mercati, la prima conseguenza diretta sarà l’innescarsi di una dinamica di volatilità al rialzo dell’euro all’inizio dell’autunno, a causa del rimpatrio di capitali spaventati. E questo avrà un duplice effetto: primo, tramutare la crisi degli emergenti, attraverso un morphing finanziario già sperimentato, in un evento di deleverage globale. Secondo, creata questa condizione, un contagio diretto e immediato nel credito europeo. Il tutto, a ridosso non solo delle elezioni di mid-term americane ma, soprattutto, di quelle in Baviera del 14 ottobre, le quali già si stanno presentando in uno scenario tutt’altro che tranquillizzante, stante il sorpasso di Alternative für Deutschland sulla Cdu nei Land della ex-Ddr (dove ora è primo partito) e il pericoloso gioco di equilibri di potere che Horst Seehofer, leader bavarese e ministro dell’Interno tedesco, sta proseguendo, dato che non più tardi di venerdì ha dichiarato allo Spiegel che l’alleanza con la Spd non è destinata a durare.
E che Donald Trump e la sua amministrazione abbiano la Germania nel mirino come chiave per destabilizzare l’Unione Europea e spartirsene i resti politici con la Cina è cosa nota, almeno a chi non sguazza nella malafede. Anche perché appare ulteriormente inquietante l’ennesima coincidenza occorsa in questi giorni: con la Danimarca rimasta ultimo Paese a dover dare l’assenso politico al passaggio nel suo territorio delle infrastrutture del gasdotto Nord Stream 2 fra Russia e Germania, cosa scopre il solito Financial Times? Che non solo Danske Bank avrebbe ripulito una cinquantina di miliardi di dubbia provenienza ma con matrice russa attraverso il suo ramo estone ma che, addirittura, nell’arco di due giorni il volume di denaro riciclato sarebbe salito a 150 miliardi di dollari! Tu guarda le combinazioni, con tante banche al mondo che hanno gioiosamente trattato i soldi non certo candidi degli oligarchi russi dalla fine dell’Urss in poi, salta fuori proprio la banca simbolo della Danimarca! E proprio adesso!
Non fidatevi della realtà ufficiale, perché nulla è come sembra. In questo periodo, poi, tutto appare deformato. E anche quelli che appaiono apprendisti stregoni o creduloni capitati per caso al governo potrebbero non essere affatto tali, bensì gente che recita una parte per non dare nell’occhio. Ma con un’agenda ben precisa e referenti ancora più determinati. Perché certe battaglia apparentemente “innocue” o troppo propagandistiche per apparire pericolose, a volte possono rivelarsi come l’accoltellamento di Bolsonaro: un comodo alibi per altro. O un fantastico casus belli. Ora si entra nel vivo, ora si comincia a fare davvero sul serio.