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Home » Economia e Finanza » FINANZA E POLITICA/ Così la danza dello spread può ripartire dopo le europee

  • Economia e Finanza

FINANZA E POLITICA/ Così la danza dello spread può ripartire dopo le europee

Giuseppe Pennisi
Pubblicato 20 Maggio 2019 - Aggiornato 23 Maggio 2019 ore 19:48
Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria (LaPresse)

Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria (LaPresse)

Settimana prossima sapremo chi avrà vinto le elezioni europee. Il Governo ha subito da affrontare due nodi importanti: l'Iva e il debito

Manca esattamente una settimana a quando, la mattina del 27 maggio, sapremo gli esiti delle elezioni europee, al termine di un’infuocata campagna elettorale che, in Italia, ha coinvolto essenzialmente i due partner di governo, l’uno contro l’altro, e diretti ciascuno ad affermare, senza esclusione di colpi, la propria supremazia sull’altro e a rivendicare la propria “identità” nell’ambito di un’associazione tra due “contraenti di un contratto” dove stanno ambedue scomodi. C’è da augurarsi che dopo il voto (considerato tra i due partner come un grande e costoso sondaggio), ci sia un Esecutivo in grado di superare le scadenze immediate e avviare l’Italia sulla strada della ripresa, dopo oltre un decennio di stagnazione. È necessaria una coesione e una determinazione che non pare possibile dopo gli scambi di accuse, e di insulti, delle ultime settimane.


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Tra le scadenze immediate, la prima riguarda il debito pubblico. Su questa testata, il 13 maggio, abbiamo ricordato che a fine aprile la pubblicazione del Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale ha presentato stime dell’andamento della finanza pubblica italiana sino al 2024, nell’ipotesi che l’Iva venga aumentata come da Legge di bilancio in vigore: l’indebitamento della Pubblica amministrazione crescerebbe di anno in anno sino a toccare il 3,8% del Pil nel 2024, quando ci sarebbe un passivo primario dello 0,5% del Pil e un rapporto tra stock del debito pubblico e Pil al 138,5%, il più alto tra quelli dei Paesi avanzati dopo quello del Giappone, che è finanziato, però, interamente con il risparmio interno. Che ci sia aria o di una maxi-patrimoniale, che porterebbe comunque l’economia italiana in depressione per diversi anni, o di una ristrutturazione che avrebbe effetti parimenti devastanti soprattutto sul settore bancario e assicurativo, è dimostrato da studi stranieri e da decisioni del Consiglio europeo che nessuno pare ricordare. Sono segnali eloquenti di una possibile ristrutturazione imposta dagli investitori internazionali, che detengono un terzo nel nostro debito pubblico.


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In questi giorni, W. Mark C. Weidemaier, uno dei più autorevoli giuristi della North Carolina University, ha diffuso un paper in cui analizza in dettaglio come ristrutturare il debito italiano. Il 14 aprile Andrea E. Kropp della Duke University ha pubblicato un lavoro analitico su come ristrutturare, nello specifico, i titoli di stato italiani sul mercato di New York e soggetti, quindi, a normative americane. Conclude che “per la prima volta una ristrutturazione di queste obbligazioni è fattibile”.

Com’è stato ricordato a un seminario di studio e riflessione il 14 maggio a Roma, lo scorso 4 dicembre, il Consiglio europeo ha deciso l’introduzione, negli accordi sul Meccanismo europeo di stabilità, di una clausola di azione collettiva che consente di applicare uno sconto al valore facciale dei titoli di Stato (di Paesi con problemi di solvibilità) con una delibera per l’intero stock e non con molteplici delibere per le singole emissioni. Unitamente alle misure relative ai prestiti del Meccanismo europeo di stabilità ai Paesi che rischiano di essere messi in difficoltà dalla crisi di uno Stato dell’eurozona (il “cordone sanitario” illustrato su questa testata il 15 aprile), così come l’America anche l’Europa si è preparata a una ristrutturazione del debito italiano, considerata come un’eventualità non più improbabile ma possibile. A via Venti Settembre lo sanno, ma, ovviamente, tacciono.


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La questione dell’Iva (che i due leader delle due componenti del “contratto” hanno affermato in campagna elettorale di non voler aumentare) è strettamente legata a quella del debito. Senza aumento dell’Iva, e senza drastiche riduzioni alle spese, il debito supererebbe, nel 2024, non il 138,5% del Pil, ma anche la soglia psicologica del 140%. Già dal giorno dopo le elezioni, se il Governo apparisse titubante su questo fronte, si avrebbe un immediato aumento dello spread che frenerebbe qualsiasi sforzo per dare dinamismo all’economia italiana. È possibile che il Governo tenti di sostenere che la responsabilità è di chi li ha preceduti. Gli italiani, però, sanno che coloro che sono a palazzo Chigi e a via Venti Settembre hanno chiesto di governare proprio per risolvere questi problemi. Hic Rhodus, Hic Salta! dicevano gli antichi romani, riferendosi a un atleta sbruffone che ripeteva che una volta in sella avrebbe mostrato le proprie abilità e capacità e si è, invece, rotto le ossa.

Una volta risolti questi due nodi gemelli, si potranno affrontare i problemi di quale politica adottare per raggiungere obiettivi di inclusione sociale, produttività e crescita. Le idee e le proposte non mancano. Una buona base di partenza è nei saggi pubblicati nel volume di 750 pagine Inclusione, Produttività e Crescita: un’agenda per l’Italia curato dal compianto Carlo Dell’Aringa e da Paolo Guerrieri, e in uscita in questi giorni al Mulino nella collana Arel. Buona lettura a chi, dopo aver risolto il problema del debito e dell’Iva, governerà l’Italia.


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