INCHIESTA/ I 3 “buchi” della Pubblica amministrazione italiana

- Ugo Arrigo

Secondo UGO ARRIGO, il settore pubblico è così inefficiente per tre motivi: assenza di concorrenza, fallimento del controllo gerarchico e intervento della politica

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Nell’ultimo quindicennio due approcci indipendenti e per molti versi antitetici sono stati utilizzati nel nostro Paese in tema di Pubblica amministrazione: da un lato, quello delle riforme della Pa, degli interventi normativi finalizzati a rendere più efficiente, più semplice e meno costoso il funzionamento della macchina pubblica; sul versante opposto, quello del contenimento della spesa, dei tagli di bilancio più o meno orizzontali prima e della spending review più recentemente. Entrambi i tentativi hanno prodotto risultati molto inferiori alle aspettative, assai spesso deludenti, e la ragione di fondo è che si è voluto intervenire sulla Pa senza essere disponibili in alcun modo a metterne in discussione natura, perimetro e funzionamento.

L’approccio delle riforme aveva per obiettivo prioritario quello di migliorare le performance, non necessariamente anche quello di contenere i costi. L’approccio della spesa, che ha prevalso negli ultimi anni con l’aggravarsi dei problemi di finanza pubblica, ha per obiettivo prioritario il contenimento della spesa anche a costo di peggiorare le performance. Infatti, la terapia usata nelle leggi di bilancio almeno dell’ultimo quinquennio consiste semplicemente, dato che la macchina pubblica è inefficiente e consuma troppo, nel riempirne di meno il serbatoio delle risorse finanziarie. Tuttavia, se non si ripara e non si modifica il motore della macchina per fare in modo che consumi di meno, con meno benzina essa farà meno chilometri.

La Pa, in sostanza, con meno risorse produce di meno e peggio. Questo è esattamente ciò che si sta verificando, con rilevanti conseguenze sul benessere dei cittadini e sull’interazione degli attori economici col settore pubblico. In capo al settore pubblico sono riconducibili essenzialmente tre funzioni:

1) Lo Stato arbitro che definisce e protegge l’area delle libertà individuali e regola le interdipendenze tra i comportamenti dei cittadini.

2) Lo Stato erogatore il quale garantisce che una serie di servizi essenziali per il benessere (quali sanità, istruzione, previdenza e assistenza) siano disponibili per i cittadini sulla base di meccanismi allocativi non di mercato (diritti aventi per oggetto prestazioni).

3) Lo Stato produttore il quale realizza sia i servizi burocratici necessari alla sua funzione di arbitro, sia produce direttamente molti dei servizi che eroga ai cittadini.

Le tre funzioni sono svolte attraverso una molteplicità di organizzazioni pubbliche, tuttavia quelle finalizzate alla funzione regolativa (lo Stato arbitro), e in misura minore quelle adibite a una funzione puramente erogativa, possono essere piuttosto snelle. La tipologia di organizzazioni di maggiori dimensioni per personale utilizzato è invece data da quelle con compiti produttivi. In esse si annida un più elevato rischio di inefficienza che si può ragionevolmente pensare sia funzione crescente rispetto alla numerosità del personale utilizzato.

L’esercizio della funzione erogativa in sé non richiede d’altra parte necessariamente la produzione diretta dei servizi all’interno del settore pubblico. Un esempio è dati dai farmaci a carico del SSN: sono prodotti da case farmaceutiche private e distribuiti da farmacie anch’esse appartenenti al settore privato dell’economia. Il settore pubblico si occupa semplicemente della loro provision facendosi carico del loro costo al posto del consumatore.

Una parte anche consistente dei beni e servizi oggetto di provision pubblica può essere acquisita dal settore pubblico attraverso rapporti contrattuali col settore privato dell’economia (o con enti pubblici diversi e indipendenti dal soggetto che li eroga) e quindi fornita agli utenti; in alternativa può essere acquisita direttamente dai beneficiari presso il settore privato tramite vouchers, con oneri a carico del settore pubblico. La fase della production non è quasi mai indispensabile alla fase della provision e il settore pubblico, se con questa soluzione è in grado di ottenere maggiore efficienza, dovrebbe senz’altro rinunciarvi in favore di forme di esternalizzazione (contracting out) da realizzarsi tanto verso organismi pubblici indipendenti quanto verso il settore privato dell’economia.

Perché le organizzazioni pubbliche sono inefficienti (e in Italia più che altrove)? Vi sono tre ragioni principali:

1) assenza di concorrenza (a differenza degli operatori di mercato);

2) fallimento del controllo gerarchico nelle organizzazioni (a differenza delle organizzazioni private);

3) cattura dell’organizzazione da parte del personale politico (con conseguente distrazione di risorse dai compiti istituzionali in favore di impieghi discrezionali da parte della classe politica, in primo luogo al fine di elargire benefici privati al proprio elettorato).

Iniziamo a esaminare le prime due mentre la terza, che è più complessa, e le proposte di riforma conseguenti a questa analisi saranno esaminate in una successiva puntata.

 

L’assenza di concorrenza nel settore pubblico 

Nel sistema di mercato esiste un efficacissimo commissario ordinario per il controllo della spesa privata (che oltretutto non costa nulla): si chiama concorrenza. Il mercato concorrenziale è principalmente un meccanismo di selezione dei comportamenti economici, valutati sotto il profilo dell’efficienza, in grado di proteggere i consumatori e in definitiva la collettività dagli effetti di scelte errate dei produttori. Come efficacemente sostenuto dall’economista Albert Hirschman, “il cliente che, essendo insoddisfatto del prodotto di un’azienda si rivolge a quello di un’altra, usa il mercato per salvaguardare il proprio benessere o migliorare la propria condizione, e contemporaneamente attiva alcune forze di mercato in grado di rimettere in sesto l’azienda il cui rendimento relativo è diminuito”. E ancora Hirschman (che non si stava riferendo all’Alitalia): “Nel modello tradizionale di economia concorrenziale, in realtà, la guarigione (dell’impresa in crisi) non è indispensabile. Se un’azienda viene sconfitta dalla concorrenza, la sua quota di mercato viene assorbita e i suoi fattori produttivi vengono rilevati da altre aziende, comprese quelle nuove; alla fine, le risorse globali possono essere effettivamente allocate meglio”.

