Mi scuserete se oggi non vi offrirò dati, percentuali, grafici, statistiche. Oggi, se permettete, il mio sarà un pezzo “di scenario”, come dicono quelli in gamba, i giornalisti veri. Scenario molto ipotetico, mi permetto di aggiungere. Quasi da fantapolitica. Come sapete ho qualche problema con le coincidenze: semplicemente, non ci credo. A costo di risultare dietrologo (come, ad esempio, quando vi dicevo che la Fed si sarebbe fermata molto prima del previsto con l’aumento dei tassi e avrebbe riarmato il bazooka). Quindi, questa strana coincidenza di fattori paralleli emersa negli ultimi giorni – tutti pesantemente avversi a livello politico verso i Cinque Stelle – mi fa pensare.
Come sapete non sono un loro simpatizzante, anzi. Né tantomeno un loro elettore. Ma è interessante analizzare le dinamiche in atto. Più che altro, in vista del voto europeo. Vediamo un po’. Mercoledì è partito l’attacco concentrico di Commissione Ue e Fmi contro la manovra e le stime di crescita italiane: nulla che stupisca, ne abbiamo già parlato nell’articolo di ieri. Pantomima. Giovedì, tonfo di Piazza Affari (insieme al Dax di Francoforte, calato di qualche frazione addirittura in più, ma questo non fa notizia, né titolo), spread in aumento e, soprattutto, il richiamo dell’ambasciatore a Roma da parte della Francia. Atto che non si vedeva da prima della Seconda guerra mondiale, esattamente dalla coltellata nella schiena del 1940: atto diplomaticamente pesante. Tanto più che si tratta di due Paesi fondatori dell’Unione e storicamente amici, oltre che geograficamente vicini.
E Parigi non ci ha messo molto a sparare ad alzo zero, tanto per rendere ancora più platealmente grave quell’iniziativa: «L’Italia si è resa responsabile di attacchi e ingerenze inaccettabili e senza precedenti». Chiaro riferimento al tiro all’Eliseo che, su varie materie, vede impegnati ormai da settimane i due vice-premier, i ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ma la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stato l’incontro fra i due leader, quello formale e quello reale, del M5S – Di Maio e Di Battista – con una rappresentanza dell’ala più oltranzista e dura dei gilet gialli.
E qui, fermi tutti. Se infatti i grillini hanno risposto per le rime, rivendicando la loro libertà di incontrare chi vogliono e la sovranità dell’Italia, la quale non si farebbe dettare l’agenda da nessuno, il ministro dell’Interno ha non solo utilizzato un tono inusualmente conciliante, ma, addirittura, ventilato un incontro chiarificatore con Emmanuel Macron, perché la priorità è «risolvere le questioni». Tav in testa, immagino, visto che casualmente la Lega ha presentato proprio in quelle ore il suo contro-dossier sui costi benefici dell’opera, ovviamente favorevole alla costruzione. Al netto della sempre più formalmente inutile presenza al Governo del ministro Moavero Milanesi, vedi anche la questione venezuelana, questa conversione al ruolo di mediatore diplomatico del titolare del Viminale, appare bizzarra. E strumentalmente sospetta.
Ma particolarmente interessante è anche la location da dove il ministro dell’Interno ha lanciato la sua proposta: l’Abruzzo che domani andrà al voto e dove si è rivisto, per la prima volta dalle consultazioni della scorsa primavera al Quirinale, il centrodestra unito. E non solo sulle liste elettorali, anche fisicamente in conferenza stampa: Salvini, Berlusconi e Meloni. Fianco a fianco, come un sol uomo. Come se nulla fosse accaduto e stesse accadendo nelle Aule romane. Certo, l’imbarazzo si tagliava con il coltello, ma se alla 23:01 di domani sera i sondaggi sorrideranno, anche certe tensioni potranno sciogliersi. Tanto più che prima delle europee ci sono ancora gli appuntamenti amministrativi in Sardegna e Basilicata.
E mentre i tre sorridevano alle telecamere e ai fotografi con la naturalezza con cui Maxi Lopez saluta Mauro Icardi, il plenipotenziario di Forza Italia e presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, metteva il carico da novanta, sottolineando come certe crisi diplomatiche siano frutto del dilettantismo di Di Maio, uno che va in Francia «a incontrare chi tira le bottiglie molotov». Ora, al netto che qualcuno dovrebbe ricordare al presidente Tajani che il suo capo con un lanciatore di molotov reo confesso come Massimo D’Alema ci fece una Bicamerale, gli equilibri appaiono chiari. Così come le dinamiche in atto: marginalizzare e isolare i Cinque Stelle.
