Quali sono i termini reali delle misure finanziarie poste in essere dal Governo nei confronti delle Università?
A riguardo sembra regnare una certa confusione. Destreggiarsi tra le norme e le tabelle delle leggi finanziarie non è facile. Andiamo con ordine, cercando di capire e di smascherare le ambiguità.
I nostri punti di riferimento sono l’ormai celebre d.l. 112 convertito in legge 133 e l’attuale disegno di legge finanziaria, recentemente presentato al Parlamento. Entrambi i provvedimenti legislativi prevedono pesanti tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario delle università (FFO), ma non solo a questo.
1. La legge 133 prevede all’art. 66 il blocco del turn-over. In soldoni, per i prossimi tre anni sarà possibile assumere una persona per ogni cinque pensionamenti. Il blocco del turn-over non costituisce un taglio in termini contabili, ma un taglio di risorse umane cui corrisponde una decurtazione di una quota di FFO pari all’80% del totale dei pensionamenti. Vale a dire, i tagli di FFO previsti dalla l. 133 non sono altro che la misura dei pensionamenti che non saranno rimpiazzati. L’effetto della norma, perciò, non è tanto quello di tagliare i bilanci degli atenei, ma di far risparmiare (allo Stato) i costi del personale universitario che va in pensione e che non potrà essere sostituto (turn-over bloccato) attraverso nuove assunzioni. In definitiva, si impone un “divieto d’accesso” alla carriera universitaria a tanti giovani che oggi, a vario titolo, e con non pochi sacrifici, coltivano la passione per la ricerca e l’insegnamento.
A questa misura deve aggiungersi, per quanto riguarda il personale docente, il differimento una tantum degli scatti stipendiali del 2009 (che verranno recuperati nel 2010 e graveranno sul FFO delle università).
2. Più gravi sono gli effetti sul bilancio delle università derivanti dal ddl finanziaria 2009. Quest’ultimo prevede nel triennio 2009-2011 un taglio del FFO di 731 milioni nel 2010 e di 863 milioni nel 2011 rispetto al dato 2008. Il taglio è invece inesistente nel 2009. Bisogna altresì aggiungere che, affinché i tagli previsti per il 2010 siano effettivi, occorrerà che questi vengano riportati, nella misura oggi prevista, nella finanziaria del prossimo anno (finanziaria 2010). Attualmente, dunque, si tratta solo di previsioni. È per questo probabilmente che il Ministro Gelmini ha recentemente dichiarato che non ci sono tagli per il 2009 e che per il 2010 c’è tempo di discutere. Ma, intanto, ogni giorno che passa è un giorno perso senza che il problema venga affrontato.
Nessuno inoltre ha messo in luce che incidono pesantemente sul 2009 i tagli previsti dal ddl finanziaria al diritto allo studio (per intenderci le borse di studio agli studenti). Rispetto al 2008 la misura del taglio è di circa il 26% (la voce DSU è ridotta dai circa 152 milioni del 2008 ai circa 112 milioni del 2009). Altrettanto pesanti sono i tagli per gli alloggi e le residenze per gli studenti. Qui la scure di Tremonti si abbatte senza pietà e dimostra, una volta di più, che lo scopo di questi provvedimenti non ha nulla a che vedere con la lotta agli sprechi (cosa c’entrano le borse di studio per gli studenti con gli sprechi?), ma è solo quello di racimolare denaro per lo Stato.
Ricostruito il quadro come sopra sommariamente descritto non c’è molto da stare allegri. Al di là delle letture partigiane, la situazione (attuale e futura) è sostanzialmente grave. Ma lo è tanto più per l’assenza sino ad ora non diciamo di un disegno, ma neppure di un “bozzetto” di riforme complessive per il sistema universitario. A parte la “dieta” forzata e generalizzata per tutti gli atenei, quali sono le idee del Governo sull’Università? Finora niente di niente, ma il Ministro Gelmini continua a ripetere che a breve presenterà le sue linee guida.
Confidiamo che sia così e proviamo a formulare quattro proposte realistiche, i primissimi passi per un rilancio del sistema.
1. Rimangano pure le misure finanziarie per il 2009, ma si ripensi al 2010, lasciando libertà nella gestione del turn-over agli Atenei che hanno spese di personale inferiori al 90% del FFO (questo è il limite invalicabile stabilito dalla legge, ma nei fatti, disatteso da vari atenei) e concordando invece specifici piani di rientro con gli Atenei con spese di personale superiori.
Più a lungo termine si garantisca l’effettiva applicazione delle regole sulla sana gestione dei bilanci. Le regole ci sono, ma non sono fatte rispettare e certi abusi dell’autonomia da parte di molti atenei hanno troppo spesso trovato l’accondiscendenza dei politici. Inoltre, si prevedano interventi mirati ad assicurare un’efficace programmazione finanziaria (il documento della Commissione tecnica per la finanza pubblica del luglio 2007 fornisce indicazioni utili a riguardo).
2. Si provveda rapidamente a dare applicazione a nuove norme in materia di reclutamento dei professori universitari. La vecchia legge Moratti e il Decreto legislativo che vi ha dato in parte attuazione, contengono un’idea praticabile e, sebbene perfettibili, sanciscono il ritorno a concorsi con idoneità nazionale da svolgersi a cadenze regolari. Anche qui, tuttavia, occorre far sì che la messa a bando dei posti non sia condizionata solo da esigenze di cassa, ma anche dalle prospettive di sviluppo, in rapporto alle condizioni di salute di ciascun ateneo. Altrimenti siamo punto e a capo.
3. Si proceda positivamente a una selezione delle eccellenze, nel più breve tempo possibile, dando avvio ad un adeguato sistema di valutazione. Al termine del processo i primi classificati, secondo i parametri stabiliti (relativamente a qualità della ricerca, impatto sul territorio, capacità di formare, ecc.), verranno selezionati come eccellenze. Da qui inizia il ciclo virtuoso: i finanziamenti statali legati alla valutazione. Se si è tempestivi, il tutto si realizzerebbe in questa legislatura. Si tratterebbe di un segnale molto forte in una direzione di sviluppo, che spingerebbe ad una salutare concorrenza le università, ancora prima di aver chiesto e ottenuto l’abolizione del valore legale del titolo di studio.
4. Si provveda a una revisione della distribuzione dell’offerta formativa, razionalizzando anche il numero delle sedi universitarie a livello regionale o di macro-aree, attraverso il coordinamento tra gli atenei in un’ottica di complementarietà. Come alcuni studenti hanno acutamente osservato in un volantino, quando si pota un albero è per farlo crescere, non per farlo morire.
Se anche la crisi economica dell’Italia e del Mondo fosse di gran lunga più grave di quanto possiamo immaginare (e probabilmente lo è) il problema non si risolverà certo tagliando le risorse all’Università. Al contrario, proprio quando un Paese attraversa un periodo di crisi l’investimento in istruzione è l’unica cosa sensata da fare perché il ciclone, nel passare, non distrugga tutto. Un Paese sta in piedi solo nella misura in cui è capace di investire nell’educazione dei propri giovani. Meglio andare in giro nudi piuttosto che perdere la capacità di educare.