Dal punto di vista del principio ha ragione il ministro Mariastella Gelmini: il voto in condotta non può più essere com’è oggi un orpello del tutto superfluo, e deve in qualche modo influire sulla valutazione complessiva dello studente, fino a valere per la promozione. Come ha sostenuto il ministro della Pubblica Istruzione «in qualche modo anche la condotta ha la sua valenza, è importante conoscere l’italiano o la matematica, ma anche il rispetto delle regole deve avere la giusta considerazione». È quindi importante che si trovi la strada giusta per «legare la promozione anche alla condotta».
Se però il ministro dovesse far diventare il voto di condotta determinante senza cambiarne la concezione che attualmente domina, il suo intervento, giusto in linea di principio, potrebbe dal punto di vista pratico rivelarsi controproducente. Per questo, prima di mettere mano ad una questione così delicata il ministro dovrebbe fare una seria valutazione su come oggi gli insegnanti attribuiscono il voto di condotta. Nella maggior parte dei casi chi gli insegnanti vanno a premiare? Gli studenti cosiddetti “bravi”, dove per bravi si intende quegli studenti che dicono sempre e comunque di sì. Tra i “non bravi” vi sono invece quegli studenti che si abbandonano ad atti di bullismo o a comportamenti non consoni alla vita scolastica; il che va bene, ci mancherebbe, ma non può essere questo l’orizzonte della valutazione sul comportamento degli studenti.
Se bisogna ribadire con forza che è intollerabile la violenza in tutte le sue forme, se si vuole affrontare in modo serio la questione della condotta bisogna tenere in considerazione due fattori decisivi, oggi troppe volte “bypassati”.
Il primo è che molto facilmente il voto di condotta va a punire gli studenti che rompono il fronte del “sì” e si prendono la libertà di atteggiamenti critici. Quante volte si sentono insegnanti che chiedono di punire con un basso voto di condotta studenti che osano fare critiche alla realtà scolastica o a loro stessi? Bisogna quindi stare molto attenti, perché troppo spesso il voto di condotta premia gli studenti “zitti zitti, quatti quatti” e colpisce chi invece ha una vivacità critica. Se così fosse sarebbe molto pericoloso, perché la condotta diventerebbe uno strumento di omologazione.
Il secondo fattore mai considerato è l’atteggiamento costruttivo. I voti di condotta alti sono spesso attribuiti a chi non fa mai nulla, a chi sta seduto composto al proprio banco, ascolta in perfetto silenzio le lezioni e parla quando è interrogato. Di fatto viene premiata la passività, mentre ciò che il voto di condotta dovrebbe valorizzare è la capacità di offrire un contributo alla convivenza scolastica. È impressionante come spesso di vedano dei “10” in condotta a chi se ne è stato per duecento giorni tranquillo, senza proferir parola se non nelle interrogazioni. Continuare a premiare chi non si espone e non fa altro che obbedire alle regole scolastiche significherebbe perpetuare una concezione passiva del vivere a scuola, mentre è chi contribuisce alla vita scolastica attivamente con la sua umanità, con la sua creatività, con le sue idee, con la sua iniziativa, è questo che va valorizzato.
Il ministro Gelmini quindi con la giusta intenzione di introdurre la condotta nella valutazione conclusiva dello studente deve però fare in modo che prevalgano criteri educativi, e non si faccia del voto di condotta lo strumento per ridurre la vivacità e la capacità di iniziativa degli studenti.