Nel settore pubblico, invece, l’assenza di concorrenza impedisce il processo di selezione dei comportamenti tipico del mercato e vanifica la protezione da scelte errate dei decisori; tuttavia, se una concorrenza effettiva non appare realizzabile per le organizzazioni pubbliche che producono atti amministrativi, essa può essere invece efficacemente introdotta sia nell’area dei servizi di mercato che in quella dei servizi non di mercato ma a domanda individuale (circa due terzi del totale, dei quali i principali sono l’istruzione e la sanità).

Se si separa infatti la produzione di questi servizi dalla sua erogazione ai beneficiari, l’ente pubblico responsabile dell’erogazione può mettere in competizione diversi produttori, i quali possono essere sia soggetti pubblici differenti che privati. Anche senza arrivare necessariamente a una concorrenza effettiva, soluzione che ritengo invece preferibile, la separazione tra produzione ed erogazione renderebbe comunque possibile l’introduzione di forme di concorrenza comparativa tra produttori operanti in area geografiche differenti. La stessa modalità può essere inoltre introdotta per valutare le performance di uffici simili nell’area tipicamente pubblica della produzione di atti amministrativi. Qui non è possibile la concorrenza effettiva, ma lo è quella comparativa.

Il fallimento del controllo gerarchico nelle organizzazioni pubbliche 

Per quanto riguarda, invece, la seconda spiegazione dell’inefficienza pubblica, quella relativa al fallimento dell’autorità personale ai vertici delle organizzazioni, bisogna ricordare che l’azione amministrativa nella sfera tradizionale dello Stato che produce atti amministrativi è necessariamente regolata da rigide procedure normative che sono coerenti con gli obiettivi di egual trattamento dei cittadini che l’azione amministrativa persegue. Nel momento in cui si aggiunge invece allo Stato il compito di rendere disponibili ai cittadini anche servizi di welfare secondo regole non di mercato, il nuovo ruolo dovrebbe essere dominato dal valore dell’efficienza, il quale richiede l’affidamento a scelte flessibili da parte del vertice delle organizzazioni. Scelte gestionali flessibili e puntuali non possono tuttavia essere adottate in organizzazioni ancora rigidamente regolate dall’autorità impersonale rappresentata dalle norme del diritto amministrativo.

Il problema dell’inefficienza nasce dal fatto che lo Stato ha esteso nel secolo scorso alla nuova sfera dei servizi del welfare la razionalità strumentale tipica della sfera tradizionale che produce atti amministrativi: strumenti normativi, leggi e regolamenti, che vincolano a scelte e procedure molto dettagliate e rigide, oltre che statiche nel tempo. Si tratta di strumenti adeguati al solo ambito tradizionale dell’attività pubblica, quella dello Stato arbitro, e che risultano invece portatori di deviazioni dall’efficienza nella produzione economica di servizi per i cittadini.

Le organizzazioni pubbliche condividono con le imprese di mercato la caratteristica di essere strutture gerarchiche che realizzano allocazioni imperative dei fattori produttivi tramite l’impiego dell’autorità, tuttavia, mentre nelle imprese è dominante l’autorità che Kenneth Arrow ha definito come autorità personale, cioè la dirigenza manageriale, nelle seconde prevale l’autorità impersonale,costituita da regole scritte, leggi e regolamenti, relativamente rigide e stabili nel tempo.

Si ha in questo modo una notevole perdita del vantaggio che nell’impresa è rappresentato dalla non rigidità e dal contenuto aperto e solo in parte predeterminato dei contratti con cui si utilizzano i lavoratori. Nelle imprese le regole, autorità impersonale, sono subordinate alla dirigenza, autorità personale; nelle organizzazioni pubbliche, al contrario, la dirigenza è subordinata alle regole (solitamente quelle del diritto amministrativo) e non è in grado, quando produce servizi per i cittadini, di perseguire dinamicamente soluzioni efficienti.

È dunque fondamentale nell’area dei servizi pubblici, almeno in quella dei servizi a domanda individuale, estromettere le organizzazioni pubbliche dal recinto della Pubblica amministrazione e adottare soluzioni giuridico-istituzionali differenti che siano in grado di permettere una gestione efficiente delle medesime.

 

L’appropriazione delle organizzazioni pubbliche da parte della politica 

La terza spiegazione delle performance insoddisfacenti delle organizzazioni pubbliche è da individuarsi nel fatto che esse non sono indissolubilmente vincolate al perseguimento di predefiniti, chiari e certi obiettivi istituzionali. Infatti, pur essendo giustificate su un piano normativo da obiettivi di questo tipo, su un piano positivo sono di fatto oggetto del controllo di personale burocratico di alto livello e di personale politico, e possono essere indirizzate in misura più o meni ampia a obiettivi discrezionali del soggetto controllante, eterogenei o financo incompatibili con la loro mission istituzionale.

Questa spiegazione è tuttavia più complessa delle due precedenti e richiede un’esposizione più lunga. Per questa ragione la rinviamo a una successiva puntata nella quale faremo anche una sintesi delle proposte di riforma che scaturiscono logicamente da questa analisi dei mali del nostro settore pubblico.

 

(6 – continua)





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