I quali, occorre dirlo chiaramente, sono bravissimi a suicidarsi da soli, politicamente, quasi dei campioni del mondo dell’autolesionismo più o meno volontario. Perché andare a incontrare l’ala dura dei gilet gialli a pochi giorni dal voto in Abruzzo non pare esattamente farina del sacco di Sun-Tzu. Tanto più che oggi, 24 ore prima di quel voto, i gilet gialli torneranno in piazza per il 13° sabato di protesta contro il Governo. E se per caso, dico solo per caso, gli incidenti questo fine settimana fossero ben più gravi e diffusi degli ultimi? Senza bisogno di epiloghi tragici, qualche macchina in fiamme in più, qualche carica e sassaiola in più: tutta roba che viene meravigliosamente in video e sul web, una resa straordinaria. Politicamente, poi, è il non plus ultra.
Ma per i Cinque Stelle, in un Paese di rivoluzionari perennemente del giorno dopo o assenti giustificati come l’Italia, sarebbe un disastro, poiché immediatamente partirebbe il fuoco di fila che li assocerebbe a chi ha messo a fuoco e fiamme Parigi (o Lione o Montpellier o Tolosa, poco cambia). “Ecco con chi vogliono fare comunella in Europa!”, titolerebbe Il Giornale, sparando una bella fotografia a tutta prima pagina, stile G8 di Genova. E il Pd? Ci andrebbe nozze per settimane, durante le quali almeno potrebbe evitare di parlare delle primarie. Ma la reazione più politicamente pesante potrebbe essere quella del ministro Salvini, il quale da un lato dovrebbe rassicurare l’elettorato storico, quello Nord, fatto di imprenditori e moderati che con la violenza non vogliono avere minimamente a che fare e dall’altro, soprattutto, dovrà rivendicare il suo ruolo appunto di capo delle forze dell’ordine, di titolare del Viminale. Quindi, condanna e presa di distanza automatica dall’alleato, pur facendo lo slalom gigante fra i distinguo.
Il tutto, alla vigilia del voto in Abruzzo. Che, per carità, non sarà la Florida nel contesto delle presidenziali Usa, ma simbolicamente e a livello di equilibri interni al Governo, in questo momento di tensione crescente fra contraenti del contratto (Tav in testa), rappresenta quantomeno il Mugello o Sesto San Giovanni, a livello simbolico. Un brutto risultato dei grillini potrebbe far saltare il banco, proprio ora che la questione Diciotti sembrava risolta con l’inchino doloroso alla ragion di Stato dei senatori M5S, pronti di fatto a negare l’autorizzazione a procedere contro l’alleato.
E poi il durissimo richiamo del Colle, quasi immediato. Visto che a brevissimo giro di posta dall’accaduto, il presidente Sergio Mattarella ha severamente sottolineato come «bisogna difendere e preservare l’amicizia con la Francia», esprimendo tutta la sua «grande preoccupazione per la situazione» e chiedendo di «ristabilire subito il clima di fiducia». Dopo il promoveatur ut amoveatur dell’ormai ex ministro Paolo Savona, bocciando di fatto il candidato grillini alla Consob, un altro scontro frontale con M5S. Fin qui le evidenze, abbastanza chiare. E le responsabilità dei grillini nel chiudersi praticamente da soli in un angolo, per dirla alla francese, in un cul-de-sac.
Però, qualche ulteriore domanda merita una risposta. Nel suo duro comunicato, il ministero degli Esteri francesi sottolinea come «la campagna per le elezioni europee non può giustificare la mancanza di rispetto per un popolo o la sua democrazia». Unite a questa frase, politicamente gravissima, il fatto che a scatenare l’offensiva diplomatica sia stata la missione grillina Oltralpe per incontrare i gilet gialli e fatevi una domanda: se i rappresentanti di quel movimento sono così impresentabili che il solo rapportarsi con loro (oltretutto, nel caso specifico, raccogliendo come risultato un bel due di picche) comporta la scomunica dal genere umano, perché il presidente Macron, al netto della rituale condanna delle violenze, ha prima blandito la nazione con il suo discorso del mea culpa a reti unificate (sostanziatosi in 11 miliardi di nuovo deficit per manovre puramente elettorali e misure tampone) e poi lanciato il “grande dibattito” nazionale, proprio per confrontarsi con la società civile e confrontarsi con le rivendicazioni del movimento? La campagna elettorale vale solo per lui?
