Non ci fosse da piangere, ci sarebbero da ridere. E di gusto. Fino all’altro giorno Emmanuel Macron era l’incarnazione del male, addirittura il ministro Salvini – mostrando come al solito grande buongusto – si presentò a Mosca alla finale dei Mondiali con il chiaro intento di “gufare” la Francia in finale. Oggi, di colpo, occorre invece seguirne il coraggio nello sfidare l’Europa sui conti. Anzi, sullo sforamento dei conti. La logica, quindi, è strettamente scientifica: se uno che ritengo un cretino fa una cosa giusta – anzi, una cosa che mi fa gioco – allora non è più cretino. O lo è meno. E qual è infatti adesso la nuova narrativa in auge? Il nemico contro cui fare fronte comune con la Francia, giocando al gioco del deficit (in molti casi intellettuale, prima che sui conti), sono i vincoli stupidi dell’Unione e la Germania che ne è, di fatto, il severo controllore. Tutto, scordato. Gli insulti, i vertici bilaterali quasi annullati, le incursioni dei gendarmi in Val Susa e il muro a Ventimiglia, gli sgarbi in Libia, le bacchettate del “francese” Moscovici: ora il mantra è cambiato, occorre fare come la Francia.
Perché? “Perché anche noi siamo una nazione sovrana”, fanno sapere dal pensatoio del Movimento 5 Stelle. Non importa che lo spread francese sul Bund sia attorno ai 32 punti base e il nostro sopra 200 solo grazie a Draghi e Tria, ma pronto a schizzare verso quota 300 appena c’è mezza fibrillazione, non importa che il loro rapporto debito/Pil sia sotto (ancorché di poco) il 100% e il nostro sopra 130% (alla faccia dell’austerity che ci hanno imposto) e, soprattutto, non importa che l’approdo a quota 2,8% del rapporto deficit/Pil della Francia parta dal precedente 2,6% e non dallo 0,6% promesso dal governo Gentiloni alle autorità europee per evitare procedure di infrazione. Non importa nulla, perché nulla ha più valore.
È vero, la Francia nei 10 anni trascorsi tra il 2008 e il 2017 ha sforato la soglia del 3% del deficit nove volte: solo lo scorso anno, il disavanzo di bilancio è sceso al 2,6%. Nel 2009, infatti, Bruxelles ha aperto una procedura d’infrazione, finita in nulla (come tutte, d’altronde, in questo frangente la stupidità europea non fa distinzioni fra figli e figliastri, basti ricordare la continua flessibilità accordataci negli ultimi cinque anni). E così appena è stata archiviata – all’inizio della scorsa estate, non l’altro giorno – il tanto vituperato e ora riabilitato Emmanuel Macron ha annunciato un maxi taglio delle tasse da oltre 24 miliardi di euro: un’operazione fiscale finanziata a debito che spingerà appunto il deficit al 2,8%, nel tentativo di rilanciare l’occupazione e l’economia del Paese.
Come mai a luglio nessuno ha detto nulla, in Italia e solo ora il caso del 2,8% francese diventa esempio da seguire o scandalo al sole? Forse perché a luglio da queste parti si campava ancora – e bellamente – di porti chiusi e promesse elettorali, tanto il Def e l’autunno erano lontani? Temo di sì, altrimenti c’è da chiedersi chi abbiamo mandato in Parlamento, visto che se si accorgono di quanto fa un partner europeo a livello fiscale solo quando la manovra arriva alle Camere e non quando la annuncia, viene da chiedersi come si comporterebbero in caso di proclamazione di guerra contro di noi da parte di qualcuno.
In effetti, esempio sbagliato: in Libia, Paese di cui dovevamo guidare la “cabina di regia” per la transizione su mandato quasi divino dell’amico americano, ci ha di fatto dichiarato guerra, ribaltando gli equilibri interni proprio a favore della destabilizzazione francese e noi ce ne siamo accorti solo quando per le vie di Tripoli hanno cominciato a raccogliere i cadaveri. E via subito a baciare la pantofola del generale Haftar, il tutto in nome della programmazione, dell’acume geopolitico e della capacità di stringere alleanze. Le stesse che, nella mente fantasiosa di qualcuno (anche su queste pagine), dovrebbero garantirci acquisti assicurati di Btp anche l’anno prossimo, quando la Bce smetterà di tenerci in vita artificialmente, sia a livello sovrano che corporate. Avete più sentito un fiato, al riguardo? Perché signori, tanto per restare in ambito francese, tout se tient. E, soprattutto, la realtà va raccontata tutta.
Primo, al netto di cosa nasce la manovra fiscale shock di Parigi, a parte i dati macro differenti dai nostri e una diversa percezione dei mercati? Ad esempio dal fatto che, nel 2019, in Francia il credito d’imposta per la competitività e l’occupazione (Cice), creato da François Hollande, verrà trasformato in tagli fiscali permanenti. Un salasso da 40 miliardi di euro tra il rimborso del Cice per il 2018 e il taglio dei contributi decisi per il 2019. Inoltre, nel debito dello Stato verrà calcolato – per decisione dell’Insee, l’Istat transalpina – anche il rosso di Sncf Réseau, la rete ferroviaria francese che passerà sotto il controllo dello Stato nel 2020. Insomma, diciamo che rispetto ai nostri conti, la Francia ha qualche margine di manovra in più sul deficit, cosa ne dite?
