C’è un intreccio interessante tra immaginazione e realtà, un intreccio che risalta particolarmente nella ricerca scientifica. Per fare scienza, per scoprire le leggi del comportamento della natura, per comprendere e prevedere i fenomeni ci vuole immaginazione: gli scienziati, a dispetto della comune percezione che li vede unicamente come degli aridi calcolatori e dei rigorosi ragionatori, occupano molta parte della loro attività a immaginare: immaginano ipotesi per render conto dei comportamenti della natura; modelli per meglio osservare, descrivere e spiegare i fenomeni; processi che si sviluppano a partire da certe premesse e con certe condizioni; immaginano forme, strutture, algoritmi; escogitano i modi più semplici ed eleganti per matematizzare i problemi.
Scriveva Max Planck: «Non è la logica ma l’immaginazione creativa ad attizzare il primo lampo di una nuova conoscenza nella mente del ricercatore che si inoltra nel buio di regioni inesplorate […] Le fondamenta di ogni scienza sono formate dal materiale che l’esperienza fornisce, è vero, ma è altrettanto certo che il materiale da solo non basta, come non basta la sua elaborazione logica, a fare la vera scienza. Il materiale consiste di pezzi staccati, seppur numerosi […] Perciò bisogna completarlo e perfezionarlo riempiendo lacune e ciò non si può fare che per mezzo di associazioni di idee che non nascono dall’attività intellettiva ma dalla fantasia dello scienziato […] L’essenziale è che il loro contenuto superi in qualche maniera i dati dell’esperienza».
D’altra parte però l’immaginazione deve fare i conti con la realtà: quanto si è immaginato va sottoposto al severo tribunale della realtà e ciò richiede tutta un’attività sperimentale che può richiedere giorni o anni e può aver bisogno di un modesto laboratorio oppure di un gigantesco centro di ricerca sotterraneo o di una rete di laboratori distribuiti in tutto il mondo.
Ma anche per l’attività sperimentale ci vuole immaginazione. Ideare, preparare, condurre, valutare un esperimento richiede capacità immaginativa, oltre a rigore, precisione, attenzione, pazienza. La storia della scienza, così come la cronaca dei grandi esperimenti in corso raccontata in diretta dai protagonisti sui social media, è ricca di episodi e di situazioni che mostrano il ruolo decisivo di intuizioni geniali o di idee a prima vista fantasiose nell’indirizzare il corso della ricerca verso il successo.
Senza immaginazione, niente scienza. E lo sapevano bene uomini come Georges Lemaître che per primo ha osato pensare a un atome primitif per raccontare i primi momenti dell’Universo; o come Richard Feynman che ha ideato un supporto grafico, i suoi celebri diagrammi, per descrivere e spiegare le interazioni tra le particelle elementari.
Il fatto sorprendente è che, come afferma Paolo Musso, spesso la realtà supera l’immaginazione: lo sforzo immaginativo dei ricercatori unitamente alla correttezza degli sviluppi matematici e alla precisione del lavoro sperimentale porta alla scoperto aspetti, oggetti, funzionamenti della natura ben al di là di quanto si era pensato.
Questo più che sminuire le capacità della mente umana non fa che esaltare la straordinaria esuberanza e le smisurate potenzialità della realtà naturale. Il fatto che la natura abbia surclassato i nostri tentativi di interpretarla e di dominarla non riduce il gusto della conoscenza, semmai lo amplifica. L’esperienza del conoscere diventa un cammino che procede in un alternarsi di conferme, di smentite e di sorprese; tutti questi passaggi sono altrettanto importanti e costruttivi.
Dal punto di vista educativo tutto ciò suggerisce una linea guida preziosa: si tratta di educare gli studenti a tenere aperto lo sguardo per cogliere le sorprese della realtà in ogni dettaglio, in ogni particolare, in ogni momento di lavoro…. Ciò comporta un guadagno non solo sul piano morale o estetico, ma più ancora su quello conoscitivo. Aprire lo sguardo è la massima competenza da acquisire.
Mario Gargantini
(Direttore della rivista Emmeciquadro)