E poi, la questione ingerenza. A parte che lo schema ricorda molto quello ormai ritrito degli hacker russi e del Russiagate, non configura forse una mancanza di rispetto per un popolo e la sua democrazia anche definire la politica del Governo italiano in tema di immigrazione “vomitevole” (alla luce di quanto fanno i gendarmi a Ventimiglia e Bardonecchia, poi) e, non più tardi della scorsa settimana, sentenziare che «gli italiani meritano dei leader migliori»? Attenzione, signori, perché la strategia è chiara. Al netto del rendere il lavoro molto semplice ai loro detrattori, stante le continue bucce di banana su cui scivolano, i Cinque Stelle sono nel pieno di una campagna di criminalizzazione che è essa stessa un’ingerenza nella politica italiana. E di livello ben più alto della sguaiate accuse sul colonialismo francese in Africa, visto che si è attivato il livello diplomatico ufficiale.
E poi, ci sono voluti due giorni interi al ministro degli Esteri francese e ai solerti funzionari del Quai d’Orsay per accorgersi dell’incontro fra i leader M5S e l’ala dura dei gilet gialli? Hanno dovuto riflettere per 48 ore, prima di giungere alla conclusione che quel meeting era meritevole di un atto diplomatico senza precedenti in tempo di pace? Sarà, ma la coincidenza temporale con il voto abruzzese puzza. Molto.
C’è un asse fra centrodestra e Governo francese per creare i prodromi di una crisi di governo? No, c’è solo la volontà francese di preservare i propri interessi, vedi i 285 miliardi di Btp in pancia alle banche d’Oltralpe (oltre tre volte tanto gli 80 miliardi di interscambio commerciale fra i due Paesi), eliminando dalla scena politica l’attore che reputano più pericoloso sul medio-lungo termine per la tenuta dei conti. E, in extrema ratio, per il rimborso e la tenuta di valore di quei bond. Questa non è un’ingerenza politica negli affari di uno Stato estero? Certo, la logica è quella di creare le condizioni per giungere a un nuovo Qe che salvi tutti, Germania in testa, e gli attacchi all’Italia sono il cardine della strategia: ormai è chiaro. E può anche essere ben accetto da qualcuno. O da molti. Ma attenzione ai precedenti che si creano, perché restano.
Oggi, paradossalmente, ne avremo una prima riprova dalla piazza parigina. Certo, se la polizia francese chiudesse un occhio, come fa spesso e volentieri quando le risulta comodo, allora avremmo più che un sospetto. Pensateci: quando il sabato successivo al discorso alla nazione di Emmanuel Macron serviva calma dalla piazze, per inviare il segnale che il ramoscello d’ulivo dell’Eliseo era stato efficace nel calmare gli animi, i valorosi gendarmi e flic hanno riscoperto di colpo l’istituto dei fermi preventivi nelle banlieue. Tutto liscio come l’olio. Poi, quando serviva invece ampliare la spaccatura del movimento fra dialoganti e ala oltranzista e radicale, al primo raduno subito dopo Natale – insomma, quando fa politicamente comodo il caos – ecco che miracolosamente addirittura una ruspa riesce ad arrivare senza ostacoli sugli Champs Elysées e abbattere il portone di un ministero.
Strana gestione dell’ordine pubblico, da una settimana con l’altra, non vi pare? E state certi che se la volontà è quella di portare M5S all’irrilevanza politica alle europee o a rompere l’intesa con la Lega prima di esse, lo stillicidio continuerà. Con la lettera scarlatta dei rapporti con i “violenti” pronta a ricomparire a ogni sabato di protesta in Francia, da qui a maggio. Ma, magari, mi sbaglio. Una cosa voglio dirvi, a livello generale e avulsa da questa dinamica. Non mi frega nulla della Tav, né tantomeno di dispute da bar sugli stereotipi di pizza, mafia e mandolino contro bidet e baguette sotto l’ascella. Però, la Francia – che amo, come amo la sua gente – quando parla come potere costituito all’Italia, deve comunque cospargersi il capo di cenere e darci un risposta che aspettiamo da quasi quaranta anni su qualcosa di davvero serio, più della sciagurata campagna di Libia del 2011: cos’è accaduto nei cieli di Ustica il 27 giugno del 1980, veramente? Dopo, potremo tornare a parlare da pari.