E poi, guardate qui: nonostante la Bce compri debito francese in seno al programma di Qe quota parte attraverso la Banque de France (esattamente come fa col nostro attraverso Bankitalia), come mostra il grafico gli istituti di credito transalpini hanno erogato molta più liquidità a famiglie e imprese di quelli italiani nel momento della cosiddetta “ripresa” garantita dalla politica espansiva dell’Eurotower. Ovvero, quando serviva. E sapete perché? Perché non devono comprare debito pubblico col badile come le nostre per evitare che lo spread vada in cielo, nonostante il Qe. E non lo dice il sottoscritto, lo ha messo nero su bianco nella sua nota trimestrale presentata domenica la Banca per i Regolamenti Internazionali (Bri), la quale non a caso ha parlato di Italia e crisi valutaria turca come mine per l’Europa.
Poteri forti anti-governativi anche a Basilea? Soros guida la Bri o la controlla tramite oscuri funzionari, sicuramente tedeschi? Cosa dite, queste cosucce, queste pinzellacchere, a vostro modo di vedere non pesano nella percezione che un investitore ha della solidità di sistema di un’economia? E, ripeto, con l’Oat francese che – nonostante sia già in atto un repricing minimamente al rialzo di tutti i rendimenti a livello globale, anche a causa della crisi dei mercati emergenti – sul Bund tedesco pari durata sconta uno spread ridicolo, attorno a 30 punti base. Ma queste cose non si mettono in conto, qui ormai siamo al festival dell’ideologia e di chi la spara più grossa contro l’Europa, Draghi e la Germania. Vedi la panzana di Berlino che vuole espellere gli italiani disoccupati che abitano in Germania. Non a caso, la cosiddetta destra – Lega salviniana in testa – ha come nuovo guru quel piazzista di Steve Bannon, uno che ha lavorato con Trump, si è fatto cacciare, ha riempito Presidente e famiglia di insulti con le sue dichiarazioni per il libro Fire and Fury, salvo rimangiarsi tutto e chiedere scusa a stretto giro di posta. Credibilissimo, non c’è che dire. E, soprattutto, per niente in missione per conto degli Usa per schiantare anche dal punto di vista di destabilizzazione politica il competitor europeo, visto che a livello economico ci penseranno fine del Qe e ricasco della guerra farsa dei dazi posta in essere da Washington e Pechino.
E cosa pensate che stia facendo Macron, se non lo stesso identico gioco di accreditamento presso la Casa Bianca prima delle elezioni di mid-term del 6 novembre? L’atto sul deficit, infatti, fa notizia solo in Italia, visto che è stato appunto annunciato già a inizio estate e Bruxelles l’ha ampiamente digerito. La questione che deve far riflettere, è duplice. Da un lato la disperazione politica di un Macron al 29% di consensi, praticamente se la gioca con Nicola Berti in un Milan Club, e dall’altro il chiaro intento di operare per conto terzi, una bella mossa destabilizzante proxy. Quale? Non vi pare strano che in pieno bailamme europeo in tema di migranti, con Salvini che fa la guerra all’Ue come ragione di vita e presenta il suo decreto e alla vigilia del voto bavarese del 14 ottobre, totalmente focalizzato sul tema immigrazione e con Alternative fur Deutschland in continua ascesa, la Francia ieri abbia sbattuto platealmente in faccia le porte d’ingresso al porto di Marsiglia alla nave Aquarius, la stessa contro cui proprio il ministro Salvini sta ingaggiando da mesi una guerra ed entrata di nuovo prepotentemente nel suo mirino nelle ultime 72 ore, con accuse e minacce reciproche?
È un caso, a vostro modo di vedere, che il secondo Paese dell’Unione per importanza politica dia fuoco a una miccia simile, quando il terreno tutto interno è stato debitamente cosparso di benzina dai Salvini e dagli Orban e proclamato campo di battaglia ideologico da consiglieri decisamente interessati alla Bannon? Ma pensate di svegliarvi, prima o poi o continueremo con le idiozie particolaristiche del “la Francia sì e noi no, è un’ingiustizia”, senza guardare al quadro contingente e più ampio, se proprio vogliamo non guardare ai fondamentali macro e, soprattutto, alla percezione di credibilità che il Paese (inteso come politica) offre ai mercati? Vi divertite così, a combattere battaglie di retroguardia in attesa del default o di una cura da cavallo, magari sotto la regia dell’americanissimo Fmi? Il quale, se non lo sapete, sta facendo storie all’Argentina per l’esborso dei primi 3 miliardi di aiuti, poiché non gli piacciono due virgole e tre aggettivi nel piano di riforma economico presentato dal governo Macri. Anzi, l’altro giorno il peso argentino è crollato di nuovo nel cambio sul dollaro, dopo che la solita agenzia economica ha fatto filtrare lo spiffero in base al quale il piano di salvataggio record da 50 miliardi non sarebbe sufficiente e in sede Fmi si starebbe pensando di ampliarlo ulteriormente. Ovviamente, facendo crescere anche il carico di garanzie (io le chiamerei ipoteche politiche a vita) che Buenos Aires dovrà offrire per non soffocare.
Volete fare questa fine? Allora siete su un’ottima strada, continuate pure ad attaccare Bce e Germania e fidatevi degli Stati Uniti e ora della strategia da gatto col topo del riabilitato Macron. Poi non lamentatevi, però. Anche perché, al netto di tutto, sarà comunque tardi. E attenzione, perché nel disinteresse generale, l’altro giorno rispondendo alle domande degli Europarlamentari (italiani non pervenuti, ovviamente) Mario Draghi ha detto chiaramente che siamo di fronte a un’impennata del livello di inflazione sottostante. Come dire, mica è sicuro che i tassi bassi possano restare in vigore a lungo come detto precedentemente, al netto della fine del Qe. Meditate, gente. Perché qui si rischia la ghirba.