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Home » Educazione » MAESTRO UNICO/ I continui cambiamenti in classe non aiutano l’educazione dei bambini

  • Educazione

MAESTRO UNICO/ I continui cambiamenti in classe non aiutano l’educazione dei bambini

Maddalena Venzo
Pubblicato 4 Settembre 2008
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L’organizzazione oraria della scuola e la pianificazione delle attività scolastiche devono essere pensate in funzione dello studente, e non viceversa. L’aspetto organizzativo, infatti, incide sull’apprendimento dei nostri ragazzi

In questi giorni in tutte le scuole primarie si sta lavorando per l’avvio dell’anno scolastico: incontri di programmazione per stabilire l’assegnazione degli insegnanti alle classi, suddivisione delle ore da assegnare ai vari ambiti disciplinari e conseguente preparazione dell’orario scolastico.

È inevitabile che ci si domandi anche quale sia la prospettiva perla scuola primaria, e che cosa voglia dire concretamente il maestro unico proposto dal Ministro.


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Andando a ripercorre la storia dell’organizzazione della scuola primaria, i cambiamenti sono stati molti: i programmi del 1984, l’arrivo dei moduli in fase sperimentale negli anni 1987-1988 e poi in via definitiva con la legge 148/90. Ci è voluto parecchio tempo per “far accettare” ai maestri questo cambiamento.


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I docenti già con l’avvio dei moduli avevano evidenziato la perplessità per la presenza di troppi insegnanti all’interno della classe, venendo così a mancare l’importante figura di riferimento, e si evidenziava nel lavoro didattico la frammentazione degli spazi e dei tempi educativi.

Di fronte a ciò alcuni insegnanti sono andati in pensione ed altri hanno mal sopportato questo tipo di organizzazione modulare; ma in quel periodo la logica era il raddoppiamento degli organici. E da allora si è fatta molta strada.

Nel 1996, considerate le difficoltà dell’organizzazione modulare, uscì la CM 116 che dava l’opportunità alle scuole di  una maggiore flessibilità di scelta organizzativa. Così recitava la circolare:


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«In I e II, l’intervento di un docente con maggior esperienza temporale in ciascuna classe, che svolga funzioni “tutoriali” per agevolare la gradualità negli apprendimenti e nelle relazioni educative, non deve comunque superare i 2/3 del tempo curricolare.

Questa modalità organizzativa si può attuare, ad esempio:

Estendendo i tempi delle discipline di un ambito;

Aggregando ad un ambito un maggior numero di discipline;

Assegnando anche due ambiti allo stesso docente, ma avendo cura -in tal caso- di non attribuirgli lingua italiana e matematica insieme».

Parecchie scuole hanno sperimentato questa figura dell’insegnante prevalente (18/22 ore in una classe), secondo questo schema esemplificativo:

Insegnante prevalente ( italiano / antropologia/ed. musicale./ed. all’immagine )

Altre ore ad un insegnante ( Matematica / Scienze / ed. motoria)

Questa esperienza collaudata negli anni ha evidenziato per l’alunno le possibilità di trovare una modalità relazionale più idonea allo sviluppo del suo “io”, mentre ha dato occasione ai  docenti di condividere e confrontarsi nel percorso educativo, didattico, metodologico e valutativo messo in atto. In questo modo si è cercato di tenere in considerazione un principio fondamentale: l’organizzazione oraria della scuola e la pianificazione delle attività scolastiche siano pensate in funzione dello studente, e non viceversa. Basta domandarsi questo: l’orario della scuola strutturato come “balletto vorticoso” di comparse e ricomparse delle varie materie facilita l’attenzione, favorisce l’apprendimento significativo e critico, promuove il dialogo e il lavoro sul testo, educa alla memoria? Domanda che dobbiamo porci in questi giorni in cui è in atto l’attività organizzativa nelle scuole, perché anche l’aspetto organizzativo incide sull’apprendimento dei nostri ragazzi.

Il mio suggerimento è che tutta questa esperienza fatta non vada persa, ma possa essere una modalità di percorso per inserire in tutte le scuole primarie la figura del maestro prevalente che in parecchie realtà si sta attuando in modo positivo da anni.

Siamo consapevoli però che il futuro della scuola non dipende solo dalle proposte e dai provvedimenti del Ministro di turno, ma da un livello di efficacia nella trasmissione dei saperi, che dovrebbero essere lo specifico di una istituzione culturale. I tagli e il ritorno al maestro unico sembrano i problemi più importanti per l’opinione pubblica, per i politici e i sindacati. Alla scuola serve stabilità per poter lavorare con serenità e tranquillità in un clima non di conflitto ma di dialogo.

I livelli  di apprendimento raggiunti nelle scuole primarie (si vedano ad esempio i dati diffusi dal Timss & Pirls International study center del Boston college, Massachusetts, sulle competenze di Lettura degli alunni al quarto anno di scolarizzazione, 9 anni in Italia, su 40 nazioni testate i nostri bambini occupano il sesto posto davanti a Usa, Germania e Francia) non dipendono dal maestro unico, ma da docenti  appassionati del loro lavoro e che  hanno lavorato con serietà e responsabilità nelle loro classi.

Di fronte a tutto questo “urlare”, c’è una questione a mio avviso che rimane irrisolta ed è la questione educativa della scuola su cui si focalizza la valorizzazione del docente, che può essere maestro unico o avere uno stipendio più dignitoso, ma che deve poter e porre al centro della propria attività l’educazione. Solo cercando una nuova alleanza tra scuola e famiglia, con un serio dibattito pubblico si possono trovare le vie per ricostruire quella tavola di valori di cui tutta la società ha bisogno.

Su questo si gioca il futuro della scuola. Gli altri aspetti non sono insignificanti, ma se accentrano a sé tutta l’attenzione diventano uno specchietto per le allodole.


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